Le organizzazioni di assistenza al suicidio cercano casa
Negli ultimi anni un numero crescente di stranieri ha fatto ricorso ai servizi delle organizzazioni svizzere di assistenza al suicidio. Queste ultime stentano ora sempre più a trovare dei locali adeguati per far fronte al forte aumento delle domande che provengono dall’estero. (SRF / swissinfo.ch)
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In Svizzera, è vietato praticare il suicidio assistito attivo tramite la somministrazione di una dose letale di un farmaco, per alleviare le sofferenze di un malato terminale. Il diritto svizzero tollera tuttavia il suicidio assistito quando è la stessa persona malata a somministrarsi il farmaco e se coloro che l’assistono non hanno alcun interesse al suo decesso. Questa normativa ha favorito la nascita di organizzazioni come Dignitas e Exit che offrono, a pagamento, tutti i servizi legati al suicidio assistito.
Nel novembre dello scorso anno, la Germania ha approvato una legge che autorizza il suicidio assistito se compiuto per “motivi altruistici”, ma vieta questa pratica, se svolta a pagamento. In seguito a questa normativa le associazioni che forniscono suicidio assistito non possono operare sul territorio tedesco. Ciò sta spingendo anche molti tedeschi a rivolgersi ai servizi delle organizzazioni attive in Svizzera.
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Due organizzazioni d’aiuto al suicidio vogliono poter accompagnare alla morte anche le persone anziane che non sono colpite da malattie terminali, ma da altri tipi di sofferenza. Esperti di medicina ed etica temono però possibili derive.
Circa 700 persone hanno accettato, sabato scorso a Zurigo, di attribuire una nuova missione alla direzione della loro organizzazione: in occasione della sua assemblea generale, l’associazione Exit per la Svizzera tedesca ha infatti deciso di aggiungere nei suoi statuti un impegno «a favore della libertà di morire, legata all’età».
La rivendicazione può sorprendere, dato che la Svizzera è già uno dei rari paesi al mondo che autorizzano il suicidio assistito anche se a certe condizioni, tra cui la presentazione di una prescrizione medica.
Questa pratica, che non è regolamentata da una legge federale, è da anni al centro dei dibattiti, tra chi la vorrebbe vietare, chi chiede di restringerla o chi al contrario di liberalizzarla ulteriormente.
Negli ultimi anni, le domande di aiuto al suicidio sono cresciute. E le organizzazioni di assistenza – tra cui Exit – sono sempre più confrontate con richieste di persone anziane che non sono affette da malattie incurabili o da sofferenze insopportabili, ma da “poli-patologie”. Per ottenere la prescrizione di una sostanza letale da parte di un medico, queste persone devono sottoporsi a esami fisici e psichici completi.
«Un novantenne non reagisce però allo stesso modo di un quarantenne di fronte a questo tipo di test, spiega Bernhard Sutter, vicepresidente di Exit per la Svizzera tedesca. Ci sono molti casi in cui il medico non avrebbe bisogno di rifare tutti gli esami psicologici per interpretare la volontà di un paziente».
Diritto all'autodeterminazione?
È su questo punto che Exit intende lanciare il dibattito: «Con l’espressione tedesca “Freitod”, ossia “una morte auto-determinata legata all'età”, vorremmo semplificare le procedure di controllo necessarie per la prescrizione di una sostanza letale», precisa Bernhard Sutter.
Nel canton Neuchâtel, un medico ha dovuto rispondere davanti alla giustizia perché non aveva fatto tutti i test prima di dare la ricetta a un paziente ottantenne malato di cancro in fase terminale. Il Tribunale cantonale lo ha poi prosciolto a fine aprile.
Svizzera liberale
La Svizzera è uno dei rari paesi al mondo a non vietare l’assistenza al suicidio. La legge punisce unicamente chi aiuta qualcuno a morire per scopi egoistici. L’eutanasia attiva è invece vietata.
Le organizzazioni di aiuto al suicidio prevedono il rispetto di diversi criteri: la capacità di intendere e volere delle persone coinvolte, un desiderio di morte consapevole, autonomo e duraturo, un certificato medico e la consapevolezza dell’esistenza di altre opzioni possibili.
Anche i Paesi Bassi autorizzano i medici a praticare il suicidio assistito a determinate condizioni. Lo stesso vale per alcuni Stati americani: Oregon, Washington e Montana.
Anche nella Svizzera francese, l'associazione Exit A.D.M.D ha completato il suo regolamento sulle condizioni per il diritto al suicidio assistito, aggiungendo un paragrafo sulle “poli-patologie legate all’età, che compromettono pesantemente la vita”.
Per le due organizzazioni, omonime ma indipendenti, il criterio “in fin di vita” o “allo stadio terminale di una malattia” è troppo severo. Non risponde più ai bisogni della società e alla richiesta delle persone anziane di alleviare le loro sofferenze, provocate da malattie croniche ma non forzatamente mortali.
«Chi è affetto da una forma di sordità degenerativa, da cecità e incontinenza può soffrire molto. La sofferenza non è appannaggio solo di chi ha un tumore in un stadio terminale», afferma Bernhard Sutter.
Per Jérôme Sobel, di Exit Svizzera romanda, alleviare le pene fa parte dei doveri di un medico. «Ma non tutti i colleghi sono d’accordo», aggiunge sottolineando che per molti di loro il fatto di non fare il possibile per salvare una vita, da un punto di vista medico equivale a un abuso.
Necessario un dibattito di società
Il suicidio assistito solleva dunque interrogativi etici sulla missione dei medici, dato che spetta loro firmare le prescrizioni.
Questi si mostrano però molto circospetti di fronte alle rivendicazioni di Exit. «È chiaro che le persone anziane possono sentire una certa stanchezza di vivere, afferma Jürg Schlup, presidente della Federazione dei medici svizzeri (FMH). Ma quando proponiamo loro altre opzioni, come le cure palliative, un’intensificazione delle terapie oppure una presa a carico diversa, capita spesso che l’idea del suicidio assistito venga abbandonata».
Jürg Schlup teme inoltre che alcuni anziani si rivolgano a Exit perché hanno l’impressione di essere un peso per i famigliari. Uno scenario che le associazioni di aiuto al suicidio affermano però di voler combattere.
«La nostra organizzazione procede con molto riguardo, per evitare che gli anziani chiedano un accompagnamento alla morte sotto pressione delle loro famiglie o per questioni di eredità. Al minimo dubbio, rifiutiamo la domanda», ha affermato la presidente di Exit, Saska Frei in occasione dell’Assemblea generale a Zurigo.
«Potremmo convivere con questa modifica degli statuti di Exit, ma non la sosterremo», commenta dal canto suo Jürg Schlup, che non nasconde la paura di un’eccessiva liberalizzazione. «La Svizzera conosce già una delle soluzioni più liberali al mondo».
La FMH ha integrato le linee direttive dell’Accademia svizzera delle scienze mediche (AASM) per quanto riguarda l’atteggiamento che i dottori devono avere di fronte a pazienti in fin di vita. Queste direttive «ammettono la possibilità di un’assistenza medica al suicidio, come un atto eccezionale che deve rispettare criteri più severi rispetto a quelli previsti dalle normative generali dell’assistenza al suicidio in vigore in Svizzera», ricordava a inizio anno la FMH in un bollettino.
L’ASSM sottolinea che «l’aumento dei casi di suicidio assistito è di responsabilità di tutta la società e non soltanto del corpo medico». Chiede dunque «un dibattitto di fondo sulle condizioni nelle quali l’assistenza al suicidio è fornita».
Verso un'ulteriore liberalizzazione?
Il cambiamento di rotta previsto da Exit non rischia però di portare a un aumento delle richieste di suicidio assistito, già in forte progressione negli ultimi anni? Bernhard Sutter risponde in modo negativo. «I criteri di selezione attuali non vengono indeboliti: le persone che desiderano metter fine ai loro giorni devono essere capaci di discernimento, esprimere la loro volontà in modo duraturo, soffrire di una o più malattie ed essere al corrente di tutte le altre opzioni possibili».
Exit non intende, per lo meno a corto termine, chiedere una modifica del quadro legale relativo agli esami medici necessari per ottenere una prescrizione medica. In un primo tempo, sarà creato un gruppo di lavoro per valutare la situazione.
Il vicepresidente di Exit Svizzera tedesca è però convinto che con l’invecchiamento della popolazione una «liberalizzazione dell’aiuto al suicidio è inevitabile, perché i futuri seniores hanno vissuto tutta la vita sotto il segno dell’auto-determinazione, un principio che non abbandoneranno di certo al tramonto dei loro giorni».
«Più della metà delle prescrizioni sono già fatte dai medici di famiglia delle persone che intendono metter fine ai loro giorni. Questo è già di per sé un progresso», indica Bernhard Sutter. Sia da parte dell’FHM che di Exit, si attende con impazienza il risultato di un’inchiesta sul suicidio assistito realizzata dall’ASSM presso circa 5mila medici. Sono attesi per questo autunno.
Richieste in crescita
L’organizzazione Exit A.D.M.D per la Svizzera romanda conta attualmente circa 19mila membri, indica il suo presidente Jérôme Sobel. Erano 18'564 a fine 2013, ossia 874 in più rispetto all’anno precedente.
La maggior parte degli affiliati (68%) è di sesso femminile e ha tra i 51 e i 75 anni (57,5%). Gli over 75 rappresentano il 34%, mentre l’8,5% ha meno di 50 anni.
Nel 2013, Exit A.D.M.D ha ricevuto 252 richieste di suicidio assistito e ne ha portate a termine 155 (contro 144 nel 2012). In 141 casi, la morte ha raggiunto i pazienti al loro domicilio, in 10 in una casa per anziani e in 4 in un ospedale.
L’organizzazione Exit per la Svizzera tedesca ha registrato 5mila nuovi affiliati nel 2013 per un totale di circa 73mila.
L’associazione ha accompagnato alla morte 459 persone, di cui 267 donne, ossia 103 in più rispetto al 2012.
L’età media delle persone decedute è rimasta stabile a 77 anni.
La prima causa di richiesta di aiuto al suicidio è il cancro (178). Tra gli altri motivi figurano le poli-patologie legate all’età (97), le malattie cardiache (17), le sclerosi laterali amiotrofiche (SLA, 8) o le malattie psichiche.
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