Credit Suisse: un cambio di direzione tardivo ma sensato
La nomina di Tidjane Thiam alla testa del Credit Suisse viene interpretata dalla stampa svizzera come una chiara volontà di trasformare radicalmente la strategia e la cultura della seconda banca svizzera. Il nuovo ceo dovrebbe ridimensionare l’Investment Banking e aprire nuovi mercati in Asia.
“Ciò che il Credit Suisse ha annunciato ieri, non è soltanto un cambiamento tardivo ai vertici dell’azienda. La partenza di Brady Dougan, specialista americano dell’Investment Banking, e l’inattesa nomina di Tidjane Thiam, direttore dell’assicuratore britannico Prudential e cittadino franco-ivoriano, costituisce un mutamento fondamentale di strategia e di cultura presso la grande banca zurighese”, rilevano il Tages-Anzeiger e il Bund, per i quali il Credit Suisse dà prova di coraggio, affidando il timone dell’azienda a Thiam: “il compito di guidare il secondo istituto bancario del paese verso rive sicure viene posto nelle mani di un uomo che non era finora un banchiere”.
Con questa mossa, il presidente del consiglio di amministrazione del Credit Suisse Urs Rohner è riuscito a mettere a segno un buon colpo, benché “si sia aggrappato troppo a lungo a Dougan”, ritengono i due giornali. “Al più tardi dopo il riconoscimento delle proprie colpe da parte della banca nella vertenza fiscale con gli Stati uniti, i tempi erano maturi per la partenza dell’americano”. Va detto che “lo stesso Rohner non era uscito molto bene da questa vicenda”.
Thiam subentra a Dougan
Il consiglio di amministrazione di Credit Suisse ha annunciato martedì la nomina di Tidjane Thiam alla direzione della seconda banca svizzera. Subentra a Brady Dougan, che lascerà il suo incarico a fine giugno.
Nato in Costa d’Avorio, Tidjane Thiam, 52 anni, è cresciuto in Francia, dove si è diplomato presso la Scuola politecnica di Parigi. Dopo vari anni passati presso McKinsey & Company, ha lavorato per il governo ivoriano, anche come ministro dello sviluppo, carriera interrotta a causa di un colpo di stato militare nel 1999.
Nel 2000 è tornato a lavorare per McKinsey e dal 2002 al 2008 ha esercitato funzioni dirigenti presso l’assicuratore Aviva, prima di raggiungere Prudential come direttore delle finanze. Nel 2009 è stato nominato direttore generale, diventando il primo nero alla testa di una delle 100 più grandi società britanniche quotate in borsa. Sposato e padre di due figli, Thiam parla francese, inglese e tedesco.
Brady Dougan è entrato in Credit Suisse First Boston nel 1990 e nel 2003 è diventato membro della direzione di Credit Suisse Group. È uno dei pochi dirigenti delle più grandi banche ad essere uscito indenne dalla crisi finanziaria, che Credit Suisse ha superato senza dover ricorrere ad aiuti statali.
Le sue dimissioni sono state evocate più volte e di recente è stato nell’occhio del ciclone dopo la multa di 2,8 miliardi di dollari inflitta negli USA all’istituto a causa delle note vertenze fiscali. Dougan è anche uno dei manager più pagati al mondo. Durante il suo mandato ha percepito un salario annuo medio di 12 milioni di franchi, senza contare le gratifiche, né il controverso bonus di 71 milioni incassato nel 2009.
Dopo le dimissioni di Dougan, vi è da prevedere che “diversi altri dirigenti dell’Investment Banking cercheranno nuove sfide altrove”, aggiungono il Tages-Anzeiger e il Bund. “Poiché, sotto Thiam, la musica del ‘nuovo’ Credit Suisse non suonerà più soltanto nel settore del mercato dei capitali”. Un riorientamento che il ceo dimissionario non era riuscito a compiere. “Il punto più debole di Dougan resterà proprio quello di non aver saputo creare un valore durevole per gli azionisti, approfittando del fatto che il Credit Suisse si era ritrovato in una buona posizione di partenza dopo la crisi finanziaria internazionale – non aveva avuto bisogno di aiuti statali”.
Maggiore modestia
Anche la Neue Zürcher Zeitung loda il fatto che il Credit Suisse, sotto la direzione di Dougan, non abbia dovuto ricorrere all’intervento dello Stato per uscire dalla crisi che aveva colpito tutto il settore bancario. “Nei suoi otto anni ai vertici del Credit Suisse, in un periodo in cui quasi tutte le banche commerciali internazionali hanno sofferto, Dougan è diventato il decano tra i dirigenti bancari. Chi riesce a conservare la sua poltrona per così tanto tempo, deve aver fatto parecchie cose giuste”.
Eppure il Ceo dimissionario non aveva avuto molta fortuna ai suoi inizi, assumendo la direzione del Credit Suisse nel 2007, “proprio in un momento in cui apparivano le prime nubi di tempesta di quello che sarebbe diventato un tifone per il mondo bancario. In questo contesto si può quindi capire che le azioni del Credit Suisse abbiano perso i due terzi del loro valore nell’era di Dougan. La banca è stata scossa per anni da perdite di fiducia, ha distrutto capitale proprio e ha dovuto vendere preziosi immobili in Svizzera. Poi, l’anno scorso, è giunta una mazzata, con il riconoscimento delle colpe negli Stati uniti e il pagamento di una multa di 2,8 miliardi di franchi”.
In futuro, prosegue la Neue Zürcher Zeitung, il Credit Suisse sarà in ogni caso chiamato a dare prova di maggiore modestia, viste le “deludenti performance dell’azione” e le “deboli prestazioni aziendali” in questi ultimi anni. “Un bonus di 71 milioni di franchi, come quello intascato da Dougan nel 2010, era già allora fuori luogo e oggi apparterrebbe ad un altro pianeta. Tra i compiti che Thiam dovrà assumere rapidamente vi è un cambiamento radicale di mentalità per quanto concerne bonus e malus nella banca”.
Banca globale
Dopo la partenza di Dougan “molti si aspettano qualcosa di veramente nuovo dalla banca e dal nuovo uomo alla sua guida”, osservano l’Aargauer Zeitung e i giornali associati della Svizzera centro-orientale. “Thiam dovrebbe allontanare la banca dal rischioso Investment Banking e aprire nuovi mercati in Asia, dove dispone di una buona rete di contatti. Dovrebbe, e questa è la cosa più importante per il gruppo bancario, fare in modo che gli azionisti ritrovino dei motivi di ottimismo, dopo aver ottenuto poco piacere dal Credit Suisse in questi ultimi anni”.
“Non va però dimenticata una cosa”, sottolinea l’Aargauer Zeitung. “Il Credit Suisse ha compiuto una grande trasformazione da qualche tempo. È diventato una banca globale, più della metà dei suoi operatori sono stazionati negli Stati uniti, mentre la crescita proviene soprattutto dall’Asia. E i grandi azionisti non sono più l’aristocrazia finanziaria zurighese, ma la holding saudita Olayan, che detiene quasi il 22,6% delle azioni e delle opzioni, e il fondo statale del Katar, che dispone del 22,9%”.
Scelta sensata
Il consiglio di amministrazione del Credit Suisse ha preso il suo tempo per questa nomina. I primi elementi sembrano però dimostrare che abbia fatto una scelta coraggiosa, ma sensata”, affema Le Temps. “Innanzitutto il percorso di Thiam è impressionante” e poi “l’arrivo del franco-ivoriano segnala un cambiamento di prospettiva geografica e settoriale. Tidjane Thiam guarda verso Est, come ha già dimostrato presso l’assicuratore Prudential, dove ha sviluppato le attività in Asia. La sua conoscenza dell’Africa aiuterà il Credit Suisse ad estendere le sue attività in questo continente, considerato la nuova Asia per le sue prospettive economiche”.
“E guarderà probabilmente meno verso l’Investment Banking, caro al suo predecessore, che non ha mai accettato veramente di disfarsene per concentrarsi sulla gestione di patrimoni e di attivi”, aggiunge il giornale romando.”Mentre l’Investment Banking diventa meno redditizio, la scelta di Thiam è quindi una buona notizia per la banca e i suoi azionisti. I mercati hanno d’altronde già apprezzato il nuovo venuto, martedì le azioni del Credit Suisse sono salite del 7,8%.
“Non si capisce bene se la reazione positiva della borsa sia dovuta più a Thiam o più al realizzarsi di un fatto ormai atteso (il mercato vuole certezze), cioè l’uscita di Dougan”, si chiede il Corriere del Ticino. “Prendendo il versante Thiam, molti si aspettano ora che la sua conoscenza della gestione di patrimoni e dell’area asiatica si traducano in vantaggi per il Credit Suisse, che sul private banking e sui mercati emergenti si gioca ovviamente parecchie carte. Vedremo presto”.
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