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Una Svizzera poco ambiziosa vuole strategie ambiziose alla COP26

persona con un costume rosso e il volto dipinto di bianco e sullo sfondo una ruota panoramica
Sempre più persone in Svizzera chiedono un'azione climatica decisa e immediata. Nell'immagine: attivista del movimento ambientalista Extinction Rebellion durante una manifestazione di protesta a Ginevra, 12 giugno 2021. Keystone / Valentin Flauraud

Alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26), la Svizzera sosterrà l'adozione di regole incisive e uniformi affinché tutti i Paesi s'impegnino a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Ma dopo la bocciatura alle urne della nuova legge sul CO2, con quale credibilità la Svizzera potrà chiedere agli altri di fare di più?

Due settimane di negoziati per decidere le sorti del pianeta e soprattutto dei suoi abitanti: la conferenza della Nazioni Unite sul clima, in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, è considerata da molti come l’ultima occasione per far fronte alla crisi climatica conformemente all’Accordo di Parigi.

Concluso nel 2015, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima prevede di limitare il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2°C” rispetto ai valori preindustriali, puntando a un incremento massimo della temperatura di 1,5°C.

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Questo significa che entro il 2030 le emissioni globali dovranno essere ridotte del 45% rispetto ai valori del 2010. Tuttavia, dopo la “pausa” dovuta alla pandemia di coronavirus, i gas serra hanno ripreso a crescere e secondo le previsioni dovrebbero aumentare del 16% nel corso del decennio. Anche se i Paesi dovessero mantenere le promesse attuali di riduzione delle emissioni, il pianeta si dirigerebbe verso un riscaldamento di 2,7°C, una traiettoria che il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha definito “catastrofica”.

“Non possiamo permetterci di perdere tempo”, afferma a SWI swissinfo.ch Christian Lüthi, direttore dell’Alleanza climatica, una coalizione che riunisce un centinaio di organizzazioni svizzere. “Con ogni anno che passa senza un’azione concreta, rischiamo di dover far fronte a una crisi climatica vieppiù grave che metterà sempre più a repentaglio la nostra sussistenza”, avverte.

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Svizzera contraria al “doppio conteggio”

Al vertice di Glasgow, gli occhi saranno puntati sui principali emettitori di CO2, ovvero la Cina e gli Stati Uniti. Anche i Paesi più piccoli vogliono però avere voce in capitolo.

La Svizzera s’impegnerà a favore di regole incisive e unitarie per un’attuazione efficace dell’Accordo di Parigi a livello internazionale. “L’accordo è come una Costituzione che necessita di regole di attuazione”, dice a SWI swissinfo.ch Franz Perrez, a capo della delegazione svizzera alla COP26. “Gran parte di esse sono state adottate tre anni fa a Katowice, in Polonia, ma ci sono ancora degli ambiti in cui sono necessarie delle decisioni”.

Uno di questi è il mercato internazionale del carbonio previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. La cosiddetta compensazione del CO2 consente a un Paese di ridurre parte delle sue emissioni finanziando progetti verdi – ad esempio la costruzione di una centrale solare – in un’altra nazione. Il problema è che sia lo Stato donatore che quello beneficiario potrebbero chiedere che la riduzione venga loro accreditata, con il risultato che la stessa riduzione venga contabilizzata due volte. L’incapacità di trovare un consenso sull’Articolo 6 è stata tra le ragioni del fallimento dell’ultima conferenza sul clima.

La Svizzera si oppone a un doppio conteggio e intende avere un ruolo chiave per giungere a una buona soluzione, spiega Franz Perrez. “Alla COP del 2018 a Katowice, la delegazione elvetica ha contribuito a bloccare l’adozione di regole reputate insoddisfacenti”.

Quest’anno, la Svizzera potrà far valere gli accordi bilaterali che ha concluso con Perù, Ghana, Senegal, Georgia e Dominica. “È stata la prima volta che due Paesi hanno stabilito insieme delle regole e degli standard che evitano il doppio conteggio, garantiscono l’integrità ambientale e il rispetto dei diritti umani e assicurano che le misure di riduzione delle emissioni siano addizionabili e verificabili”, nota Perrez, in riferimento all’accordo dell’ottobre 2020 tra Berna e Lima.

Piccoli gruppi, grande influsso

La Svizzera è all’origine del Gruppo d’integrità ambientale, creato nel 2000. Impegnato nel sostenere politiche progressiste sul clima nel quadro dei negoziati internazionali, è l’unico gruppo negoziale composto da economie sviluppate ed emergenti. Ne fanno parte anche Georgia, Liechtenstein, Principato di Monaco, Messico e Corea del Sud.

La Svizzera aderisce anche alla Coalizione degli ambiziosi (High Ambition Coalition), istituita nel 2014 dalla Repubblica delle Isole Marshall al fine di rendere il più ambizioso possibile l’Accordo di Parigi sul clima. Alla coalizione viene attribuito il merito di aver integrato nell’accordo l’obiettivo degli 1,5°C.

Fonte: Ufficio federale dell’ambienteCollegamento esterno

Un’altra questione aperta riguarda l’orizzonte temporale della definizione degli obiettivi climatici dei singoli Paesi. In vista della conferenza, Alok Sharma, presidente della COP26, ha chiesto alla ministra dell’ambiente svizzera Simonetta Sommaruga e alla controparte ruandese Jeanne d’Arc Mujawamariya di proporre delle soluzioni. “La posizione della Svizzera è di presentare nuovi obiettivi ogni cinque anni, invece di dieci. La proposta è sostenuta anche dall’Unione Europea”, indica Franz Perrez.

A Glasgow con banchieri e assicuratori

La Svizzera vuole anche impegnarsi per incrementare gli investimenti nella protezione del clima nei Paesi in via di sviluppo, tra i punti cruciali della conferenza. Gli Stati più ricchi non hanno infatti realizzato l’obiettivo di riunire 100 miliardi di dollari all’anno a favore delle nazioni più vulnerabili al riscaldamento climatico. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, mancano ancora circa 20 miliardi di dollari.

>> Leggi: Finanza climatica: che ne è della solidarietà internazionale?

Alcuni segnali fanno comunque ben sperare. L’amministrazione Biden ha promesso di raddoppiare i contributi statunitensi a 11,4 miliardi all’anno entro il 2024 e altri Paesi, Svizzera inclusa, hanno comunicato un aumento dei finanziamenti. L’importo elvetico proveniente da fondi pubblici passerà da 340 a 425 milioni di dollari, per un totale di circa 640 milioni.

L’importanza dei flussi finanziari nella protezione del clima è testimoniata anche dalla composizione della delegazione elvetica a Glasgow, che per la prima volta includerà rappresentanti di banche e assicurazioni. “Spero che utilizzeranno il loro potere per promuovere la finanza sostenibile. Devono usare le loro conoscenze per il bene delle popolazioni globali, non per i loro profitti. Il peggio sarebbe di continuare a finanziare e ad assicurare le industrie che inquinano di più”, afferma Christian Lüthi dell’Alleanza climatica.

Alcuni documenti trapelati analizzati dall’unità investigativa della sezione britannica di Greenpeace suggeriscono però che le reali intenzioni della Svizzera in materia di finanza climatica potrebbero non corrispondere alla posizione ufficiale. Tutti i dettagli qui.

Obiettivo 2050 anche per la Cina

Più in generale, alla COP26 la Svizzera insisterà affinché tutti i Paesi contribuiscano a realizzare l’obiettivo degli 1,5°C. “Non siamo ancora dove dovremmo essere”, rileva Franz Perrez.

Il capo della delegazione elvetica ritiene che i grandi emettitori di CO2 non stiano facendo abbastanza. Alcuni di loro, come India, Brasile e Arabia Saudita, non hanno ancora presentato delle strategie a lungo termine. Per quanto riguarda la Cina, “sta facendo molto, ma rimane il Paese che emette più CO2 al mondo ed è essenziale che raggiunga anch’essa la neutralità climatica entro il 2050″, sottolinea Perrez. Di recente, la Cina ha ordinato alle miniere di carbone di aumentare la produzione per superare la crisi energetica.

La Svizzera auspica dunque che tutti gli Stati sviluppino strategie ambiziose a lungo termine. Ma come può chiedere sforzi maggiori agli altri, considerando che la sua impronta ambientale pro-capite è tra le più alte al mondo e che i suoi sforzi per la protezione del clima mancano di ambizione?

>> Leggi: Aberrazioni, mancanza di coordinamento e incoerenza della politica climatica svizzera

Fino a 4°C in più se tutti agissero come la Svizzera

La Svizzera è tra gli oltre 130 Paesi che si sono impegnati a raggiungere un bilancio netto delle emissioni pari a zero entro il 2050. Ma nonostante abbia migliorato il suo precedente obiettivo a lungo termine (riduzione del 70-85% delle emissioni), quello a corto termine, cioè il dimezzamento delle emissioni entro il 2030, è rimasto sostanzialmente lo stesso. E questo malgrado la pressione politica di alcuni partiti e delle proteste cittadine nelle strade.

Climate Analytics, organizzazione non governativa che si occupa di scienza e politica climatica, reputa l’impegno elvetico “insufficiente”. Se tutti i Paesi agissero come la Svizzera, le temperature globali aumenterebbero di 3-4°C entro la fine del secolo, secondo un rapportoCollegamento esterno pubblicato in luglio dall’istituto con sede a Berlino.

>> Leggi: Il contributo “deludente” della Svizzera per un pianeta senza emissioni

Meno credibilità dopo il ‘no’ alla nuova legge sul CO2

La nuova legge sul CO2, il principale strumento politico della Confederazione per il raggiungimento dell’obiettivo 2030, è stata sostenuta da quasi tutti i partiti, da buona parte del mondo economico e dalle associazioni ambientaliste. Non però dal popolo, che in estate ha respinto la normativa alle urne.

Una bocciatura che fa perdere credibilità alla Svizzera al tavolo dei negoziati internazionali, ritiene Patrick Hofstetter, esperto di politica climatica ed energetica presso il WWF Svizzera. “A Berna nessuno sa come si potranno raggiungere gli obiettivi 2030. Non è una buona posizione di partenza per recarsi a Glasgow”. Purtroppo, aggiunge, questo riguarda anche molti altri Paesi e l’UE.

Nel mese di luglio, la Commissione europea ha presentato il suo pacchetto clima ‘Fit for 55’, che prevede una riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030. Non è però ancora stato approvato dagli Stati membri.

>> Leggi: Protezione del clima, Svizzera “insufficiente”, ma meglio di tanti di altri

Il capo negoziatore elvetico alla conferenza di Glasgow riconosce che la Confederazione non è ben posizionata per chiedere agli altri Paesi di aumentare le proprie ambizioni. Tuttavia, sottolinea Franz Perrez, gli obiettivi del governo svizzero di dimezzare le emissioni entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 “non sono messi in discussione e questo lo abbiamo riaffermato anche ai nostri partner”.

Al centro dell’agenda della COP26 non ci sono le politiche climatiche nazionali, ma le regole di attuazione dell’Accordo di Parigi, puntualizza. “E in questo ambito, manteniamo tutta la nostra credibilità”.

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Moderato da: Luigi Jorio

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