La gente continua a comprare cibo che la fa star male. Come mai?
Una persona su dieci, nel mondo, si sente male dopo aver mangiato alimenti contaminati, un problema che provoca 420'000 morti all’anno. È possibile azzerare il rischio? Governi e aziende stanno facendo abbastanza per risolvere il problema?
Il formaggio svizzero è noto in tutto il mondo, ma non tutti sanno che ha causato vari decessi nel corso degli anni. Nel 1987, nel canton Vaud, 18 persone sono morte per un focolaio di listeriosi causato dal consumo di vacherin Mont-d’Or prodotto con latte crudo. Nel 2005, nel canton Neuchâtel, due persone hanno perso la vita dopo aver assaggiato una toma di produzione locale, sempre per listeriosi. Lo stesso focolaio ha causato anche aborti spontanei in due donne incinte. Tra il 2008 e il 2020, la listeriosi ha causato altri 10 decessi per consumo di brie contaminato prodotto da un’azienda del canton Svitto.
La listeria è una vera rovina per l’industria alimentare, poiché è un batterio resistente al congelamento, al calore e al sale. I prodotti maggiormente a rischio sono i cibi refrigerati a lunga conservazione, la carne cruda e i latticini. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la listeriosi è una patologia piuttosto rara (da 0,1 a 10 casi per milione all’anno a seconda della regione) ma potenzialmente fatale, con un tasso di mortalità del 20-30%.
Questo articolo è parte di una serie che esplora gli sviluppi dell’industria alimentare dal punto di vista delle consumatrici e dei consumatori. Nonostante sia un Paese piccolo, la Svizzera ha un peso notevole nel paniere alimentare globale. Vi hanno sede giganti agroalimentari come Nestlé e Syngenta, nonché aziende di primo piano dell’industria lattiero-casearia e della lavorazione del cioccolato. Il Paese si sta anche posizionando come polo delle tecnologie alimentari: conta numerose start-up e un incubatore specializzato, riuniti nella cosiddetta Swiss food and nutrition Valley. È inoltre il centro europeo di molte aziende attive nel commercio di materie prime alimentari come la soia, il cacao, il caffè e l’olio di palma.
Possibili fonti di infezione includono alimenti di origine animale (come carne, affettati, pesce, latte crudo e prodotti caseari, soprattutto il formaggio), ma anche prodotti di origine vegetale (come l’insalata in busta). Nella maggior parte degli individui sani, l’infezione di solito è lieve e causa sintomi pseudoinfluenzali o diarrea. Spesso è totalmente asintomatica. Nelle persone con un sistema immunitario indebolito, però, possono svilupparsi una serie di sintomi gravi, fra cui meningite, setticemia o polmonite, che richiedono una terapia antibiotica. Le donne incinte hanno un rischio 20 volte maggiore di contrarre la malattia, che può provocare aborti spontanei.
Le malattie di origine alimentare possono causare sintomi immediati, come nausea, vomito e diarrea (comunemente nota come intossicazione alimentare), ma anche patologie a lungo termine, come tumori, insufficienza renale o epatica, disturbi cerebrali o neurali. Tali malattie possono avere decorso più grave in bambini e bambine, nelle donne incinte, nella popolazione anziana o in coloro che hanno un sistema immunitario indebolito. I minori che sopravvivono alle forme più gravi possono manifestare ritardi nello sviluppo fisico e mentale, con un impatto permanente sulla loro qualità della vita.
Le patologie diarroiche sono responsabili di più della metà delle malattie di origine alimentare nel mondo, con 550 milioni di casi e 230’000 morti ogni anno. La diarrea è spesso causata dal consumo di carne cruda o poco cotta, uova, prodotti agricoli freschi e latticini contaminati da norovirus, campylobacter, salmonella non tifoidea e specie patogene di E. coli. Altre importanti cause di malattie di origine alimentare a livello globale sono febbre tifoide, epatite A, Taenia solium (un tipo di verme solitario) e aflatossina (prodotta da una muffa che si sviluppa nei cereali mal conservati).
Alcune malattie, come quelle causate dalla salmonella non tifoidea, sono considerate un problema di salute pubblica in tutto il mondo, nei Paesi ad alto reddito come in quelli a basso reddito. Altre patologie, come la febbre tifoide, il colera di origine alimentare e le infezioni da specie patogene di E. coli, sono molto più frequenti nei Paesi più poveri, mentre il campylobacter è un importante patogeno nei paesi Più ricchi.
Fonte: Organizzazione mondiale della sanità
Analisi genetica
La rapidità è fondamentale per contenere i focolai di listeria. All’inizio di luglio dello scorso anno, le autorità svizzere hanno rilevato un numero insolitamente elevato di casi di listeriosi. Nel giro di qualche giorno, un’indagine ha permesso di collegare 20 casi a un’azienda che produceva trote affumicate. Lo stabilimento è stato temporaneamente chiuso e i prodotti richiamati, fermando il focolaio che ha causato una vittima.
Come hanno fatto le autorità preposte alla sicurezza alimentare a individuare così velocemente la fonte della contaminazione?
In Svizzera, la listeriosi è una malattia a dichiarazione obbligatoria. Ciò significa che il personale medico e i laboratori sono tenuti a notificare alle autorità tutti i casi rilevati e soprattutto i focolai. Dal 2020, chi è colpito da listeriosi diventa parte attiva nel protocollo di controllo delle epidemie, poiché viene sottoposto a un sondaggio sistematico sul proprio consumo alimentare, nonché al prelievo di campioni per esami di laboratorio approfonditi. Tra questi, viene effettuata un’analisi genetica dei campioni e il sequenziamento dell’intero genoma del batterio. Così facendo è possibile individuare focolai potenzialmente originati dalla stessa fonte.
In più, l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria ha creato una piattaforma digitale per l’investigazione dei focolai di malattie determinate dalle derrate alimentari (ALEK), al fine di assicurare una risposta rapida.
“Spesso è ancora molto difficile stabilire il legame tra un gruppo di persone intossicate e l’origine dell’intossicazione. Il programma governativo ALEK e i progressi nelle tecniche di analisi dovrebbero contribuire al miglioramento del sistema di gestione dei focolai,” dice Patrick Edder, vicepresidente dell’Associazione dei chimici cantonali svizzeri.
Fortunatamente per consumatori e consumatrici, la listeriosi è piuttosto rara. Gran parte dei casi di intossicazione in Svizzera è da attribuirsi a batteri come E. coli, campylobacter e salmonella.
Nessun miglioramento in più di dieci anni
Nonostante norme igieniche più severe, tuttavia, sembra che le malattie di origine alimentare che richiedono una terapia riportate dal personale medico in Svizzera non siano diminuite.
Edder ha fornito delle possibili spiegazioni per il mancato miglioramento dei dati statistici: “Se si prendono in considerazione gli ultimi 20 o 30 anni, l’incidenza delle intossicazioni alimentari causate da salmonella è molto diminuita, grazie all’introduzione di requisiti di sicurezza alimentare e alle campagne informative sul consumo di uova crude. Al contrario, l’E. coli ha fatto registrare un’impennata, che però sembra dovuta più a un miglioramento delle tecniche di analisi che a un aumento delle intossicazioni”, ha riferito via email a SWI swissinfo.ch.
Nella maggior parte dei casi, Edder ha indicato come responsabili le pratiche igieniche improprie adottate nella preparazione casalinga degli alimenti, come la cottura insufficiente, e l’inadeguatezza della conservazione e dello stoccaggio dei prodotti. La campylobatteriosi, per esempio, è spesso legata al consumo di pollame grigliato poco cotto.
Tutto questo rende più difficile prevenire i focolai. Secondo l’OMS, una persona su dieci nel mondo si sente male dopo aver ingerito cibo contaminato, con 420’000 morti ogni anno.
“Sfortunatamente, in molti Paesi le autorità non fanno abbastanza controlli. In Germania, per esempio, circa un terzo delle ispezioni obbligatorie nelle aziende alimentari non viene eseguito, poiché gli enti che dovrebbero occuparsene soffrono di una evidente carenza di personale”, dice Dario Sarmadi di Foodwatch, una ONG europea impegnata a smascherare le cattive pratiche dell’industria alimentare.
I guai dell’industria alimentare
Quest’anno, in Svizzera, il numero di prodotti alimentari richiamati dal mercato (71 al 25 di ottobre) ha già superato quello del 2022 (62 in tutto), almeno stando al Sistema di Allerta Rapido per Alimenti e Mangimi (RASFF) della Commissione europea. Secondo la legge federale svizzera sui prodotti alimentari, la sanzione massima applicabile in caso di una negligenza che porti a contaminazioni alimentari è pari a 20’000 franchi.
Operando sul mercato internazionale, l’industria alimentare svizzera ha sborsato cifre ben più alte. Nel luglio dello scorso anno, per esempio, l’azienda cioccolatiera Barry Callebaut ha dovuto interrompere la produzione nel proprio stabilimento di Wieze, in Belgio, dopo che una partita di lecitina, un ingrediente che serve a rendere il cioccolato più omogeneo, è risultata contaminata da salmonella. La produzione ha potuto riprendere a pieno regime solo nell’ottobre del 2022, con perdite per almeno 77 milioni di franchi.
Nonostante i costi esorbitanti della chiusura, Barry Callebaut potrebbe anche averci risparmiato, perché ha potuto evitare di richiamare i prodotti. Per fare un confronto, si stima che nel 2022 il richiamo di una partita di burro di arachidi del marchio statunitense Jif, a causa di una contaminazione da salmonella in uno stabilimento del Kentucky, sia costato alla società madre 125 milioni di dollari (113 milioni di franchi).
Un altro colosso alimentare svizzero che ha pagato a caro prezzo la contaminazione di un suo prodotto è Nestlé. Nel marzo 2022, 75 bambini e bambine sono finiti in ospedale e due sono morti dopo aver consumato della pizza surgelata prodotta da uno stabilimento di proprietà della Nestlé in Francia. Si ritiene che l’intossicazione sia stata causata da farina contaminata con E. coli.
Oltre ad aver dovuto ritirare dagli scaffali dei supermercati francesi tutte le pizze surgelate del marchio Fraîch’Up Buitoni, Nestlé è stata portata in tribunale da 63 delle vittime, che hanno chiesto danni per 250 milioni di euro (240 milioni di franchi). Alla fine, la multinazionale svizzera ha raggiunto un accordo extragiudiziale, ma lo scorso marzo ha dovuto chiudere lo stabilimento di Caudry, nel nord della Francia, per il calo delle vendite in seguito allo scandalo.
Alla base di tutto potrebbe esserci la spinta a massimizzare la produzione e ridurre i costi. Un’inchiesta condotta da Radio France ha rivelato che dal 2015 le operazioni di pulizia nello stabilimento Nestlé erano state ridotte da otto ore al giorno a meno di cinque per aumentare la produzione. Anche l’annuale pulizia approfondita durante il periodo estivo (quando lo stabilimento era chiuso) era stata ridotta da tre settimane a una.
Foodwatch ha presentato una denuncia penale contro la filiale francese di Nestlé per conto delle vittime dell’intossicazione e delle loro famiglie. Oltre alle azioni legali, Sarmadi raccomanda di introdurre una politica di “naming and shaming” (“fare i nomi e discreditare”) per impedire alle aziende di andare al risparmio in materia di sicurezza alimentare.
“Rendere pubbliche le violazioni sarebbe il miglior incentivo a rispettare le leggi sulla sicurezza degli alimenti. L’esperienza di Paesi come Danimarca, Norvegia e Galles ha dimostrato che, da quando si è iniziato a rendere pubblici i risultati delle ispezioni, il numero di aziende contravvenenti è diminuito drasticamente,” ha detto.
Traduzione: Camilla Pieretti
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.