Come la “trinità” svizzera ha costretto UBS a salvare Credit Suisse
L'acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS la scorsa domenica ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro in tutto il mondo. Vi riproponiamo qui la traduzione di un articolo del Financial Times che descrive i dietro le quinte degli ultimi giorni della seconda banca svizzera.
La chiamata d’emergenza da parte dell’establishment svizzero è arrivata alle 16:00 di giovedì.
Colm Kelleher, un irascibile dirigente bancario irlandese, presidente di UBS dallo scorso aprile, aveva in programma di festeggiare il giorno di San Patrizio venerdì, prima di assistere in un pub di Zurigo alla partita di rugby che l’Irlanda avrebbe giocato contro l’Inghilterra sabato. Sperava di vedere il suo Paese vincere nettamente nel Torneo delle Sei Nazioni.
Ma già prima di rispondere alla chiamata, sapeva che le possibilità di godersi un fine settimana divertente erano scarse. La crisi in cui è sprofondata la banca rivale Credit Suisse sembra ormai essere sfuggita di mano.
Un giorno prima, una garanzia di liquidità di 50 miliardi di franchi svizzeri (54 miliardi di dollari) da parte della Banca nazionale svizzera non era riuscita ad arrestare una crisi di fiducia tra i finanziatori, le cui azioni erano crollate dopo che Ammar Al Khudairy, presidente della Saudi National Bank, il più importante azionista di Credit Suisse, aveva risposto senza mezzi termini “assolutamente no” alla domanda se avrebbe immesso altro denaro nell’istituto svizzero.
I mercati globali erano già in ansia dopo che le autorità di vigilanza statunitensi avevano preso il controllo della Silicon Valley Bank in seguito al ritiro di 42 miliardi di dollari di depositi in un solo giorno. Lo stesso stava accadendo al Credit Suisse. Stava perdendo più di dieci miliardi di franchi al giorno di denaro della clientela facoltosa, che si aggiungevano ai 111 miliardi di franchi volatilizzatisi dopo che, in ottobre, sulle reti sociali si era diffuso la voce che la banca fosse sull’orlo del fallimento.
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“Il fatto che il più grande investitore abbia detto che non ci metterà più un centesimo è stato un enorme segno di sfiducia. Potrei affermare che se non avesse detto nulla ci saremmo trovati in una situazione molto diversa”, afferma una persona vicina al top management di Credit Suisse.
Mercoledì, la cosiddetta “trinità” – ovvero la Banca nazionale svizzera, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e il Dipartimento delle finanze – ha convocato il presidente di Credit Suisse Axel Lehmann, che si trovava in Arabia Saudita per una conferenza, e l’amministratore delegato Ulrich Körner.
Nella stessa riunione in cui hanno autorizzato il sostegno da 50 miliardi di franchi, hanno anche trasmesso un altro messaggio: “Farete la fusione con UBS e lo annuncerete domenica sera prima dell’apertura dei mercati asiatici. Non ci sono altre opzioni”, ricorda una persona informata sulla conversazione.
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Giovedì pomeriggio, Kelleher ha scoperto che i suoi piani per il fine settimana erano rovinati. La trinità ha chiamato UBS e ha ordinato al gruppo di trovare una soluzione per salvare dal fallimento la società in difficoltà.
Una liquidazione pilotata dal Governo “sarebbe stata un disastro per il sistema finanziario e avrebbe rischiato di contagiare tutto il mondo”, afferma un’altra persona coinvolta nel dossier nelle file di UBS. “I nostri interessi erano allineati anche perché un fallimento non è positivo per il marchio svizzero di gestione patrimoniale. Quindi abbiamo detto che, alle giuste condizioni, avremmo aiutato”.
L’acquisizione della sua rivale potrebbe rivelarsi una manna dal cielo per UBS. Ma in cambio dell’acquisizione di una banca con problemi di contenzioso e miliardi di asset tossici, UBS era determinata a ottenere il miglior accordo possibile.
Sabato l’Irlanda ha vinto il Torneo delle Sei Nazioni, ma Kelleher ha potuto gustare una sola pinta di Guinness al pub James Joyce di Zurigo.
Il resoconto che segue si basa su interviste a più di una dozzina di persone coinvolte in un frenetico fine settimana di trattative che ha portato alla fusione di una banca vecchia di 167 anni con la sua agguerrita rivale, spazzando via alcuni obbligazionisti e mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo.
Da tempo si discute e si vocifera di una fusione tra le due maggiori banche di Zurigo. Tidjane Thiam, l’ex amministratore delegato del Credit Suisse, ha ripetuto più volte ai colleghi quando era in carica tra il 2015 e il 2020 che si trattava “dell’unica fusione sensata nel settore bancario europeo”.
Fino alla scorsa settimana, l’establishment svizzero si era sempre impegnato per un modello a due banche. Nel 2008, piuttosto che permetterne l’acquisizione il Governo elvetico ha scelto di salvare UBS con il denaro del contribuente dopo che questa aveva subito perdite drammatiche durante la crisi finanziaria. Tuttavia, l’astio dell’opinione pubblica per quell’accordo è percepibile ancora oggi e ripeterlo era politicamente impensabile.
“Non si tratta di un salvataggio”, ha sottolineato la ministra delle finanze svizzera Karin Keller-Sutter all’annuncio dell’accordo domenica sera. “Si tratta di una soluzione commerciale”.
Consulenti e nomi in codice
Quando entrambe le parti hanno capito che un accordo era inevitabile, hanno assunto dei consulenti. Il Credit Suisse si è affidato da tempo a Centerview, la banca d’investimento guidata da Blair Effron e assistita da Tadhg Flood, ma Lehmann e Körner hanno reclutato anche l’ex banchiere d’investimento di UBS Piero Novelli per fornire una consulenza separata al consiglio di amministrazione. Rothschild ha fornito un ulteriore parere di congruità (Fairness Opinion) agli amministratori.
JPMorgan ha fornito consulenza al gruppo dirigente di UBS, mentre Morgan Stanley al consiglio di amministrazione di UBS. L’acquirente ha assegnato a ciascuna banca un nome in codice basato su un albero: Credit Suisse era Cedar (cedro) e UBS Ulmus, la parola latina che indica l’olmo.
Credit Suisse utilizzava nomi diversi: si riferiva a sé stessa come Como, mentre UBS era Ginevra, dal nome dei laghi.
Durante il processo non c’è stato quasi nessun contatto diretto tra le due parti, ciò che ha fatto infuriare sempre di più il personale di Credit Suisse, tenuto intenzionalmente all’oscuro del prezzo e dei termini dell’acquisizione.
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Viaggio in una macchina da 7’000 miliardi
La maggior parte delle interazioni è avvenuta tramite intermediari del Governo svizzero e delle autorità di vigilanza via Zoom.
“Giovedì eravamo tutti insieme a Zurigo ed era chiaro che il Governo avrebbe spinto in un senso o nell’altro per trovare una soluzione entro lunedì mattina, a tutti i costi, per proteggere l’interesse nazionale svizzero e, più in generale, l’interesse bancario su base globale”, afferma una persona vicina al Credit Suisse.
Karin Keller-Sutter, la ministra delle finanze, è stata una figura chiave per tutta la durata dei negoziati, anche per coordinarsi con le controparti straniere e le autorità di regolamentazione negli Stati Uniti e in Europa.
Era sottoposta a forti pressioni da parte delle autorità di regolamentazione mondiali, che chiedevano un’azione più rapida e decisa per evitare che il panico si diffondesse sui mercati. In particolare, gli Stati Uniti e la Francia stavano “prendendo a calci la Svizzera”, dice uno dei consulenti di UBS. Janet Yellen, segretaria al Tesoro statunitense, ha avuto diversi colloqui con Keller-Sutter durante il fine settimana.
Le trattative per l’accordo sono state inizialmente “abbastanza amichevoli”, ma con il passare del tempo la trinità ha iniziato a diventare più aggressiva, spingendo verso una transazione a cui il Credit Suisse si è opposto con veemenza.
Anche UBS si è dimostrata reticente. La dirigenza ha chiarito che avrebbe partecipato al salvataggio della rivale solo se il prezzo fosse stato conveniente e se fosse stata risparmiata da indagini sulla cultura aziendale e sui controlli in seno a Credit Suisse.
“Loro [UBS] avrebbero sempre cercato di ucciderci sul prezzo. E noi avremmo sempre cercato di ottenere un premio”, afferma una persona vicina al Credit Suisse.
Venerdì sera, quando è stato rivelato che UBS stava valutando un’acquisizione imposta dallo Stato, il Credit Suisse aveva perso altri 35 miliardi di franchi in depositi della clientela nei tre giorni precedenti, secondo un banchiere coinvolto nella vicenda, e le banche internazionali, da BNP Paribas a HSBC, stavano tagliando i legami. I regolatori hanno concluso che probabilmente non sarebbe stata in grado di aprire lunedì.
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Un altro potenziale offerente, tuttavia, era in attesa dietro le quinte: BlackRock di Larry Fink.
L’amministratore delegato dell’azienda statunitense ha riunito la sua cerchia ristretta giovedì e ha detto loro una frase che ha usato ripetutamente: “Per essere nel gioco devi giocarlo”, ricorda una persona coinvolta.
Durante la crisi finanziaria, BlackRock ha acquistato il ramo d’investimento BGI di Barclays nel 2009 per 15,2 miliardi di dollari, un’operazione che l’ha portata a diventare il più grande gestore patrimoniale del mondo con 2’700 miliardi di asset. Da allora è cresciuta fino a dominare il settore degli investimenti globali e a gestire 8’600 miliardi di dollari.
BlackRock ha intravisto un’opportunità simile con Credit Suisse.
Un team della società statunitense guidato da Rob Kapito, il braccio destro di Fink, è volato immediatamente a Zurigo e ha trascorso ore in una sala conferenze a studiare varie opzioni. Venerdì Fink si è rivolto anche a Bob Steel, vicepresidente di Perella Weinberg Partners, che si è recato a Zurigo.
BlackRock era aperta a diverse opzioni, tra cui un’acquisizione parziale o una collaborazione con altri.
“L’alternativa più credibile era BlackRock. . . Ma non era quello che voleva il Governo svizzero”, afferma una persona a conoscenza diretta della questione.
Alla fine della giornata di venerdì, BlackRock ha dichiarato di non voler acquistare l’intera banca. Credit Suisse ha risposto proponendo un investimento di minoranza, compresa una sorta di partenariato per la gestione patrimoniale. Alla fine, BlackRock ha deciso di non presentare un’offerta.
“Fink non era dell’umore giusto per far arrabbiare UBS, che è uno dei suoi maggiori clienti. Quindi ho sempre pensato che a un certo punto avrebbe fatto marcia indietro. Avrebbe dovuto fare i conti con le autorità di regolamentazione statunitensi, una cosa difficile”, afferma una persona vicina al Credit Suisse.
Le trattative sono proseguite per tutta la giornata di sabato, con le autorità di regolamentazione mondiali desiderose di approvare la struttura di un accordo di massima entro sera. Le scadenze sono state continuamente posticipate.
A rallentare i passi in avanti è stato anche un problema con il sistema di posta elettronica di UBS, che ha fatto sì che i messaggi richiedessero molto tempo per essere inoltrati. I supervisori, in preda all’ansia, dicevano loro di alzare il telefono.
Sempre più frustrato dalla mancanza di comunicazione da parte di UBS, Lehmann ha deciso di scrivere una lettera a Kelleher e alle autorità svizzere. Redatta dal consulente generale Markus Diethelm, che era arrivato da UBS a giugno, è stata consegnata sabato sera e conteneva una serie di motivi per cui la transazione prevista era inaccettabile.
Tra queste, l’insistenza di UBS sulle clausole di uscita, tra cui una legata a un aumento degli spread dei credit default swapCollegamento esterno (CDS) [un cosiddetto derivato di credito che consente di negoziare i rischi di insolvenza di obbligazioni, prestiti o nomi di debitori in borsa].
La lettera di Lehmann conteneva anche una minaccia: i tre maggiori azionisti del Credit Suisse – tra cui due dell’Arabia Saudita e uno del Qatar – hanno espresso il loro “estremo disagio” per l’opacità dell’accordo. Hanno chiesto un prezzo equo, di votare sull’accordo e di eliminare qualsiasi clausola di uscita. Nella lettera Lehmann ha fatto notare che i sauditi e i qatarioti sono grandi clienti di entrambe le banche.
In risposta, sabato sera Kelleher ha chiamato il suo omologo del Credit Suisse da un ristorante per dirgli che UBS era pronta a offrire un miliardo di dollari in azioni per l’intero gruppo, circa 0,25 franchi svizzeri per azione, molto al di sotto del prezzo di chiusura di 1,86 franchi svizzeri di venerdì.
Il Governo ha quindi informato Credit Suisse che avrebbe introdotto una legislazione d’emergenza per privare entrambi gli azionisti del diritto di voto sull’operazione.
Credit Suisse si è indignato e si è rifiutato di firmare. Il Credit Suisse si è opposto alla clausola di credit default swap (CDS) perché l’opzione di ritirarsi dall’accordo l’avrebbe fatto fallire una volta reso pubblico. Una simile condizione avrebbe portato al caos, dicono persone a conoscenza diretta delle trattative.
Anche i suoi azionisti mediorientali non erano per nulla contenti.
“Ci si prende gioco delle dittature e poi si può cambiare la legge durante il fine settimana. Qual è la differenza tra l’Arabia Saudita e la Svizzera? È davvero una brutta cosa”, dice una persona vicina a uno dei tre principali azionisti.
Domenica mattina, quando i termini dell’offerta da un miliardo di dollari sono stati rivelati dal Financial Times, questa persona ha dichiarato che la notizia è stata accolta nella regione con “incredulità”.
Aumentare la pressione
Sotto pressione per ottenere un accordo entro la fine della giornata, la trinità ha iniziato ad aumentare la pressione su entrambe le parti, minacciando di rimuovere il consiglio di amministrazione di Credit Suisse se non avesse firmato.
Dall’altra parte, UBS è stata sollecitata ad aumentare il prezzo e ha accettato con riluttanza, incrementando alla fine l’offerta a tre miliardi di franchi in azioni. In cambio, però, ha negoziato un maggiore sostegno da parte dello Stato, tra cui una linea di liquidità da 100 miliardi di franchi da parte della BNS e una garanzia governativa sulle perdite fino a nove miliardi di franchi, dopo essersi fatta carico dei primi cinque miliardi.
Le condizioni finali erano così favorevoli per UBS da essere “un’offerta che non potevamo rifiutare”, ha dichiarato al FT una persona del team di negoziazione. Un consulente di Credit Suisse le ha definite “inaccettabili e oltraggiose” e un “totale disprezzo della corporate governance e dei diritti degli azionisti”.
A questo punto, le due parti si sono incontrate di persona, ciò che non era mai avvenuto nonostante i loro uffici si trovano praticamente uno di fronte all’altro sulla piazza Paradeplatz di Zurigo.
Per rendere l’accordo più accettabile per la popolazione svizzera e per l’azionariato della banca, il Governo ha anche deciso di imporre perdite su 16 miliardi di franchi svizzeri di obbligazioni Additional Tier 1 (AT1) del Credit Suisse. Sebbene questi titoli siano concepiti per assorbire le perdite quando gli istituti si trovano in difficoltà, normalmente non vengono attivati se l’azionariato riceve denaro nell’ambito di un’acquisizione.
Tuttavia, le clausole scritte in piccolo nella documentazione relativa alle obbligazioni hanno permesso alle autorità svizzere di ignorare il normale ordine di priorità e di eliminare gli obbligazionisti.
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Un mondo senza Credit Suisse
“I detentori di AT1 sono stati sacrificati in modo che il Dipartimento delle finanze potesse cercare di salvare la faccia con i detentori di azioni internazionali, dopo aver negato loro il diritto di voto”, afferma uno dei banchieri che ha fornito consulenza sull’acquisizione.
I dettagli sono stati definiti così in fretta che l’amministratore delegato di UBS Ralph Hamers non ha potuto rispondere alle domande degli analisti sul trattamento del debito di Credit Suisse durante la presentazione di domenica sera dopo l’annuncio.
“Dovremo tornare da voi”, ha detto agli analisti presenti.
Il consiglio di amministrazione di Credit Suisse ha analizzato i dettagli della proposta finale e, dopo una rapida consultazione con i suoi consulenti, ha informato la trinità che avrebbe accettato l’offerta di tre miliardi di franchi.
Quando Karin Keller-Sutter è stata informata che l’affare sarebbe andato in porto prima dell’apertura dei mercati asiatici, sciogliendo giorni di tensione sul futuro del sistema finanziario svizzero e globale, ha tirato un sospiro di sollievo, dicono persone informate sulla questione.
A Berna è stata convocata in tutta fretta una conferenza stampa, dove la trinità è stata raggiunta dai presidenti di UBS e Credit Suisse per presentare un accordo storico.
“Il fallimento di una banca di rilevanza sistemica avrebbe avuto gravi ripercussioni”, ha dichiarato Keller-Sutter. “La Svizzera deve essere consapevole della propria responsabilità al di là dei confini nazionali”.
Seduto accanto a lei, a Lehmann di Credit Suisse è stato chiesto: “Chi è responsabile di questo disastro?”. Ha scelto di dare la colpa a Twitter.
“Il senno di poi è meraviglioso… è un dato di fatto che dal 2021 siamo sempre stati sulle prime pagine dei giornali”, ha risposto. “Lo scorso autunno c’è stata una tempesta sui social media che ha avuto ripercussioni enormi. E il troppo stroppia”.
Kelleher è stato più schietto. “È un giorno storico, un giorno che speravamo non arrivasse”, ha detto. “L’acquisizione è interessante per l’azionariato di UBS, ma, sia chiaro, per quanto riguarda Credit Suisse, si tratta di un salvataggio d’emergenza”.
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Traduzione di Daniele Mariani
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