L'incidente nucleare di Fukushima dell'11 marzo 2011 ha segnato l'inizio della fine dell'atomo in Svizzera. Altri Paesi hanno invece deciso di investire in questa fonte di energia che secondo alcuni è necessaria per contrastare il riscaldamento globale.
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Giornalista ticinese residente a Berna, mi occupo di temi scientifici e di società con reportage, articoli, interviste e analisi. Mi interessano le questioni climatiche, energetiche e ambientali, come pure tutto ciò che riguarda la migrazione, l'aiuto allo sviluppo e i diritti umani in generale.
Fukushima è molto lontana dalla Svizzera e il Giappone è un Paese che affronta con serietà e professionalismo eventi di questo genere: questa è stata la prima reazione di Doris Leuthard, allora ministra dell’energia svizzera, al più grave disastro nucleare dopo Chernobyl.
Solo in un secondo tempo si è resa conto della gravità dell’incidente e del fatto che avrebbe avuto ripercussioni anche oltre le frontiere nipponiche, ricorda Leuthard in un’intervista al quotidiano romando Le TempsCollegamento esterno pubblicata alcuni giorni fa.
Le emissioni radioattive causate dall’incidente alla centrale nucleare giapponese di Fukushima del 2011 non hanno prodotto effetti negativi sulla salute: è quanto risulta dal rapporto finale di un comitato di ricercatori delle Nazioni Unite, pubblicato martedì. Lo studio conferma in sostanza un precedente rapporto pubblicato nel 2013.
Secondo il Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sulle conseguenze delle emissioni radioattive (UNSCEARCollegamento esterno), il forte aumento del numero di tumori della tiroide nei bambini esposti è attribuibile a un miglioramento della tecnica di screening che ha rivelato “la prevalenza di anomalie non rilevate in precedenza”.
GreenpeaceCollegamento esterno afferma da parte sua che l’85% dell’area speciale di decontaminazione è ancora contaminato. L’organizzazione ambientalista accusa i governi che si sono succeduti negli ultimi anni in Giappone di aver ingannato il popolo, mistificando l’efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici.
Il 14 marzo 2011, tre giorni dopo l’incidente di Fukushima, sono state sospese le domande per la costruzione di nuove centrali nucleari in Svizzera. E due mesi più tardi, il governo a maggioranza femminile ha deciso l’abbandono graduale dell’energia nucleare.
Una svolta confermata dal popolo elvetico nel maggio 2017, quando la nuova strategia energetica 2050 – che oltre allo sviluppo delle rinnovabili prevede per l’appunto la disattivazione degli impianti nucleari al termine del loro ciclo di vita – è stata accolta alle urne da quasi sei votanti su dieci.
L’impianto più vecchio del mondo è ancora attivo
Il primo dei cinque reattori della Svizzera è stato disattivato alle fine del 2019, con la chiusura della centrale di Mühleberg, nel Canton Berna. Lo smantellamento e la decontaminazione del sito dovrebbero durare una quindicina di anni.
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Per la prima volta in Svizzera viene disattivata una centrale atomica. Un’operazione che richiederà 15 anni di lavori.
Gli altri quattro impianti, tra cui quello di Beznau nel Canton Argovia, il più vecchio del mondo, dovrebbero continuare a fornire elettricità negli anni a venire, finché saranno considerati sicuri dall’Ispettorato federale della sicurezza nucleare.
Nel 2019, l’atomo è stato all’origine del 19% dell’elettricità consumata in Svizzera, contro una quota di circa il 10% a livello mondiale.
Un pianeta con 443 reattori nucleari
Contrariamente alla Svizzera o alla Germania, che chiuderà tutte le sue centrali entro la fine del 2022, alcuni Paesi hanno deciso di intraprendere la via del nucleare dopo il disastro di Fukushima. Tra questi la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, la Bielorussia e il Bangladesh. Quasi la metà dei nuovi reattori costruiti nel mondo nel periodo 2011-2020 sono stati realizzati in Cina, secondo quanto riportato dall’agenzia Keystone-ATS.
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I reattori attualmente attivi nel mondo sono 443 (erano 429 a fine 2010). Stati Uniti, Francia e Cina sono i Paesi con il più alto numero di impianti.
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Nucleare per salvare il pianeta
Oltre ai problemi legati alla sicurezza e alle scorie radioattive, il nucleare deve far fronte alla concorrenza delle energie rinnovabili, sempre più a buon mercato. Dal 2009, i costi dell’eolico e del solare si sono ridotti rispettivamente del 70% e dell’89%Collegamento esterno, mentre quelli del nucleare sono cresciuti del 33%.
Ciononostante, l’atomo continua a suscitare interesse. Per i suoi sostenitori, si tratta di una fonte d’energia che genera poche emissioni di CO2 e che è controllabile. Può infatti essere sfruttata in funzione dei bisogni, a differenza del vento o del sole.
Fatih Birol, direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia, sostieneCollegamento esterno che il nucleare è parte integrante della transizione energetica, così come Bill Gates, che con la sua azienda TerraPower prevede di costruire centinaia di mini centrali nucleari di quarta generazioneCollegamento esterno. Queste sarebbero raffreddate da sodio liquido e verrebbero integrate alla produzione di energia rinnovabile.
L’idea di Bill Gates è buona, sebbene comporti anch’essa dei rifiuti radioattivi, commenta Michael Prasser, professore al Politecnico federale di Zurigo ed esperto di energia nucleare.
Considerando l’enorme capacità di stoccaggio necessaria per lo sviluppo delle rinnovabili, e il conseguente aumento della domanda di materie prime quali cobalto e litio, non si potrà rinunciare all’atomo, sostiene Prasser. Per il professore, “se vogliamo preservare la Terra, dobbiamo sfruttare anche l’energia atomica”.
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Dibattito
Moderato da:
Luigi Jorio
Più rifiuti radioattivi, ma meno CO2: l’energia nucleare è una fonte irrinunciabile?
Il popolo ha sancito la fine del nucleare in Svizzera. C’è però chi vede nell’atomo la soluzione alla crisi climatica.
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Il fotografo svizzero Andreas Seibert vive e lavora in Giappone da 14 anni. L’11 marzo 2011 era a Tokyo mentre lo tsunami del Tohoku si abbatteva sulla costa pacifica, provocando la morte di 15’000 persone. Nei mesi successivi Seibert ha attraversato l’isola di Honshu per documentare le conseguenze della tragedia.
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