La Svizzera ha poche donne dirigenti a causa del tardivo suffragio femminile?
La politica è un buon trampolino di lancio per una carriera nel settore privato. Ma alle donne svizzere, fino a 50 anni fa, questa possibilità è stata negata. Questa è una delle cause della finora poca presenza femminile nelle posizioni manageriali.
Le donne svizzere possono votare solo da 50 anni. Potrebbe essere questa una delle ragioni per cui, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), meno di un terzo dei dirigenti in Svizzera sono donne? Le donne sono ancora sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali perché per molto tempo hanno potuto giocare solo un ruolo marginale in politica?
In effetti, le cariche e i partiti politici sono importanti terreni di formazione per i leader. Il fatto che ex membri del governo, per esempio, finiscano spesso in posizioni economiche di primo piano non è una coincidenza. Non solo hanno l’esperienza (gestionale) necessaria, ma hanno anche conoscenze preziose grazie alla politica.
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Il lungo cammino verso il suffragio femminile
In Svizzera, in particolare, l’intreccio tra le élite politiche ed economiche (e militari) è stato a lungo parte della vita quotidiana. La Neue Zürcher Zeitung lo riassume così: “Maschio, svizzero, avvocato o ingegnere, ufficiale dell’esercito, di mentalità liberale: fino agli anni Ottanta, questi erano gli attributi tipici dei membri dell’élite economica svizzera”.
Per Stéphanie Ginalski, ricercatrice presso la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Losanna, il fatto che fino ai primi anni Settanta solo gli uomini godessero del diritto di voto e di eleggibilità a livello federale ha giocato chiaramente “un ruolo decisivo” nella sottorappresentazione ancora prevalente delle donne nelle posizioni dirigenziali.
Il suffragio femminile è solo una delle ragioni
La domanda sorge spontanea: i Paesi che hanno introdotto il suffragio femminile prima della Svizzera hanno effettivamente più donne nei consigli di amministrazione?
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L’introduzione del suffragio femminile nel mondo
Per rispondere a questo interrogativo, confrontiamo la data d’introduzione del suffragio femminile con la percentuale di donne tra i quadri intermedi e tra la dirigenza di un Paese secondo le statistiche ILO per il 2019. Ci aspetteremmo una correlazione fortemente negativa: più sono trascorsi anni dall’introduzione del diritto di voto, più la proporzione di donne è bassa.
Ma il risultato mostra qualcosa di diverso: in un confronto internazionale, non c’è un legame tra queste cifre. La correlazione è nulla o leggermente negativa.
Tuttavia, ci sono alcuni Paesi che hanno vissuto drastici sconvolgimenti economici o politici tra l’introduzione del suffragio femminile e oggi. È concepibile che distorcano il quadro. Quindi, in una seconda fase, ci limitiamo agli Stati dell’UE-15 e dell’AELS per i quali sono disponibili i dati dell’ILO per il 2019.
In effetti, il nesso diventa un po’ più chiaro in questa analisi. Tuttavia, anche così, la correlazione non è particolarmente forte. È vero che ci sono Paesi pionieri in termini di suffragio femminile, come l’Islanda e la Svezia, dove le donne occupano posizioni di leadership con relativa frequenza. Allo stesso tempo, anche il Portogallo, che è stato il penultimo paese in Europa a introdurre il suffragio femminile prima del Liechtenstein, presenta una percentuale relativamente alta di donne manager: esattamente la stessa della Finlandia, che è stato il primo Paese in assoluto a introdurre il suffragio femminile universale nel 1906.
La questione della famiglia ha più peso
Ci devono essere altri fattori che spiegano perché le donne hanno maggiore facilità a fare carriera in determinati Paesi. “La ragione principale per cui le donne fanno meno carriera degli uomini è ancora la famiglia”, spiega Katja Rost, professoressa di sociologia all’Università di Zurigo. Di conseguenza, ci sono più donne in posizioni manageriali nei Paesi in cui lavoro e vita famigliare sono fortemente conciliabili, per esempio dove la custodia dei bambini è una responsabilità dello Stato e la settimana lavorativa non è di 42 ore. In quest’ottica, la Svizzera offre alle donne condizioni quadro significativamente peggiori rispetto, per esempio, alla Scandinavia, rileva l’esperta di sociologia economica e organizzativa.
Gli Stati Uniti sono un’eccezione in questo senso. Secondo l’ILO, l’anno scorso avevano un’alta percentuale di donne in posizioni intermedie o dirigenziali (42%), nonostante una custodia di bambini fortemente privatizzata e lunghe settimane di lavoro. Rost attribuisce questa situazione a due fattori: in primo luogo, c’è una pronunciata “battaglia per il talento” negli Stati Uniti. Di conseguenza, le aziende finanziano spesso la custodia di bambini e un generoso congedo maternità per attirare o trattenere le donne altamente qualificate. In secondo luogo, il dibattito sulla discriminazione razziale negli Stati Uniti ha notevolmente accelerato la discussione sulle donne.
“Madri snaturate e smidollati”
Uno studio spagnolo del 2018 ha evidenziato che i Paesi che prevedono quote rosa hanno anche più donne in posizioni dirigenziali. È interessante notare che il semplice fatto di discutere sull’introduzione di quote rosa in una nazione comporta un aumento delle donne in posizioni manageriali.
Katja Rost ha una visione ambivalente delle quote. Gli studi dimostrano che le quote non sono positive solo per le donne manager, ma anche per gli uomini più produttivi: “Dal momento che la pressione concorrenziale è improvvisamente maggiore, vengono promossi uomini con il rendimento più alto”. In ogni caso, la peggiore discriminazione non è di genere, ma sociale. “Con le quote rosa, invece dei soli uomini dell’élite, a fare carriera sono sia gli uomini sia le donne dell’élite”.
“La ragione principale per cui le donne fanno meno carriera degli uomini è ancora la famiglia.”
Katja Rost, professoressa di sociologia all’Università di Zurigo
Sebbene la ricerca rilevi gli effetti positivi delle quote rosa, prosegue Rost, va considerato anche l’atteggiamento della società nei confronti delle donne in carriera. Le norme e i valori identitari all’interno delle società giocano un ruolo importante, afferma la sociologa. Nei Paesi con culture maschiliste, come la Svizzera, la Germania e la Francia, le donne fanno più fatica a fare carriera. In questi contesti, l’accusa di essere una cattiva madre non è cosa rara. Allo stesso tempo, c’è molta più pressione sugli uomini affinché facciano carriera: chi non la fa rischia di essere considerato uno smidollato.
L’esempio del Giappone mostra quanto la cultura e i valori di un Paese possano influenzare le prospettive di carriera delle donne. Secondo il giornale Nikkei, meno dell’8% delle posizioni dirigenziali in Giappone sono occupate da donne. “In Giappone, i ‘vecchi patriarchi’ godono di una fiducia immensa. Né i giovani uomini, né le donne hanno buone opportunità di carriera”, spiega katja Rost. Cambiare una tale cultura richiederebbe diverse generazioni.
Quindi le quote, gli asili e le carriere part-time alla fine non servono a niente perché, nonostante tutto, è l’ambiente culturale a frenare le donne? Sì, risponde Rost: “Più strumenti di questo tipo ci sono in un Paese, più le donne accedono a posizioni dirigenziali. Questo aiuta a scalfire lentamente gli stereotipi più ostinati”.
Traduzione dal tedesco: Mattia Lento
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