Delle banche svizzere tornano negli Stati Uniti
Alcune banche svizzere hanno cominciato a reinvestire nel mercato offshore degli Stati Uniti, in modo perfettamente legale. La crescita dei fondi in gestione è spettacolare. Presso l'UBS negli ultimi cinque anni ha raggiunto il 41%.
Le immagini stereotipate scorrono: montagne al tramonto, il centro storico di Zurigo, un trenino rosso accanto a un lago alpino turchese, cioccolata. “La Svizzera è una delle economie più prospere e stabili al mondo, tuona una voce maschile con un forte accento americano. Approfittate della sua competenza e della sua piattaforma globale per gli investimenti”.
Questo video vende i servizi dell’UBS Swiss Financial Advisers (UBS-SFACollegamento esterno), una filiale della grande banca svizzera, che si rivolge al mercato degli Stati Uniti, nella legalità assoluta. “Accettiamo solo clienti i cui attivi sono completamente dichiarati al fisco”, dice René Marty, CEO della filiale registrata presso l’autorità americana di vigilanza sui mercati, la SEC.
Più bianco del bianco?
Le tre banche che dominano il mercato dell’off-shore legale negli Stati Uniti – UBS, Pictet e Vontobel – non hanno ancora superato completamente i loro problemi con la giustizia americana.
L’UBS ha pagato una multa di 780 milioni dollari nel 2009 per sfuggire a perseguimenti penali. Ma alcuni dei suoi dipendenti, come l’ex capo della gestione patrimoniale Raoul Weil, il cui processo inizia questo autunno, devono ancora affrontare i tribunali.
La Pictet è una delle 14 banche oggetto di indagini da parte della giustizia americana. È in attesa di sapere l’importo della sua multa.
La Vontobel si è collocata nella categoria 3, quella delle banche che ritengono di non avere nulla da rimproverarsi. Ciò nonostante, il suo nome è apparso al processo di un ex banchiere della Julius Bär, che ha ammesso nel 2013 di avere mantenuto presso la Vontobel un conto non dichiarato al fisco USA.
Fondata nel 2004, con 63 dipendenti, tutti con sede in Svizzera, la filiale del grande istituto elvetico domina un mercato ancora di nicchia, ma in piena espansione: quello dei fondi offshore registrati presso l’autorità statunitense.
“In seguito al contenzioso fiscale con gli Stati Uniti, la maggior parte delle banche svizzere si è ritirata dal mercato, osserva Stephen Wall, esperto dell’istituto di ricerca finanziaria Aite. Al contrario, un piccolo numero di istituzioni ha deciso di investire”.
In un rapporto pubblicato nell’autunno 2013, Wall ne ha censiti 34, di cui sette banche e 27 gestori patrimoniali indipendenti. Alla fine del 2012, avevano in gestione 14,1 miliardi dollari. L’UBS-SFA era chiaramente il leader di questo mercato, con 4,71 miliardi dollari in gestione, seguita da Pictet North America AdvisorsCollegamento esterno (2,58 miliardi dollari) e Vontobel Swiss Wealth AdvisorsCollegamento esterno (1,28 miliardi dollari). Insieme rappresentavano il 61% di questo segmento.
Tra gli altri stabilimenti c’erano la Banca Syz, Kaiser Ritter e la filiale svizzera della Royal Bank of Canada, così come gestori indipendenti quali Lugano Financial Advisors, Capitalia, Marcuard Family Office, Quanta Finance e Swisspartners Advisors. Alla fine del 2012 avevano in gestione tra i 133 e i 700 milioni di dollari ciascuno.
Succursale a Dallas
Il numero degli istituti operativi nel comparto ha compiuto un balzo enorme, schizzando da 4 nel 2007 a 34 nel 2013 Fondata nel 2010 e con un organico di 20 dipendenti, la Vontobel Swiss Wealth Advisors è l’unità più attiva. “È la prima, tra le banche svizzere registrate presso la SEC come consulenti di collocamenti, ad essersi insediata sul suolo americano con l’apertura di una succursale a Dallas nel 2012”, rileva Stephen Wall.
“Abbiamo identificato un mercato promettente in loco, costituito dai nuovi patrimoni generati dal boom dei combustibili fossili non convenzionali (fracking)”, indica Rebecca Garcia, portavoce della banca. Gli avere di questa divisione della Vontobel sono saliti da 1,28 a 1,62 miliardi dollari nel 2013, con un incremento del 27%, secondo un calcolo di swissinfo.ch.
Quanto all’UBS-SFA “dalla sua creazione, nel 2004, ha costantemente registrato una crescita a due cifre”, dice il CEO René Marty. Tra il 2009 e il 2013, le sue attività sono progredite da 3,4 a 4,8 miliardi di franchi (+41%). Altra avanzata spettacolare è quella segnata dal Marcuard Family Office, i cui fondi sull’arco del solo 2013 sono passati da 500 milioni a 3,18 miliardi di dollari (+536%).
Una lunghezza di vantaggio
Cosa spinge queste istituzioni a gettarsi nella bocca del leone, quando alcune di esse non hanno nemmeno ancora risolto i loro problemi con la giustizia americana? Il boom del mercato dell’offshore legale è alimentato dalle grosse somme depositate in Svizzera da parte di clienti americani che hanno recentemente regolarizzato la situazione con l’erario USA e dei quali le altre banche volevano disfarsi.
Il Canada principale concorrente della Svizzera
Le 34 istituzioni svizzere che offrono servizi offshore legali ai clienti americani non sono sole su questo mercato. Esso conta 135 società di 24 paesi, secondo un rapporto dell’Istituto di ricerca finanziaria Aite.
Il Canada ha la maggior presenza (50), seguito da Svizzera (34) e Gran Bretagna (16). Insieme, questi tre paesi dominano il 75% di questo mercato. Tra gli altri paesi figurano Hong Kong (4), le Isole Vergini Britanniche (3), la Corea del Sud (3) e l’India (3).
In termini di fondi in gestione, l’UBS Swiss Financial Advisors è classificata solo in 15esima posizione e Pictet North America Advisors in 20esima posizione. Il primo posto è occupato dal canadese Jarislowski Fraser, che aveva 35 miliardi dollari in gestione alla fine del 2013.
“Il mercato degli investitori americani già insediati al di fuori degli Stati Uniti appare come quello più facile in cui entrare, perché questi hanno già fatto la diversificazione al di fuori del loro paese”, spiega Ricardo Payro, un portavoce della Banca Syz, la cui unità che si occupa dell’offshore americano è nata nel 2012.
“Alcune di queste banche avevano senza dubbio una buona fetta di clienti non dichiarati che adesso desiderano mantenere in una forma legale”, aggiunge dal canto suo un fine osservatore del mercato.
In futuro, potrebbero reclutare tra i clienti che hanno depositato i soldi – senza dichiararli – in altre piazze offshore, come i Caraibi, Panama, le Isole del Canale, Singapore o Hong Kong. La giustizia americana ha appena cominciato ad interessarsi di queste piazze, ciò che potrebbe provocare un’ondata di regolarizzazioni.
La Svizzera è ben posizionata per trarne vantaggio. “Come primo paese finito nel mirino degli Stati Uniti nella loro lotta contro l’evasione fiscale, le sue banche hanno una lunghezza di vantaggio. Hanno già iniziato a insediarsi nel mercato dell’offshore legale”, dice Stephen Wall.
Obiettivo: il mercato on-shore
Ma la vera gallina dalle uova d’oro si trova nel mercato on-shore statunitense che scruta l’estero. “Le preoccupazioni relative al livello del debito e alla debolezza delle finanze pubbliche americane incoraggiano i detentori di grandi fortune a ripartire i rischi, collocando una parte dei loro averi al di fuori degli Stati Uniti”, dice Ricardo Payro, della Banca Syz.
Inoltre ciò permette loro di esporsi sui mercati emergenti, poco coperti dalle banche statunitensi, sulle altre valute e su uno stile di gestione più conservatore. “Negli Stati Uniti, l’accento è posto sull’accumulo, mentre in Svizzera si favorisce la preservazione dei beni, spiega Stephen Wall. Questo piace a una clientela un po’ più anziana”.
Più prosaicamente, anche se questo denaro non può essere nascosto al fisco, può ancora essere tenuto al riparo da altri sguardi indiscreti. “Taluni sono coinvolti in un divorzio molto litigioso e non vogliono che le mogli conoscano l’ammontare della loro fortuna”, spiega Scott Kaufmann, un avvocato californiano che ha difeso molti americani nei guai con l’erario. Altri lavorano in un settore, per esempio la medicina, dove i processi sono frequenti. “Tenere una parte del proprio denaro all’estero permette di proteggerlo contro le richieste di risarcimento”, afferma Stephen Wall.
Costi in aumento
Nel complesso, gli istituti finanziari svizzeri attivi nel mercato offshore americano possono aspettarsi di avere “circa 50 miliardi di dollari in gestione a medio termine e fino a 100 miliardi di dollari a lungo termine, se possono massimizzare opportunità disponibili”, calcola Stephen Wall. Prima dei dissidi con le autorità americane, in Svizzera erano depositati circa 80 miliardi di dollari provenienti dagli Stati Uniti.
Ma non tutto è roseo. “I costi legati all’ingresso su questo mercato e agli sviluppi normativi sono in continuo aumento”, sottolinea René Marty. In particolare, l’entrata in vigore dell’accordo FATCA all’inizio di luglio, e nuovi requisiti di trasparenza, faranno lievitare il conto.
La battaglia principale per gli istituti svizzeri che vogliono sedurre la clientela americana si svolge però sul fronte dell’immagine. “La maggior parte dei miei clienti non vuole più sentir parlare di banche svizzere, dice l’avvocato fiscalista Scott Kaufmann Una volta che i loro fondi sono regolarizzati, hanno un solo desiderio: rimpatriarli sul suolo americano”.
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)
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