Vietare la pubblicità fa diminuire il numero di fumatori?
Non esistono cifre che dimostrano in maniera esplicita che il divieto di pubblicità da solo faccia diminuire il numero di fumatori. È quanto ha dichiarato un parlamentare durante il dibattito sulla nuova legge sui prodotti del tabacco. Un’affermazione corretta da un punto di vista formale, meno nella sostanza.
Il 14 giugno il Consiglio degli Stati ha rinviato al governo il progetto di nuova legge sui prodotti del tabacco, ritenendo eccessive le limitazioni proposte in materia di pubblicità e sponsorizzazione. Durante il dibattito, il ‘senatore’ del Partito liberale radicale (PLR, centro destra) Josef Dittli ha dichiaratoCollegamento esterno che «dal punto di vista della maggioranza della commissione [della sicurezza sociale e della sanità, che ha esaminato il progetto di legge] non vi sono cifre che dimostrano esplicitamente che il divieto di pubblicità da solo faccia regredire il numero di fumatori».
La riduzione constatata in Svizzera negli ultimi dieci anni – il tasso di fumatori è passato dal 32 al 25% – è da ascrivere alle azioni di prevenzione e di sensibilizzazione. La Francia, dove dal 1991 sono in vigore divieti di pubblicità severi, ha una percentuale di fumatori più elevata della Svizzera, ha proseguito Dittli.
Impatto sui giovani
In un articoloCollegamento esterno pubblicato nel 2008 che fa la sintesi di diversi studi sul tema, due ricercatori dell’Università di Villanova, in Pennsylvania, giungono effettivamente alla conclusione che «i divieti di pubblicità per le sigarette non hanno un effetto significativo sul consumo». Tuttavia, in un altro articoloCollegamento esterno del 2011, uno dei due autori scrive: «La pubblicità sembra essere correlata con la decisione di un consumatore di iniziare a fumare». In altre parole, vietare la pubblicità non fa sì che dei fumatori decidano di smettere. Però può permettere di evitare che alcuni inizino.
Un’analisi confermata anche dall’Organizzazione mondiale della sanitàCollegamento esterno: «Gli studi indicano che circa un terzo dei giovani che provano a fumare, lo fanno perché sono stati esposti alla pubblicità».
In un’ampia ricerca del 2008, intitolata «The Role of the Media in Promoting and Reducing Tobacco UseCollegamento esterno», l’Istituto nazionale USA di lotta contro il cancro arriva in sostanza alla stessa conclusione: «Da studi longitudinali emergono prove forti e consistenti secondo cui l’esposizione alle pubblicità di sigarette influenza gli adolescenti non fumatori, iniziandoli al fumo e trasformandoli in fumatori regolari».
Cicli di vita
Perché i fabbricanti di sigarette spendono così tanto in pubblicità se questa non fa aumentare il consumo?
Per conquistare la più grande fetta di mercato, affermano diversi economisti e specialisti di marketing. Secondo la teoria dei cicli di vitaCollegamento esterno, ogni prodotto passa attraverso quattro fasi: l’introduzione, la crescita, la maturità e il declino. Durante la prima fase, la pubblicità serve a creare un nuovo mercato e a svilupparlo. Nelle fasi successive, invece, si concentra sulle marche. Ogni azienda cerca di ottenere la parte più grande possibile in un mercato dapprima in crescita, poi in stagnazione e infine in declino. Il tabacco si troverebbe proprio a cavallo tra le ultime due fasi.
Divieto sì, ma generalizzato
Per essere efficace, il divieto deve però essere generalizzato. Un divieto solo parziale «generalmente induce un aumento delle spese di pubblicità nei media ‘non banditi’ [ad esempio su Internet, ndr] o in altre attività di marketing, controbilanciando così gli effetti del divieto parziale», scrive l’Istituto nazionale USA di lotta contro il cancro.
L’Ufficio federale della sanità pubblicaCollegamento esterno sottolinea dal canto suo «che diverse ricerche dimostrano l’esistenza di una correlazione tra la pubblicità e il consumo. La pubblicità per i prodotti del tabacco non influisce soltanto sulla scelta del marchio da parte dei fumatori, ma aumenta anche la domanda totale».
Uno degli studiCollegamento esterno a cui si fa spesso riferimento, pubblicato nel 2000 e basato sull’aggregazione di dati relativi a diversi paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, conclude che «un divieto globale della pubblicità può ridurre il consumo del 6,3%». Gli autori della ricerca parlano però di consumo e non di numero di fumatori.
Da un punto di vista formale, l’affermazione di Josef Dittli è quindi corretta: non vi è nessuna cifra che mostra che il divieto di pubblicità da solo riduce il numero di fumatori. Nella sostanza è però una tesi difficilmente difendibile: se il consumo cala di oltre il 6%, è altamente presumibile che una parte – anche minima – sia da imputare al fatto che alcuni abbiano deciso di smettere di fumare o che molti abbiano scelto di non iniziare.
Contattate l’autore via twitter @damariani1Collegamento esterno
Siete favorevoli a un divieto generalizzato della pubblicità dei prodotti del tabacco? Oppure una simile misura è un’ingerenza inaccettabile nella libertà di mercato? Dite la vostra.
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