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Cinque cose che l’Africa può fare per trarre il massimo dal suo cacao

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Circa un milione di coltivatrici e coltivatori di cacao in Africa occidentale non guadagna abbastanza per soddisfare i propri bisogni primari. Swissco/SWI

L'Africa occidentale produce il 75% delle fave di cacao impiegate nella lavorazione del cioccolato. Eppure, un quinto delle persone che coltivano cacao nella regione non guadagna abbastanza per vivere. SWI swissinfo.ch ha chiesto a due esperte e tre esperti come colmare questa lacuna.

Più o meno un milione di coltivatrici e coltivatori di cacao in Africa occidentale (su un totale di circa cinque milioni) non guadagna abbastanza da soddisfare i propri bisogni primari quali cibo, un alloggio, vestiti, istruzione e cure mediche. Le famiglie contadine ghanesi e ivoriane guadagnano appena, per persona al giorno, 1,42 dollari (1 franco e 27 centesimi), rispettivamente 1,23 dollari (1 franco e 10 centesimi): lo rilevano le indagini condotte nel 2019 da Cocoa Life, programma per l’approvvigionamento sostenibile dell’industria dolciaria Mondelez International. Cifre ben al di sotto del minimo vitale ($2,08 e $ 2,55).

D’altra parte, quasi metà del mercato globale del cioccolato – che vale più o meno 120 miliardi di dollari – finisce nelle casse dei marchi europei come Nestlé, Lindt & Sprüngli o Ferrero, secondo quanto riporta una ricerca di mercato di Marketsandmarkets del 2023. I pesi massimi dei prodotti di cioccolateria in Nordamerica e Asia Pacifico quali Mars, Mondelez e Meji intascano circa il 30%, mentre ai Paesi produttori di cacao africani come Costa d’Avorio e Ghana non resta che un magro 5%.

Una delle ragioni principali dell’enorme divario tra le quote di Europa e Africa nei ricavi globali del cioccolato è che quest’ultima è all’inizio della catena del valore, e si limita a coltivare ed esportare la materia prima. L’Europa, per contro, trasforma gran parte di questa materia prima in cioccolato che vende a consumatrici e consumatori. L’Africa sta cercando di risalire questa catena del cacao attraverso la costruzione di stabilimenti di lavorazione e offrendo incentivi economici alle aziende che faranno altrettanto sul suo territorio. Ma non è ancora abbastanza per sfondare nel mercato mondiale.

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SWI swissinfo.ch ha consultato due esperte e tre esperti svizzeri per conoscere il loro punto di vista su come l’Africa possa limitare questo divario e assicurare a coltivatrici e coltivatori una vita dignitosa.

Moderare le forniture

Secondo Christian Robin, direttore della Swiss Platform for Sustainable Cocoa (piattaforma per un cacao sostenibile cui aderiscono industrie dolciarie, mercanti, dettaglianti, organizzazioni non governative e istituti di ricerca), un problema chiave è che l’Africa produce più cacao di quel che il mercato possa assorbire. Ciò significa che il potere contrattuale tende a essere nella mani delle società acquirenti internazionali e i prezzi del cacao rimangono bassi.

“La Costa d’Avorio ha quasi raddoppiato la sua produzione di cacao negli ultimi dieci anni. Anche se è difficile, a un certo punto i principali produttori africani dovranno amministrare meglio le loro forniture”, dice.

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Ricercatrici e ricercatori spiegano che il boom nella produzione di cacao ivoriano in questo periodo è dovuta alla migrazione (interna, e dai Paesi vicini) verso la regione occidentale. Molti sono stati attratti dalla disponibilità di suolo e dalla scarsa applicazione delle leggi che, nei territori ribelli, ha consentito a chi vi si è insediato di deforestare aree protette per coltivare cacao.

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Christian Robin, direttore esecutivo della Swiss Platform for Sustainable Cocoa, in compagnia di coltivatori del Ghana. Swissco

Robin raccomanda alle aziende agricole dell’Africa occidentale di diversificare le loro attività e di avviare altre colture, per ridurre la dipendenza dalle fluttuazioni dei prezzi del cacao. Ma le autorità locali non appoggiano sempre la diversificazione.

“I consigli del cacao vedono altre colture come l’anacardo, la gomma o l’olio di palma più come una minaccia che come parte di una politica più ampia volta ad aumentare il reddito e la resilienza delle famiglie contadine”, si rammarica Robin.

Costa d’Avorio e Ghana, i due principali produttori di cacao del mondo, hanno dei consigli governativi responsabili di vegliare sulla qualità delle fave di cacao e fissare il prezzo minimo da corrispondere ad agricoltrici e agricoltori per il raccolto. Forniscono inoltre fertilizzanti, pesticidi e piantine di cacao. I consigli sono finanziati con i ricavi delle esportazioni di fave di cacao, che dovrebbero riversare a chi coltiva per almeno il 70%.

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Yanick Lhommel, responsabile sviluppo commerciale cacao e zucchero Fairtrade Max Havelaar Svizzera. Fairtrade Max Havelaar

Un modo di guadagnare più soldi è ottenere il marchio Fairtrade. L’ente di certificazione Fairtrade Max Havelaar, che ha sede in Svizzera, offre a coltivatrici e coltivatori un minimo di 2’400 dollari per tonnellata di fave di cacao, ossia circa 300 in più del prezzo ufficiale fissato dal Consiglio nazionale del caffè e del cacao ivoriano per il raccolto principale 2022/2023. Tuttavia, la domanda di cioccolato Fairtrade (circa il 15% del totale delle vendite in Svizzera) non è sufficiente a soddisfare tutti coloro che possono beneficiare di questa certificazione.

“È incoraggiante vedere che così tanti agricoltori e agricoltrici vogliano unirsi al nostro programma. Sfortunatamente, i volumi di produzione di cacao certificato sono troppo grandi rispetto a quel che riusciamo a vendere sul mercato”, conferma Yanick Lhommel, responsabile sviluppo commerciale della Fairtrade Max Havelaar Svizzera.

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Un sistema obsoleto

“Il sistema esistente, nel quale chi coltiva la terra non la possiede, ha reso il settore disfunzionale”, stima Brigitte Cuendet, coltivatrice svizzera di cacao che ha acquistato una tenuta di 12 ettari nel Ghana orientale nel 2014.

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La coltivatrice Brigitte Cuendet si ispira al mercato del caffè artigianale. Brigitte Cuendet

In questo sistema, il o la proprietaria di un piccolo appezzamento di solito ingaggia qualcuno che lo coltivi a cacao, in cambio di un terzo del raccolto. Tuttavia le proprietà sono troppo piccole – in Ghana mediamente due ettari – e i prezzi sono troppo bassi affinché ci si possa guadagnare da vivere. Inoltre, non ci sono reali incentivi per coltivatrici e coltivatori che vogliano migliorare il loro lotto, poiché incassano tutti gli stessi prezzi fissati dai consigli del cacao: guadagnano cioè in base alla quantità e mai alla qualità.

“Negli anni, abbiamo perfezionato le nostre tecniche post-raccolto e produciamo fave di cacao di qualità speciale. Naturalmente”, aggiunge, “ora desideriamo poter sviluppare la nostre catene di fornitura, anche se siamo piccoli”.

Ciò non significa che in questo scenario i consigli del cacao non debbano avere un ruolo. Cuendet è convinta che se si lavorasse con piccole torrefazioni di qualità, tutti ne trarrebbero vantaggio. L’imprenditrice svizzera è stata ispirata da un viaggio in Brasile, nel quale ha incontrato coltivatrici e coltivatori di caffè.

“Dovremmo seguire l’esempio di quel che succede nel commercio del caffè, dove le torrefazioni artigianali si riforniscono direttamente da piccoli coltivatori”, spiega.

Rigenerare i terreni

Mentre l’Africa occidentale produce più cacao di quanto ne serva, i raccolti sono minacciati dalle malattie delle piante e dall’età degli alberi, che li rende meno produttivi.

Sanja
Sanja Fabrio è la direttrice sviluppo commerciale della startup SwissDeCode. SwissDeCode

Il Consiglio del cacao del Ghana (COCOBOD) sta investendo 230 milioni di dollari – su un prestito da 600 concesso dalla African Development Bank – per risanare 160’000 dell’oltre milione di ettari di piantagioni non più produttive. Gli alberi di cacao di queste terre erano troppo vecchi o hanno dovuto essere estirpati e ripiantati dopo un’infezione da virus dell’edema dei germogli di cacao (in inglese: swollen shoot), che causa una diminuzione del raccolto in pochi mesi e la morte della pianta entro qualche anno.

“L’avanzata dello swollen shoot virus nell’Africa occidentale fa paura: ha raddoppiato le aree infette in tre anni. La siccità causata dai cambiamenti climatici peggiorerà le cose poiché le piante indebolite sono più vulnerabili all’infezione trasmessa dalla cocciniglia”, aggiunge Fabrio.

La specialista lavora per una start-up svizzera chiamata SwissDeCode, che ha sviluppato – insieme all’industria dolciaria Mars Wrigley – un kit per rilevare il virus sul campo. Il test costa attualmente 15 franchi a campione e può individuare l’infezione su una foglia prima che ne appaiano i sintomi. Considerato che le piante infette possono non mostrare alcun segno della malattia anche per due anni, il kit aiuta a scovare il problema e contenerlo. Fabrio spera di riuscire ad abbassare il costo dei test quando la sua azienda si assicurerà le partnership necessarie a trasferire la produzione nei Paesi interessati.

“Le aziende cioccolatiere hanno mostrato interesse per la tecnologia ma il prossimo passo sarà standardizzare l’adozione del test. I governi locali stanno già comparando il nostro test con il PCR (un test da laboratorio) e i risultati sono più che incoraggianti”, rivela.

Oltre alle malattie e all’età delle piante, altri rischi incombenti sono la scarsa fertilità del terreno e i cambiamenti climatici.

“La coltivazione del cacao prospera sui terreni primari, dopo la deforestazione. Non esiste una strategia per migliorarne o preservarne la fertilità, oltre l’uso dei fertilizzanti sovvenzionati”, osserva Brigitte Cuendet.

Da parte sua, l’imprenditrice ha provato a integrare la coltivazione del cacao con quelle dei banani e scoperto che questi ultimi trattengono l’umidità del suolo e procurano guadagni aggiuntivi. Per questo è frustrata dal fatto che il consiglio offra una sola varietà di piantina ibrida di cacao senza dare un’alternativa a chi vuole coltivarlo in condizioni di maggiore ombra, insieme ad alberi da frutto o da legname.

“Diversamente dalla gomma o dall’olio di palma, di solito il cacao in Ghana non è una monocultura e dunque ha lo straordinario potenziale di contribuire a ripristinare un paesaggio boschivo. Ciò potrebbe mitigare i cambiamenti climatici attraverso i microclimi e la conservazione e rigenerazione dei terreni, magari creando interessanti posti di lavoro”, conclude.

Conoscere chi consuma

“I grandi attori del commercio del cacao si contano sulle dita di due mani. Se pensi solo in termini di prezzo, sono dieci big players che ti giocano contro e possono trovare modi di abbassarlo”, spiega Anian Schreiber, amministratore delegato dell’azienda svizzera Koa, che vende prodotti a base di frutto del cacao. È un commercio di nicchia, perché di solito il frutto viene scartato dopo l’estrazione delle preziose fave.

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Anian Schreiber, CEO di Koa. Koa

Koa è stata creata nel 2017 con i soldi di Schreiber e dei suoi cofondatori e ha cominciato col produrre appena 12 litri di succo al giorno – diventati poi 5’000 – in un piccolo stabilimento in Ghana. Lo scorso anno, l’azienda con sede a Zurigo è riuscita a trovare 10 milioni di dollari di investimenti per costruire un nuovo impianto nel Paese africano che porterà la produzione a 25 tonnellate al giorno.

Sulla base della sua esperienza, Schreiber raccomanda a chi produce cioccolato di puntare a creare valore aggiunto nei Paesi d’origine, cosa che può accadere solo con la comprensione dei propri mercati chiave. Consiglia inoltre di investire in marketing in Europa e negli Stati Uniti per avvicinarsi il più possibile al consumatore e alla consumatrice finale e trovare nuovi modi di valorizzare il cacao.

“Attualmente la questione è solo chi prende quale fetta della torta. Invece, dovrebbero chiedersi a chi piace. E se va bene una torta oppure è meglio un muffin, o un brownie”, dice.

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Cita l’esempio della più grande azienda di lavorazione del cacao del Ghana, la Niche Cocoa, che lo scorso anno ha aperto uno stabilimento negli Stati Uniti per avere un punto d’appoggio nel redditizio mercato americano. In aprile, Niche Cocoa ha anche lanciato il primo latte al cioccolato in bottiglia del Ghana.

Attirare i e le giovani

Diversi sondaggi indipendenti fissano l’età media di chi coltiva cacao in Ghana tra 50 e 55 anni. Molti lavorano fino a quando il fisico lo consente a causa della mancanza di interesse da parte delle nuove generazioni.

Secondo Cuendet, la coltivazione del cacao è considerata l’ultima risorsa e ragazze e ragazzi fanno di tutto per accedere ad altre professioni come quelle sanitarie, dell’insegnamento o nelle forze dell’ordine. Ritiene sia colpa delle condizioni fondiarie sfavorevoli e dei prezzi del cacao non in linea con il crescente costo della vita, che mettono in cattiva luce il duro lavoro necessario a coltivarlo.

“Per convincere la gioventù, dev’esserci una concreta prospettiva di sviluppo che consenta di vivere ben al di sopra della soglia di povertà”, chiarisce.

Ma oltre ai soldi anche la formazione è importante. Nel 2016 il Ghana, insieme ai partner internazionali, ha lanciato un programma su cinque anni chiamato Next Generation Cocoa Youth Program (MASO) che ha offerto una formazione in agricoltura e sviluppo aziendale a 10’000 giovani disoccupate e disoccupati che vivevano con meno di due dollari al giorno. Una valutazione del progetto, terminato nel 2020, ha stabilito che coloro che hanno ricevuto la formazione hanno il 22,5% di probabilità in più di coltivare cacao.

A cura di Virginie Mangin

Traduzione dall’inglese: Rino Scarcelli

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