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Gli ebrei svizzeri reagiscono in modo tipicamente svizzero

Un immagine del primo Congresso sionista tenuto 120 anni fa a Basilea. 
Un'immagine del primo congresso sionista tenuto 120 anni fa a Basilea. Historische Aufnahme

120 anni fa si tenne a Basilea il primo congresso sionista. L’avvenimento pose le basi per la creazione dello stato di Israele. All’inizio gli ebrei svizzeri rimasero neutrali nei confronti del progetto. Jonathan Kreutner* ricorda le vicende che hanno segnato fino a oggi la visione del sionismo e di Israele.

Theodor Herzli
Theodor Herzl Schweizerischer Israelitischer Gemeindebund

Poche parole sono state capite e utilizzate in modo tanto errato quanto il termine «sionismo». Spesso la parola «sionista» viene usata scorrettamente come sinonimo di «ebreo» o di «israeliano». I teorici del complotto parlano sovente di «complotto mondiale sionista». E ora che gli ebrei svizzeri alla fine di agosto festeggiano il 120° anniversario del primo congresso sionista, molti sono confusi: perché gli ebrei svizzeri si rallegrano di questo giubileo, pur essendo cittadini svizzeri e non israeliani? In che rapporti stanno gli ebrei svizzeri con Israele e cosa li lega al sionismo?

Un movimento nazionale tra gli altri 

I malintesi legati al significato della parola «sionismo» si possono facilmente chiarire: nel tardo XIX secolo il sionismo era un movimento nazionale democratico, uno tra i tanti. Né più né meno. Al contrario di altri movimenti nazionali, quello ebraico si diede un nome. Sionismo, appunto. 

L’obiettivo del sionismo era di creare un focolare nazionale per il popolo ebraico. Alla fine del XIX secolo le speranze che i valori dell’illuminismo e una migliore conoscenza dell’ebraismo facessero sparire l’antisemitismo erano svanite. All’epoca nuove concezioni antiebraiche divennero anzi sempre più popolari: gli ebrei non potevano diventare parte delle società europee, perché erano una «razza inferiore», affermavano i pionieri di questo antisemitismo «moderno», che utilizzavano argomenti pseudo-scientifici. 

“A Basilea ho fondato lo Stato ebraico. Forse tra cinque o, al più tardi, cinquant’anni ognuno se ne renderà conto.” Theodor Herzl, 1897

In Francia l’antisemitismo raggiunse il suo culmine con il cosiddetto caso Dreyfus. Il capitano francese Alfred Dreyfus fu accusato a torto di alto tradimento. Il vero motivo degli accusatori era l’antisemitismo. Nell’Europa dell’est vi furono ripetuti pogrom contro gli ebrei. 

Tutto questo rafforzò il pioniere del sionismo Theodor Herzl e i suoi sostenitori nella convinzione che gli ebrei nonostante tutti gli sforzi di integrazione non potevano più sentirsi a casa nelle società europee e che perciò dovevano creare un proprio «stato ebraico». 

Né pro, né contro, bensì neutrali 

Ma quando 120 anni fa Herzl organizzò a Basilea il primo congresso sionista, gli ebrei svizzeri reagirono freddamente o, in altre parole, in modo tipicamente svizzero. Non erano favorevoli al sionismo e neppure erano contrari. Rimasero neutrali. Durante il secondo congresso sionista che si tenne l’anno successivo sempre a Basilea, un sionista francese si lamentò del «disinteresse degli ebrei svizzeri» per il tema.

Ci sono almeno due spiegazioni sul perché gli ebrei svizzeri all’inizio non fossero davvero entusiasti delle idee sioniste: da una parte i pogrom dell’Europa orientale sembravano molto lontani e anche se la Svizzera non era priva di antisemitismo gli ebrei locali, che in maggioranza risiedevano qui già da secoli, stavano abbastanza bene. 

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Biglietto di invito per uno dei partecipanti al congresso, Basilea, 1897. Jüdisches Museum der Schweiz, Basel

Dal punto di vista legale avevano raggiunto l’uguaglianza nel 1866 ed erano ben integrati. D’altro canto si temeva l’accusa di una doppia lealtà: «Vogliamo essere buoni ebrei e buoni confederati», affermò un medico ebreo di Basilea dopo il primo congresso sionista nell’Israelitischer Wochenblatt. «Non vogliamo in nessun modo un’altra patria».

La svolta dopo la Shoa 

“Vogliamo essere buoni ebrei e buoni confederati. Non vogliamo in nessun modo un’altra patria”. 

Negli anni Trenta del XX secolo, con il rafforzamento in Svizzera di movimenti antisemiti quali il Fronte nazionale, il sionismo conquistò nuovi sostenitori anche tra gli ebrei svizzeri. Nello stesso periodo molti ebrei tedeschi fuggirono in Svizzera, portando con sé la convinzione che gli ebrei avessero bisogno di un proprio stato. Ma solo i crimini nazisti condussero a un forte sostegno politico alle idee sioniste da parte degli ebrei svizzeri. Dopo la Shoa nessun ebreo svizzero dubitava più del senso di uno stato ebraico. 

Nel 1948 con la fondazione dello stato di Israele l’utopia divenne realtà. Dall’oggi al domani il significato della parola sionismo cambiò: mentre prima della fondazione si trattava di creare uno stato ebraico, dopo il 1948 la questione fu quella di vivere in uno stato ebraico. 

La Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI) si dichiarò fin dall’inizio solidale con lo stato di Israele. Solo poche ore dopo la proclamazione dello stato ebraico la FSCI inviò «immediatamente un telegramma di felicitazioni al consiglio nazionale ebraico e assicurò al giovane stato la sua piena solidarietà», come si legge nel rapporto annuale della Federazione del 1948. 

ausstellung
Theodor Herzl nell’arte contemporanea Al Museo ebraico della Svizzera di Basilea una mostra è consacrata, dal 18 agosto al 10 settembre 2017, all’eredità di Theodor Herzl in occasione del 120esimo anniversario del primo congresso sionista. zvg

Ma anche la FSCI temeva l’accusa di doppia lealtà e chiarì perciò pubblicamente che «nonostante tutti i forti legami religiosi, culturali e spirituali» con Israele, nulla sarebbe cambiato nei «doveri e diritti», nell’«amore, fedeltà e lealtà verso la Svizzera».

Tempi duri per il giovane Israele 

Gli anni successivi alla fondazione furono duri per il nuovo stato. Subito dopo la dichiarazione di indipendenza Israele fu attaccato dagli stati vicini. Gli ebrei svizzeri presero posizione in favore dello stato ebraico. Israele poté difendersi con successo dagli attacchi dei vicini. Il legame degli ebrei svizzeri con Israele si rafforzò ancora durante la Guerra dei sei giorni nel 1967. Gli ebrei svizzeri espressero la loro simpatia per Israele con un’unanimità che quasi non ebbe uguali nella diaspora ebraica, inviando offerte e organizzando manifestazioni di sostegno. 

All’epoca la maggioranza della popolazione svizzera era ancora solidale con Israele. Le cose cambiarono però presto: dagli anni Settanta gli ebrei svizzeri cominciarono a preoccuparsi sempre di più dell’immagine di Israele nell’opinione pubblica elvetica. Si videro sempre più spesso costretti a difendere e spiegare la politica di Israele, anche se non sempre la sostenevano completamente.

Fino alla guerra del Libano del 1982, in Svizzera erano però pressoché assenti voci ebraiche che esprimessero pubblicamente critiche a Israele. Nel 1982 si formò per la prima volta in Svizzera un gruppo ebraico che rese pubbliche le sue critiche ed espresse nella Neue Zürcher Zeitung il proprio «sgomento per la guerra che Israele ha portato in Libano». Anche se questo gruppo sosteneva l’idea di base del sionismo, vale a dire che gli ebrei dovevano avere un proprio stato, la maggioranza degli ebrei svizzeri reagì con sospetto. 

A Berna bruciano bandiere di Israele 

Jonathan Kreutner
Jonathan Kreutner è segretario generale della Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI), storico e autore del libro “Die Schweiz und Israel. Auf dem Weg zu einem differenzierten historischen Bewusstsein” (La Svizzera e Israele. Verso una consapevolezza storica differenziata). zvg

Con i colloqui di pace a Madrid e gli accordi di Oslo all’inizio degli anni Novanta, gli umori antiisraeliani nell’opinione pubblica per qualche tempo si affievolirono. Ma dopo il fallimento delle trattative di pace e l’inizio della seconda Intifada vi fu un’ampia ondata di solidarietà per i palestinesi.

Quando nell’aprile del 2002 l’esercito israeliano intervenne contro militanti palestinesi nel campo profughi di Jenin, l’azione suscitò anche in Svizzera vivaci proteste. Ai margini di una manifestazione di sostegno alla causa palestinese a Berna, davanti al Palazzo federale, fu appiccato il fuoco a bandiere israeliane ricoperte di svastiche. L’odio contro Israele prese di mira anche gli ebrei svizzeri. 

La FSCI fu inondata di messaggi antisemiti, apparvero scritte antisemite sui muri e vi furono aggressioni verbali per strada. La rivista ebraica Tachles uscì con il titolo: «Allarme antisemitismo in Europa: i tempi peggiori dopo la guerra mondiale». L’ultima ondata antisemita ha investito l’Europa durante la guerra nella Striscia di Gaza nel 2014.

Anche gli ebrei litigano sulla politica di Israele 

Gli ebrei svizzeri però non sono responsabili della politica di Israele. Dopotutto la maggioranza di loro ha il passaporto svizzero e non quello israeliano. Votano in Svizzera, prendono parte alle elezioni, partecipano alla discussione politica e sociale, assumono responsabilità come cittadini e non da ultimo prestano servizio militare. 

Le opinioni sull’attuale politica israeliana divergono sensibilmente, ma la maggior parte degli ebrei svizzeri concorda sul fatto che gli ebrei che vogliono vivere in uno stato ebraico devono avere il diritto di farlo. Il primo congresso sionista ha posto la prima pietra perché questo fosse possibile. Per questo il 120° anniversario è per gli ebrei svizzeri un buon motivo per festeggiare. 

Traduzione di Andrea Tognina

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