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Steinbrück attacca, la Svizzera si difende spionando

L'ex ministro tedesco delle finanze Peer Steinbrück aveva minacciato di far uso della "cavalleria" per spingere gli indiani (gli svizzeri) a sotterrare il segreto bancario. Reuters

La vicenda dell’agente svizzero Daniel M., arrestato recentemente in Germania per presunte attività di spionaggio, risale già ad alcuni anni fa. Per capire le motivazioni di questa operazione eseguita dal servizio d’informazione, occorre quindi fare un passo indietro, ossia ai tempi in cui i rapporti tra la Svizzera e la Germania erano offuscati dalla vertenza sul segreto bancario. 

In seguito alle forti pressioni internazionali, in particolare degli Stati uniti e della Germania, nel 2013 la Svizzera ha varato una nuova strategia per una piazza finanziaria pulita, adeguandosi agli standard elaborati dall’OCSE per combattere l’evasione fiscale. Da allora i cittadini tedeschi hanno smesso di nascondere soldi nelle banche elvetiche. 

La vertenza fiscale tra i due paesi sembrava quindi rientrata. Come consueto tra buoni amici, al termine di una disputa si cerca generalmente di dimenticare i torti reciproci. Le offese vengono tutt’al più ricordate come scherzi aneddotici. 

Così ha fatto anche la Svizzera negli ultimi tempi con gli attacchi lanciati una decina di anni fa da Peer Steinbrück. L’ex ministro tedesco delle finanze si era dato come missione di scalfire il segreto bancario svizzero, allo scopo di incrementare gli introiti fiscali in Germania. Steinbrück intendeva riportare nelle casse dei Länder tedeschi i fondi nascosti in Svizzera dai suoi concittadini. 

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“Gli indiani devono sapere… “ 

“Non dobbiamo usare solo la carota, ma anche il bastone”, aveva detto Steinbrück nel 2008 all’indirizzo della Svizzera. Nel 2009, parlando della possibilità di porre la Svizzera su una lista nera dei paesi non cooperativi a livello fiscale, aveva ribadito le minacce: “Non è sempre necessario dispiegare la settima cavalleria del forte di Yuma”, aveva dichiarato l’ex ministro tedesco. “Gli indiani (ossia gli svizzeri, ndr.) devono solo sapere che esiste. E, se suscita un certo nervosismo, allora comincia a tirare una nuova aria”. 

In quegli anni, il fisco tedesco era diventato sempre più attivo nei confronti della Svizzera. Nel 2011, osservando le azioni intraprese da alcuni Länder tedeschi, Steinbrück aveva commentato soddisfatto: “Alcuni hanno fatto uscire la cavalleria, non si limitano a parlarne. E sono estremamente efficaci”. Alcuni Länder avevano infatti cominciato ad offrire denaro per acquisire dati bancari di contribuenti tedeschi che avevano nascosto fondi in Svizzera. Dati bancari sottratti illegalmente. Un “Far west” alla tedesca, insomma.   

Un delitto in Svizzera 

Così, in Svizzera, vari impiegati di banca avevano dato inizio ad una nuova attività: copiare furtivamente dati bancari e portarli clandestinamente in Germania per ricevere in cambio dalle autorità tedesche valigie riempite di denaro. Le banche svizzere avevano allora denunciato i furti di dati, come pure il loro acquisto da parte del fisco tedesco, equiparandolo a ricettazione. In base alla normativa elvetica che regola il segreto bancario, la copia e la trasmissione di dati costituiscono un delitto. Un caso quindi per la giustizia e per il Ministero pubblico della Confederazione. 

Nel 2010, mentre una parte delle autorità svizzere stava elaborando ufficialmente una strategia per una piazza finanziaria pulita, un’altra parte, non ufficiale, tentava di difendere il denaro nero, cercando gli autori del traffico di dati bancari rubati. Il servizio delle attività informative si era dato l’incarico d’identificare i funzionari tedeschi che stavano orchestrando questo traffico. Un incarico attribuito tra l’altro a Daniel M., un ex impiegato dell’UBS, sospettato di essere stato implicato a sua volta nella vendita di CD contenenti dati bancari. 

Controspionaggio? 

In Svizzera si dibatte ora sulla legalità dei sevizi affidati a Daniel M. Operazioni dei servizi segreti vengono spesso eseguite in una zona grigia a livello legale. Coloro che difendono l’operato delle autorità elvetiche, tra cui anche diversi politici, evidenziano il fatto che anche funzionari tedeschi avevano indagato clandestinamente per anni in Svizzera. 

In tale ottica, la Svizzera avrebbe quindi avuto ogni diritto di sguinzagliare delle spie per scovare gli autori del traffico di dati bancari. Si tratterebbe di misure di difesa o di controspionaggio. E non vi sarebbe quindi nessuno scandalo. Il dibattito su questa vicenda appare però giustificato. 

La giustizia elvetica ha operato partendo da basi legali. In quest’ambito sarebbe però stata sufficiente una domanda di assistenza giudiziaria alla Germania. E i servizi segreti? Forse hanno agito al servizio di sua maestà, gli affari.

Traduzione di Armando Mombelli

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