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«Non esiste una produzione di olio di palma sostenibile su scala industriale»

In Indonesia, la superficie di terra coltivata con olio di palma è passata da 0,7 a 13,5 milioni di ettari tra il 1990 e oggi. AFP

Delle banche svizzere sono implicate nel controverso commercio di olio di palma in Indonesia, denunciano due organizzazioni umanitarie elvetiche. Kartini Samon si batte da anni contro l’espansione di queste monocolture, che hanno lasciato senza terra migliaia di famiglie. L’attivista indonesiana invita le banche a riconsiderare i loro investimenti, tenendo conto degli interessi della popolazione locale. 

Le banche svizzere chiudono gli occhi

Le organizzazioni non governative Sacrificio quaresimale e Pane per tutti hanno presentato lunedì 6 marzo 2016 uno studio sui legami tra 17 banche svizzere e 20 società attive nella produzione di olio di palma. L’analisi è stata realizzata dall’istituto di ricerche olandese Profundo nel periodo 2009-2016.

In cima alla “lista nera” figura Credit Suisse: in sette anni la banca ha investito 900 milioni di dollari in società che producono olio di palma. Tra queste figurano Bumitama e IOI Corporation, presenti nel Kalimantan occidentale. Le due multinazionali hanno iniziato le loro attività «senza l’approvazione della popolazione» e in zone vietate, come pendii ripidi o paludi, denunciano gli autori dello studio.

Le ONG svizzere sottolineano che «la terra deve essere fonte di vita e non di profitto» e chiedono alle banche di svizzere di assicurarsi che le multinazionali che sostengono rispettino il diritto internazionale e le norme ambientali. 

Dopo aver studiato agricoltura, Kartini Samon si è impegnata nei movimenti sociali a difesa dei contadini, per poi entrare a far parte dell’ONG internazionale GrainCollegamento esterno. Davanti alla stampa a Berna, ha denunciato il grave impatto di uno sviluppo incontrollato di monocolture sulla popolazione e l’ecosistema in Indonesia, principale produttore mondiale di olio di palma.

swissinfo.ch: Quali sono i problemi causati dalle coltivazioni di palme da olio in Indonesia?

Kartini Samon: Le popolazioni locali vengono derubate delle loro terre, per poter produrre olio di palma a livello industriale. Sulla grande isola di Kalimantan, un terzo delle terre coltivabili sono attualmente destinate a questa coltura. Ciò corrisponde praticamente alla superficie della Svizzera. Nel 2015, 85mila famiglie sono state coinvolte in 731 conflitti per la terra e sono state sfollate da produttori sempre più ambiziosi.  Senza contare che le monocolture distruggono le foreste e il suolo.

swissinfo.ch: Ha parlato anche di conseguenze sanitarie. Di che tipo?

K.S.: Quasi ogni anno, segmenti di foresta vengono bruciati per bonificare il terreno a basso costo. Le nuvole di fumo sono all’origine di problemi respiratori. Inoltre l’utilizzo di erbicidi e fertilizzanti ha un impatto negativo sulla salute di coloro che lavorano nelle piantagioni, ma anche sui residenti.

swissinfo.ch: La popolazione locale non approfitta delle ricadute economiche legate al commercio di olio di palma?

K.S.: Solo un piccolo numero di sfollati è stato contattato dai produttori di palma per lavorare nelle piantagioni. Bisogna poi sottolineare che le condizioni di lavoro sono problematiche. Gran parte dei contadini è impiegato alla giornata o per una stagione. Hanno poca o nessuna sicurezza sociale e salari bassissimi. Esistono ancora piccoli produttori, ma sono confrontati con la volatilità dei prezzi dell’olio, determinati dal mercato internazionale. E visto che i prezzi possono cambiare da un giorno all’altro, i contadini non hanno alcuna garanzia di guadagnare abbastanza per arrivare a fine mese.

Kartini Samon lavora per l’ONG Grain dal 2013. sehenundhandeln.ch

swissinfo.ch: Che soluzioni propone?

K.S.: Dobbiamo fermare l’espansione dell’olio di palma e ricordare che ci sono molte altre fonti di oli vegetali. La produzione di olio di palma a basso costo, che permette alle imprese di massimizzare i profitti, sta uccidendo le altre colture. Il messaggio importante da trasmettere è che dobbiamo tornare a una produzione più locale, in modo da preservare l’ambiente. La produzione e il trasporto di olio di palma verso i paesi importatori produce emissioni di CO2 in grande quantità. Le banche che finanziano queste colture devono rivedere le loro strategie.

È però anche fondamentale sensibilizzare il consumatore affinché compri prodotti freschi e regionali invece di prodotti trasformati, che nel 50% dei casi contengono olio di palma. 

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swissinfo.ch: Le banche svizzere sotto accusa hanno però aderito a tutta una serie di standard internazionali che dovrebbero garantire che i progetti finanziati rispettano i diritti umani e la protezione dell’ambiente. Non è una misura sufficiente?

K.S.: Le banche adottano questi standard, che fungono da greenwashing (letteralmente “dissimulazione ecologica, ndr), senza però modificare le loro pratiche. In questo modo si mostrano come difensori di un’ecologia sostenibile. In realtà non esiste una produzione di olio di palma sostenibile su scala industriale. Si tratta sempre di monocolture di palma, che distruggono il suolo e utilizzano le risorse d’acqua disponibili.

swissinfo.ch: Tra il 2009 e il 2013, l’impegno finanziario delle banche svizzere in questo settore è però diminuito in modo significativo. Non è un segnale positivo?

K.S.: È ciò che speriamo. Le banche svizzere devono riconsiderare i loro investimenti. Non devono più pensare unicamente agli utili, ma anche agli interessi delle popolazioni. Ci auguriamo inoltre che i cittadini svizzeri facciano pressione sugli istituti bancari affinché investano altrove. 

Credit Suisse si difende

Contattato da swissinfo.ch, Credit Suisse non conferma la cifra di 900 milioni di dollari investiti in società attive nella produzione di olio di palma. La seconda banca svizzera dice inoltre di «non avere relazioni economiche con produttori che non sono membri della Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile (RSPO) e le cui operazioni non sono certificate secondo i criteri RSPO». La RSPO è stata lanciata nel 2004 dal WWF e, secondo i suo i promotori, rappresenta «uno standard minimo». 

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