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2008 – L’annus horribilis della finanza

Keystone

Il 2008 passerà alla storia come l'anno della peggiore crisi finanziaria che il mondo ha conosciuto dal 1929. Una crisi partita dagli Stati Uniti e che ormai si è propagata all'economia reale.

Le prime nubi cominciano ad addensarsi all’orizzonte nel 2006. Alcune voci ancora isolate mettono in guardia sul rischio d’esplosione della bolla immobiliare negli Stati Uniti.

Da alcuni anni il mercato fondiario è in pieno fermento. Sulla spinta del rapido rialzo dei prezzi dei beni immobiliari e grazie a tassi molto bassi, molti istituti finanziari si sono lanciati nell’avventura dei ‘subprime’. Questi crediti ipotecari sono concessi a persone con redditi modesti e che hanno avuto difficoltà di pagamento in passato.

Rispetto ai crediti ipotecari normali (ai quali queste persone non hanno accesso), i mutui ‘subprime’ comportano tassi più elevati e generalmente variabili. Nel 2006 negli Stati Uniti più di una nuova ipoteca su cinque è un ‘subprime’.

Dal 2004 al 2007, però, il tasso direttore della Federal Reserve americana passa dall’1% a più del 5%. Per le famiglie che hanno concluso un ‘suprime’ a tasso variabile (e dunque indicizzato al tasso direttore della Fed), i costi diventano semplicemente insostenibili. Centinaia di migliaia di creditori si trovano nell’impossibilità di rimborsare i crediti. I prezzi degli immobili crollano.

Crisi d’insolvenza

Nel frattempo, il virus ha contagiato tutto il sistema finanziario mondiale. Parte dei crediti è stata trasferita ad altri investitori – hedge funds e banche – che a loro volta li hanno “impacchettati” nei cosiddetti CDO (Colateralized Debt Obligation), poi rivenduti a investitori privati e istituzionali. Presentati come sicuri, poiché oltre ai ‘subprime’ contengono altri titoli, come obbligazioni societarie o di stato, questi prodotti finanziari si rivelano però dei veri e propri castelli di carta.

Nel luglio del 2007 i mercati sprofondano un prima volta. In un primo tempo le banche centrali reagiscono immettendo liquidità e garantendo così alle banche finanziamenti a corto termine.

Quella che si credeva essere ‘solo’ una crisi di liquidità si rivela però essere una crisi di insolvenza: molte società sono giudicate troppo indebitate e prive di riserve sufficienti per essere considerate degne di fiducia dai potenziali creditori. Su molti gruppi aleggia lo spettro della bancarotta.

Settembre nero

Per far ordine nei loro bilanci, le banche del mondo intero devono procedere a massicci deprezzamenti dei loro attivi: molti dei titoli di credito che hanno in portafoglio non valgono infatti praticamente più nulla. Per compensare queste diminuzioni degli attivi, gli istituti devono cercare nuovi capitali. In Svizzera, ad esempio, UBS procede a una prima ricapitalizzazione, finanziata da un fondo statale di Singapore, nel febbraio del 2008.

In Gran Bretagna lo Stato deve intervenire per salvare la banca Northern Rock. All’inizio di settembre la situazione precipita. Negli Stati Uniti, il governo federale prende il controllo di alcuni grandi istituti finanziari, pesantemente invischiati nelle sabbie mobili dei ‘subprime’ e di altri crediti a rischio.

Il 15 settembre, però, non interviene per salvare la banca d’affari Lehman Brothers. Per garantire il proseguimento delle loro attività, diversi istituti simili – Bear Stearns o Merril Lynch – si fanno acquistare a prezzi che fino a qualche settimana prima sarebbero stati giudicati stracciati.

Per cercare di soccorrere il settore bancario e tentare di infondere un po’ di fiducia a un mercato ormai paralizzato, numerosi Stati mettono a punto dei piani di salvataggio. Negli Stati Uniti, ad esempio, viene varato il Piano Paulson, un pacchetto da 700 miliardi di dollari, che servirà, tra le altre cose, ad acquistare gli attivi a rischio di banche e istituti finanziari. Nell’Unione Europea i vari interventi annunciati a metà ottobre superano i 1’500 miliardi di euro. In Svizzera il governo e la Banca nazionale corrono al cappezzale di UBS con un programma da 66 miliardi di franchi.

Recessione

Questi cerotti, associati a una diminuzione dei tassi direttori delle banche centrali, non bastano però ad impedire che la crisi finanziaria si propaghi all’economia reale. A causa delle difficoltà incontrate, le banche inaspriscono le condizioni di concessione dei crediti e quindi rendono più difficili gli investimenti per le imprese e i privati. La situazione intacca anche il morale dei consumatori, con una conseguente minore propensione agli acquisti.

Come se non bastasse, a metà dicembre scoppia lo scandalo Madoff: l’impero creato dall’ex direttore del Nasdaq si rivela essere solo una vasta truffa. Cinquanta miliardi di dollari si volatilizzano nel sistema piramidale messo in piedi da Bernard Madoff.

La parola ‘recessione’ è ormai sulle labbra di tutti. All’inizio di dicembre, le autorità statunitensi confermano che il paese è entrato in recessione da un anno.

La Svizzera dovrebbe entrare in questa fase nel 2009: “Tenuto conto del drammatico peggioramento della congiuntura da ottobre, anche la Svizzera vivrà un periodo di recessione nel 2009”, ha ammesso a metà dicembre la ministra dell’economia Doris Leuthard. Stando alle previsioni, il prodotto interno lordo dovrebbe registrare un calo compreso tra lo 0,5 e l’1%.

Piani di rilancio

Per attutire l’impatto della crisi, molti governi mettono a punto dei piani di rilancio miliardari. Negli Stati Uniti, il pacchetto preparato da Barack Obama e dai suoi consiglieri potrebbe raggiungere i mille miliardi di dollari nei prossimi due anni.

Le misure decise dal governo elvetico sono più modeste: nel 2009 saranno sbloccati circa 890 milioni di franchi. In una seconda fase verranno liberati altri 650 milioni. Una somma sufficiente? “Se a questi importi si aggiungono i programmi dei cantoni, il sostegno pro capite all’economia è paragonabile a quello di paesi come la Francia o la Germania”, ha dichiarato in un’intervista a Le Temps la ministra dell’economia Doris Leuthard.

A detta di molti, però, queste misure non basteranno per contenere gli effetti della crisi. Affinché un piano di questo tipo sia efficace, gli investimenti devono ammontare dal 2 al 4% del prodotto interno lordo. Se la tesi sostenuta dal Premio Nobel per l’economia Paul Krugman fosse esatta, la Svizzera dovrebbe quindi investire non meno di dieci miliardi di franchi.

swissinfo, Daniele Mariani

Il governo intende impiegare fino a 1,5 miliardi di franchi nel 2009 per aiutare l’economia ad assorbire i contraccolpi della crisi dei mercati finanziari.

Circa 340 milioni dovrebbero essere stanziati entro la fine di gennaio, mentre la parte rimanente nel corso dell’anno prossimo.

In una prima fase il governo chiederà al parlamento di anticipare o rivedere al rialzo determinate uscite già decise: l’abrogazione del blocco dei crediti (205 milioni), uscite per la protezione contro le inondazioni e i pericoli naturali (66 milioni), per il rinnovo energetico delle abitazioni di utilità pubblica (45 milioni), per le costruzioni civili (20 milioni) e per la promozione degli investimenti (5 milioni).

In una seconda fase – che verrà attuata soltanto se entro la fine del primo trimestre 2009 la situazione economica dovesse peggiorare – verrebbe poi sfruttato il restante margine di manovra finanziario. In primo piano vi sono investimenti per il risanamento energetico di vecchi edifici, per la manutenzione delle strade nazionali e dell’infrastruttura ferroviaria

Il Consiglio federale intende inoltre sbloccare, per il primo gennaio 2009, riserve di crisi costituite negli anni scorsi dalle aziende. Questo permetterà di restituire 550 milioni di franchi a circa 650 imprese.

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