Cosa comporterebbe un seggio al Consiglio di sicurezza per la Svizzera?
La Svizzera è candidata per un seggio biennale non permanente nel Consiglio di sicurezza dell'ONU. L'elezione nel giugno 2022 dovrebbe essere una mera formalità. Giro d'orizzonte su vantaggi e svantaggi dell'adesione per la Confederazione.
“But I don’t wanna be Switzerland!” (“Ma io non voglio essere la Svizzera!”). Forse vi ricordate questa battuta di Jerry Seinfeld nella omonima sitcom. Il protagonista non voleva che i suoi vicini usassero il suo appartamento come territorio neutrale dove lasciare una partita di “RisiKo” lasciata a metà. E ora c’è chi teme che, per sedersi al tavolo con i grandi, la Svizzera non voglia più essere “Switzerland”, ossia lo Stato sinonimo di neutralità.
Di sicuro, non vuole più essere soltanto una contribuente dell’ONU, bensì vuole dire la sua a livello della politica globale. In altre parole: si è candidata per un seggio biennale non permanente nel Consiglio di sicurezza.
È con questo video (in inglese) che il governo promuove la candidatura svizzera:
Un seggio nel Consiglio di sicurezza offre vantaggi concreti, ma cela anche dei rischi, che vi illustriamo di seguito.
Stabilire relazioni con le grandi potenze
La candidatura della Svizzera è stata lanciata nel 2011 dall’allora ministra degli esteri e presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey. Nell’intervista a SWI swissinfo.ch indica che la Svizzera potrebbe ampliare le sue relazioni e rafforzare il suo influsso a livello internazionale.
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“La Svizzera gode di buona reputazione all’ONU”
Tuttavia, questa maggiore vicinanza con gli altri membri del Consiglio di sicurezza ha un rovescio della medaglia. Questo è almeno quanto sostiene in un’intervista alla Neue Zürcher Zeitung (NZZ) l’ambasciatore Jenö Staehelin, capo della missione svizzera presso l’ONU. L’esperienza al palazzo delle Nazioni Unite a New York gli insegna che la Confederazione potrebbe essere messa sotto pressione dagli altri Stati. Potrebbe anche cedere a queste pressioni, tradendo così in parte i suoi principi. “Un seggio nel Consiglio di sicurezza è rischioso; a meno che non goda di un ampio sostegno politico in Svizzera”, dice Staehelin.
Stando a Markus Heiniger, che ha lavorato a lungo per il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e che oggi si impegna a favore di una partecipazione della Svizzera nel Consiglio di sicurezza, ricorda che i tentativi di pressione nei confronti della Confederazione sono già oggi una realtà, ad esempio nel Consiglio dei diritti umani. Come per Staehelin, anche lui indica che il sostegno interno è decisivo. Infatti, le controversie interne potrebbero indebolire lo spazio di manovra della Svizzera nel Consiglio di sicurezza.
Dello stesso avviso è Angela Müller, vicepresidente dell’Associazione Svizzera-ONU, organizzazione della società civile cofinanziata dalla Confederazione che si impegna per rafforzare i rapporti tra la Svizzera e le Nazioni Unite. Müller evidenzia che il DFAE deve informare in modo trasparente affinché l’opinione pubblica sia in grado di comprendere il comportamento della Svizzera nel Consiglio di sicurezza. Si rischia altrimenti che un singolo voto o una posizione finisca sotto i riflettori, venga strumentalizzato o susciti un acceso dibattito.
Definizione di tematiche e di un’agenda
Stando a Müller, un seggio nel Consiglio di sicurezza dà la possibilità alla Svizzera di prendere posizioni sostanziali e stabilire priorità. “La Confederazione può esprimere la propria opinione nell’ambito di negoziati o votazioni e assumere una o due volte la presidenza del consiglio, grazie a cui può mettere l’accento su temi particolari”.
Anche Jenö Staehelin ammette che la Svizzera ha maggiore potere decisionale nel Consiglio di sicurezza che come membro normale dell’ONU. Altri diplomatici scettici rispetto all’adesione, tra cui l’ex ambasciatore Paul Widmer, avvertono che in questo consesso l’ultima parola spetta comunque alle potenze che detengono il diritto di veto. Chi non ha un seggio permanente non ha quasi voce in capitolo. La scelta di aderire al Consiglio di sicurezza avrebbe quindi solo svantaggi per la politica interna ed estera della Svizzera.
L’ex collaboratore del DFAE Heiniger è d’opinione diversa. “Anche i membri non permanenti possono raggiungere dei risultati, soprattutto collaborando”. Ad esempio, grazie alla Svezia, poi all’Irlanda e alla Norvegia è stato possibile dare accesso all’aiuto umanitario in Siria. Inoltre, nonostante le tensioni tra Cina e USA è stato possibile elaborare una bozza di risoluzione relativa al COVID-19 grazie al lavoro dei membri eletti del Consiglio di sicurezza.
Rafforzare la Ginevra internazionale
A distinguere la Svizzera dagli altri Paesi non membri permanenti è la cosiddetta Ginevra internazionale. Ginevra è stata la sede della Società delle nazioni e dal 1996 ospita l’Ufficio europeo delle Nazioni Unite. Questa circostanza ha fatto in modo che altre organizzazioni internazionali e conferenze diplomatiche scegliessero la città di Calvino come sede. Ginevra è diventata così un polo del multilateralismo e della governance internazionale. Nel frattempo, altre città le contendono questo ruolo, ad esempio Vienna, Helsinki oppure Oslo.
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Il volto che cambia della Ginevra internazionale
Stando a Calmy-Rey, un seggio nel Consiglio di sicurezza rafforza la Ginevra internazionale, in un momento in cui si registra un’erosione del multilateralismo. L’adesione della Svizzera potrebbe consolidarlo; un aspetto importante per Ginevra quale polo del multilateralismo.
Per Angela Müller, la Confederazione dovrà impegnarsi affinché la Ginevra internazionale possa trarre dei vantaggi dal seggio elvetico nel Consiglio di sicurezza. “Come membro, la Svizzera può adoperarsi per rafforzare l’asse tra la sede politica dell’ONU a New York e quella piuttosto operativa a Ginevra”. La città sul lago Lemano può sicuramente beneficiare del nuovo ruolo della Svizzera, anche se riuscirà solo parzialmente ad alleviare la pressione a cui sottostà.
Anche Heiniger ricorda che una bella location in riva a un lago nella neutrale Svizzera non è sufficiente per rimanere concorrenziale rispetto ad altre città ospitanti. “Serve competenza su tematiche specifiche. Se la Svizzera promuove una politica di pace attiva, allora è probabile che venga scelta come sede per colloqui di pace”.
Ruolo di mediatrice
Secondo Calmy-Rey il seggio nel Consiglio di sicurezza è una chance per la Svizzera di rafforzare il suo ruolo di mediatrice sulla scena internazionale, ossia di mediare tra i membri permanenti. Inoltre, visto che il Consiglio di sicurezza agisce in nome della comunità internazionale, non c’è alcun conflitto tra neutralità e adesione al Consiglio di sicurezza.
Sulla questione si è chinato anche il Consiglio federale. Il rapporto che ha commissionato è giunto alla conclusione che l’adesione è “pienamente conciliabile” con la neutralità svizzera.
La neutralità non è solo un concetto giuridico, bensì ha a che vedere con l’immagine della Svizzera. Dalle colonne della rivista “Foreign Policy” e della NZZ, l’ex ambasciatore Paul Widmer sostiene che con la sua candidatura, la Svizzera sta mettendo a rischio il suo marchio: la neutralità. La Svizzera si è guadagnata un alto grado di credibilità con la sua politica di neutralità. È grazie alla neutralità che molti Stati affidano mandati in qualità di potenza protettrice o fanno capo ai suoi servizi di mediatrice. Stando a Widmer, la Svizzera ha più da perdere che da guadagnare entrando nel Consiglio di sicurezza.
Dal canto suo, Heiniger sostiene che l’adesione della Svizzera non indebolirà il suo ruolo di mediatrice. Il seggio apre invece nuove possibilità per esercitare un influsso maggiore, ad esempio in un processo di pace, profilandosi così a livello internazionale.
Maggiore influsso a scapito della democrazia?
Con il seggio nel Consiglio di sicurezza, la Svizzera vuole rafforzare la sua posizione a livello di politica estera. Ma ciò si ripercuote negativamente sulla democrazia, soprattutto quando vanno affrontate questioni spinose, ad esempio l’imposizione di sanzioni o l’autorizzazione di interventi militari. La decisione al riguardo spetterà al Consiglio federale. Parlamento e popolo non avranno voce in capitolo.
Per Heiniger, ex collaboratore del DFAE, non è una novità. “Per lungo tempo, la politica estera era una questione di cui si occupava il Dipartimento federale degli affari esteri”. È colpa del DFAE se molti lo ignorano. Il Consiglio federale ha tuttavia comunicato che durante il mandato informerà regolarmente il parlamento, i media e l’opinione pubblica sull’operato della Svizzera nel Consiglio di sicurezza. Nei prossimi mesi approfondiremo la questione della legittimità democratica nella nostra serie sull’adesione della Svizzera nel Consiglio di sicurezza.
Il Consiglio di sicurezza è un organo delle Nazioni Unite. È composto di cinque membri permanenti (USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) e dieci membri non permanenti. Questi vengono eletti ogni due anni dall’Assemblea generale.
Per ragioni storiche, i cinque membri permanenti hanno diritto di veto. Ciò conferisce loro il potere di bloccare ogni decisione. I membri non permanenti hanno quindi un ruolo importante, quello di mediatori per sbloccare situazioni di stallo tra le parti.
Stando alla Carta dell’ONU, il compito principale del Consiglio di sicurezza è la tutela della pace. Può imporre sanzioni o approvare interventi militari se la sicurezza internazionale è in pericolo. A differenza delle decisioni prese dall’Assemblea generale, quelle del Consiglio di sicurezza sono vincolanti per tutti i membri dell’ONU.
Lo slogan di candidatura della Svizzera è “A Plus for Peace” (“Un più per la pace”, in riferimento alla croce della sua bandiera e al simbolo matematico “+”). Nel 2011, il Consiglio federale ha deciso e inoltrato la candidatura per un seggio durante il biennio 2023-2024.
L’elezione si tiene nel giugno 2022 a New York. La decisione spetta ai 193 membri dell’Assemblea generale dell’ONU. La Svizzera ha buone chance di essere eletta visto che oltre alla Confederazione solo Malta è in lizza per uno dei due seggi vacanti destinati ai Paesi occidentali.
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