“Le stazioni sciistiche fanno una pericolosa corsa agli investimenti”
Franco forte, mancanza di neve, calo degli sciatori: in Svizzera, la maggior parte delle stazioni sciistiche hanno crescenti difficoltà finanziarie. Ciò malgrado, continuano ad effettuare ingenti investimenti in infrastrutture, invece di sviluppare reali alternative allo sci, sottolinea Christophe Clivaz, esperto di turismo sostenibile presso l'università di Losanna.
Due terzi delle società proprietarie di impianti di risalita in Svizzera dipendono da soldi pubblici per sopravvivere: questo fatto preoccupante emerge da uno studio condotto dall’università di Lucerna.
All’origine dei problemi vi sono inverni miti, che penalizzano le stazioni di bassa e media quota, l’inesorabile declino del numero di sciatori e una concorrenza internazionale che attrae sempre più appassionati di sci scoraggiati dai prezzi elevati in Svizzera.
Nel tentativo di rimanere competitive, molte stazioni non esitano fare cospicui investimenti negli impianti di risalita e di innevamento. Una fuga in avanti denunciata da Christophe Clivaz, professore presso l’Istituto di geografia e sostenibilità dell’università di Losanna e co-autore del libro ” Tourisme d’hiver: le défi climatique” (Turismo invernale: la sfida climatica).
swissinfo.ch: Le stazioni sciistiche a bassa e media altitudine per la terza volta di fila sono state duramente colpite dalla mancanza di neve durante le festività di Capodanno, che rappresentano una parte significativa del loro giro d’affari. Si tratta di un assaggio di ciò che ci aspetta in futuro?
Christophe Clivaz: I modelli climatici mostrano in effetti uno spostamento dell’arrivo della prima neve della stagione. È una tendenza che si intensificherà in futuro, anche se possono esservi variazioni meteorologiche molto forti da un anno all’altro. Queste difficoltà si aggiungono all’innalzamento del limite pioggia-neve: dagli anni 1960, il limite di zero gradi è salito di quasi 300 metri nelle Alpi svizzere.
swissinfo.ch: Le stazioni sciistiche svizzere sono pronte ad affrontare questa sfida climatica?
C. C.: Dipende dalle regioni. Nei Grigioni, c’è una vera e propria riflessione sull’adattamento del turismo ai cambiamenti climatici. La strategia delle autorità prevede chiaramente di orientare il potenziale di sviluppo verso le altre stagioni, soprattutto verso l’estate.
In Vallese, è molto diverso. Nei documenti ufficiali, si parla ancora di crescita del turismo invernale e di aumentare la quota di mercato dello sci, mentre sarebbe già una buona notizia se non si perdessero troppi clienti nei prossimi anni.
swissinfo.ch: Il Vallese ha la peculiarità di avere stazioni sciistiche tra le più alte delle Alpi (Verbier, Zermatt, Saas-Fee). Non è un vantaggio competitivo?
C. C.: Un effetto positivo si farà sentire su una generazione. Le persone che vogliono continuare a sciare andranno in zone di alta quota. Ma il problema del riscaldamento globale prima o poi raggiungerà anche quelle stazioni. Con la chiusura di piccole stazioni sciistiche delle Prealpi o del Giura, i bambini avranno sempre meno opportunità di imparare a sciare vicino a casa e il bacino di reclutamento di nuovi sciatori si restringerà.
Inoltre, gli ingenti investimenti necessari per l’innevamento artificiale delle piste porteranno a un ulteriore rincaro dei prezzi. Già oggi, molte persone hanno abbandonato lo sci per motivi finanziari. In futuro, questo sport sarà riservato solo a una fascia agiata della popolazione.
swissinfo.ch: Eppure la maggior parte delle società di impianti di risalita continua a investire massicciamente in infrastrutture. È ragionevole?
C. C.: No, c’è una sorta di pericolosa “corsa agli armamenti”, una vera e propria fuga in avanti. Indipendentemente dalla variabile climatica, alcune stazioni non se la caveranno. Il numero di giornate-sciatori è crollato di quasi il 20% in dieci anni e nulla indica che si invertirà la tendenza.
In Svizzera, ci sono pochissime zone sciistiche che sono redditizie in senso strettamente economico. Hanno bisogno di aiuto per girare e non hanno i mezzi per mettere da parte i soldi per gli investimenti. Buona parte del settore sciistico è sovvenzionato dagli enti pubblici locali, dunque dai contribuenti.
swissinfo.ch: Le società di impianti di risalita hanno davvero la scelta, se non vogliono essere definitivamente soppiantate dalla concorrenza italiana, austriaca o francese?
C. C.: Per un comprensorio sciistico ha certamente senso investire in misure di adattamento di fronte ai cambiamenti climatici. Misure che passano per lo più dalla neve artificiale. Ma se tutti lo fanno mentre il mercato dello sci è in declino, non ci saranno abbastanza clienti per tutti. Si dovrebbero invece concentrare gli aiuti pubblici su alcune aree sciistiche e aiutare altre stazioni a disinvestire e trovare alternative allo sci.
swissinfo.ch: Come spiega allora che non lo si faccia o molto poco?
C. C.: Il blocco è soprattutto mentale. Molti attori del settore turistico e politici eletti continuano a mantenere una sorta di mito e di rapporto sentimentale con gli impianti di risalita. Negli anni 1950-1960, subito dopo la fine del periodo di costruzione delle grandi dighe, è infatti il boom dello sci che ha contribuito a mantenere ed espandere significativamente le attività economiche nelle valli alpine ed evitare così un massiccio esodo rurale.
swissinfo.ch: Oggi esiste veramente un’alternativa allo sci che permetta di generare risorse sufficienti per vivere le popolazioni di montagna?
C. C.: Non c’è un’attività che genererà da sola gli stessi proventi dello sci. Ma lavorando su una gamma di prodotti diversificati, vi ci si può arrivare. Il mountain bike o l’escursionismo, per esempio, hanno ancora un enorme potenziale di sviluppo in Svizzera. Certamente non generano lo stesso fatturato dello sci, ma anche l’investimento di base è molto inferiore.
Quanto al riscaldamento globale, rappresenta anche un’opportunità per il turismo estivo nelle Alpi, che diventeranno un’oasi di frescura e di tranquillità molto apprezzata.
swissinfo.ch: Ma si può sviluppare ulteriormente il turismo estivo in Svizzera senza che presto le Alpi abbiano l’aspetto di un enorme parco di divertimenti?
C. C.: I comprensori sciistici di fatto sono già parchi di divertimento. In estate i loro paesaggi sono spesso danneggiati e disseminati di brutti impianti – tralicci, cannoni sparaneve, vasche di accumulo dell’acqua, eccetera. È proprio in quei luoghi che si possono offrire attività di divertimento ai turisti: tree climbing, rampichini, via ferrata e così via.
Alcune stazioni delle Prealpi, come il Monte Tamaro in Ticino o il Moléson nel cantone di Friburgo, hanno superato con successo questa svolta. È la prova che la fine delle gli impianti sci non significa necessariamente la morte delle stazioni turistiche di montagna.
Un promotore sereno
Le previsioni e i suggerimenti del professor Christophe Clivaz non sono condivisi da tutti. Vi sono operatori del settore convinti che le stazioni sciistiche abbiano ancora un promettente futuro e che si debba continuare ad investire in questo comparto.
Tra costoro c’è Jean-Marie Fournier, direttore degli impianti sciistici di Nendaz e Veysonnaz, soprannominato il “barone del Vallese centrale”. Pur riconoscendo che i prezzi elevati in Svizzera rappresentino un handicap per la competitività, l’imprenditore afferma che ormai “i clienti si sono abituati” al franco forte.
Fournier è inoltre “molto scettico” in merito al riscaldamento globale e “niente affatto preoccupato”: “Constato che la metà degli scienziati non condivide il parere dell’altra metà. I periodi di riscaldamento sono sempre esistiti”.
A suo avviso non c’è alternativa allo sci: il cosiddetto “turismo dolce” può essere un complemento, non un sostitutivo. “Si deve invece innovare e proporre un modo di consumare lo sci che piaccia ai clienti”. La sua ricetta: lo sci come offerta centrale, con belle piste e buoni impianti, con un contorno di attività di svago e di relax alla moda.
Potete contattare l’autore dell’articolo su Twitter @samueljabergCollegamento esterno
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(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)
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