Expo di Dubai, una piattaforma dove affrontare le sfide globali
Massimo Baggi, ambasciatore svizzero negli Emirati Arabi Uniti e nel Bahrein, afferma che la Confederazione ha contribuito, se non al cambiamento, almeno a un miglioramento della situazione dei diritti umani nella regione. Il diplomatico è entusiasta del padiglione svizzero a Expo Dubai 2020, che condurrà i visitatori attraverso un mare di nebbia, prima di farli riemergere tra le montagne svizzere.
Il suo avvio è stato posticipato di un anno causa pandemia. Ma a Expo Dubai 2020, che inizia il 1° ottobre per concludersi il 31 marzo 2022 e che prevede la partecipazione di 25 milioni di visitatori, la Svizzera sarà protagonista.
Attraverso Reflections, un padiglione completamente sostenibile e riutilizzabile in tutte le sue parti e disegnato dagli studi OOS di Zurigo in collaborazione con gli studi Bellprat Partner e Lorenzo Eugster, la Confederazione punta su cultura, bellezze naturali e innovazione tecnologica.
Massimo Baggi, ambasciatore svizzero negli Emirati Arabi Uniti e Bahrein, spiega come sarà la partecipazione della Svizzera alla grande esposizione universale e quale è il suo ruolo nei paesi del Golfo.
SWI swissinfo.ch: La presenza della Svizzera all’Expo di Dubai non si limita al padiglione. Che cosa è stato fatto dietro le quinte?
Massimo Baggi: In effetti, la nostra presenza non si basa solo sul padiglione Reflections. Abbiamo una doppia responsabilità che è quella di presiedere il comitato di coordinamento di tutti i Paesi partecipanti. Circa un anno fa, il Bureau International des Expositions ha infatti creato un comitato che è di fatto il suo interlocutore privilegiato e ha chiesto alla Svizzera di svolgere questo ruolo.
Lei è stato console generale della Svizzera a Milano durante tutte le fasi dell’expo del 2015: il suo know how maturato in quella circostanza le sta tornando utile?
Sicuramente il mio lavoro svolto in occasione dell’Expo Milano 2015 mi ha aiutato. È vero che il contesto è differente e si tratta di un altro progetto. Ma se faccio il paragone con Milano ci sono diverse similitudini e alcuni meccanismi comuni nello svolgimento delle grandi esposizioni universali.
La Svizzera, così come per Expo Milano 2015, è stato il Primo Paese ad aderire all’esposizione di Dubai. C’è una spiegazione per questa volontà e determinazione alla partecipazione da parte della Confederazione?
Ci sono due ragioni: la prima è che crediamo molto in questo tipo di eventi a cui partecipano Governi, ONG e privati e che offrono una piattaforma dove poter discutere ed affrontare insieme le grandi sfide globali. A Milano, ad esempio, siamo riusciti a discutere di questioni importanti come la sicurezza alimentare e lo spreco. Dubai si trova in un punto strategico del Medio Oriente che conosce particolari sfide e il nostro obiettivo è anche quello di fare del nostro padiglione un punto d’incontro per i visitatori provenienti da tutti i Paesi vicini.
La seconda ragione è che gli Emirati sono un partner importante, non solo dal punto di vista economico.
Essere i primi a confermare la propria adesione, poi, comporta una serie di ricadute molto concrete, come per esempio la possibilità di scegliere dove posizionare il proprio padiglione.
All’esposizione sono attesi circa 25 milioni di visitatori, il 30% dei quali provenienti dagli Emirati Arabi Uniti e il restante 70% dall’estero. Come è possibile attirare così tanta gente nella situazione attuale?
In qualità di presidenti del comitato di coordinamento, ci adoperiamo per l’accessibilità al Paese, affinché si possa circolare senza troppe complicazioni, sempre nel rispetto delle restrizioni dovute alla pandemia. Poi ci attiviamo per rendere l’esposizione attrattiva e devo dire che il nostro padiglione si profila potenzialmente come uno dei più interessanti, con un buon mix di tradizione, innovazione, esperienze sensoriali e fruibilità.
Parliamo del padiglione Reflections: il nome ha un doppio significato. Che cosa lo distingue?
Si tratta di un padiglione di quattro piani, con una facciata imponente di specchi che riflettono un tappeto rosso con la croce svizzera e che speriamo attirerà l’attenzione dei visitatori. Non appena si entra, si è trasportati in un’esperienza sensoriale: una passeggiata su un sentiero nelle montagne svizzere attraverso un fitto mare di nebbia che fa dapprima perdere l’orientamento al visitatore, per poi farlo riemergere poco dopo nell’idilliaco paesaggio delle nostre montagne. Sono poi affrontate le proposte, le soluzioni e l’innovazione svizzere, in diversi ambiti.
Infine, abbiamo previsto una parte ricreativa e culturale che comprende anche la gastronomia con un ristorante sul tetto, cosa piuttosto rara in questa esposizione.
È già tutto pronto o si arriva come in altre Expo a concludere tutto sul filo della sirena?
Tutto è pronto anche perché l’Expo è stata rimandata di un anno. Attualmente stiamo facendo le ultime prove e per il 1° ottobre tutto funzionerà. Paradossalmente abbiamo avuto anche troppo tempo e tanti padiglioni hanno dovuto chiudere perché erano in anticipo, contrariamente a quanto accadde a Milano. Una situazione che ha creato anche qualche difficoltà dato che chiudere un padiglione in mezzo al deserto comporta anche dei costi.
Il finanziamento del padiglione, in particolare tramite degli sponsor, ha già sollevato critiche in Svizzera. Che investimento è stato fatto e chi sono gli sponsor principali
Il budget stanziato è di 16,5 milioni e mezzo di franchi, finanziato per metà dalla Confederazione e per metà da partner privati che sono Rolex, Svizzera Turismo, Clariant, Kgs Diamond group, Novartis, Nestlé e Roche, a cui si affiancano anche partner istituzionali come la Direzione dello sviluppo e della cooperazione e la Segreteria di Stato per l’educazione, la ricerca e l’innovazione.
Durante i sei mesi dell’Expo avremo undici settimane tematiche in cui ogni padiglione cercherà di dare un contributo in diversi ambiti, come ad esempio l’ambiente. Grazie a questi partner, parteciperemo anche noi, organizzando diversi eventi. Tutto il mese di marzo sarà per esempio consacrato al tema dell’acqua.
Gli Emirati Arabi Uniti sono il principale partner commerciale della Svizzera in Medio Oriente. Come si sostanzia questo rapporto? Quali sono i rapporti bilaterali tra i due Paesi, politicamente e culturalmente molto diversi??
Le relazioni con gli Emirati abbracciano vari ambiti e ci auguriamo che l’Expo possa farli progredire ancora di più. Gli Emirati sono il nostro partner commerciale principale in tutta la regione. Vale la pena menzionare il fatto che una diaspora di oltre 3’000 cittadini svizzeri, per la maggior parte uomini e donne d’affari con le loro famiglie, vive qui soprattutto a Dubai. Mentre sono 100’000 gli svizzeri che ogni anno si recano negli Emirati per turismo o per affari.
Le aziende svizzere attive nella regione sono 200 ed è anche per questo che presso il Consolato generale di Dubai c’è uno Swiss Business Hub che promuove le piccole e medie aziende elvetiche. Dall’altro lato, ogni anno 140’000 cittadini degli Emirati visitano la Svizzera per turismo investendo in proprietà e abbiamo una cooperazione importante in ambito scientifico anche grazie alla presenza di importanti università elvetiche, come il Politecnico di Losanna.
Abbiamo sviluppato anche dei dialoghi nell’ambito della cooperazione allo sviluppo con una serie di attori istituzionali.
La Svizzera importa dagli Emirati pietre preziose, strumenti di precisione e oro ed esporta orologi, altri beni di lusso e medicamenti. Come si presenta la bilancia commerciale?
Nel 2019 la Svizzera ha esportato per 3,7 miliardi e importato per 14,9 miliardi di franchi.
Quali sono le priorità della Svizzera nei paesi del Golfo?
La Svizzera ha una strategia approvata dal Consiglio federale per tutti i paesi MENA (Medio Oriente e Nord Africa) in cui sono menzionati gli assi di pace e sicurezza e diritti umani: un tema importante, basti pensare ai conflitti aperti e alle situazioni complesse come per esempio in Yemen, Siria o Libia. E poi ci sono ambiti quali economia, scienza e sviluppo sostenibile, nonché progetti in collaborazione con questi Paesi.
Un’attenzione particolare è rivolta alla questione dei diritti umani e alla cooperazione: come interviene la Svizzera in questo ambito?
Prima di tutto, i diritti umani fanno parte del dialogo politico regolare che manteniamo con tutti i paesi nel Golfo. La Svizzera presta particolare attenzione a temi quali la libertà di espressione, la pena di morte, la tortura e i diritti delle minoranze. Poi, ci sono aree dove lavoriamo anche in modo molto concreto. Con gli Emirati e con il Bahrein, Paese di cui sono ambasciatore, discutiamo per esempio di questioni di genere: nell’ambito dell’Expo abbiamo avviato una collaborazione con il padiglione tematico dedicato alle donne e organizzeremo anche insieme alcuni eventi.
Stiamo inoltre lavorando anche sulle questioni di tolleranza e dialogo interreligioso con alcuni gruppi degli Emirati. Grazie anche al nostro ruolo all’interno dell’organizzazione di Expo, siamo riusciti ad includerli nella manifestazione. Lavoriamo anche in altri ambiti, come quello della cooperazione allo sviluppo e in particolare la questione dell’acqua, in cooperazione con l’aiuto allo sviluppo svizzero.
E sui lavoratori migranti? Secondo il rapporto 2019-2020 di Amnesty international il sistema di lavoro tramite sponsor li rende vulnerabili a forme di sfruttamento e abusi.
È una questione importante per tutti paesi del Golfo, in particolare quando si svolgono eventi di grandi dimensioni come l’Expo. Insieme ad altri Paesi, abbiamo cercato di migliorare gli standard, riuscendo ad aumentare in certi casi le condizioni di sicurezza e i diritti.
In che misura il mancato rispetto dei diritti umani negli Emirati è compatibile con il proseguo delle relazioni commerciali?
Puntiamo sul dialogo e sul fatto che le nostre relazioni con i Paesi, comprese quelle commerciali, aiutano a rafforzare i diritti umani. Abbiamo un approccio pragmatico, partiamo dalla realtà che troviamo sul territorio e cerchiamo di lavorare con le sue istituzioni. In alcuni ambiti credo che si sia riuscito, se non a fare la differenza, comunque a introdurre dei miglioramenti anche abbastanza importanti. Credo anche che gli Emirati vogliano offrire un’immagine internazionale che permetta loro di crescere e svilupparsi anche al di fuori delle proprie frontiere. Le questioni dei diritti umani e quelle ambientali fanno parte di quelle tematiche che bisogna cercare di portare avanti in parallelo, per cercare di fare la differenza sulla scena internazionale.
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