Far ripartire l’industria del caffè in Zimbabwe
Ventitré anni fa, l’espulsione forzata dei coltivatori e coltivatrici di caffè bianchi dallo Zimbabwe ha portato il settore al collasso. Oggi, con il sostegno di Nespresso, la produzione è tornata ad aumentare, ma è ancora decisamente inferiore a un tempo.
David Muganyura, veterano della coltivazione del caffè, ha aderito a un’iniziativa di Nespresso mirata a incentivare la crescita delle colture fin dai suoi albori, nel 2019. Da allora non se ne è mai pentito.
Il settantaquattrenne, che coltiva caffè fin dal 1984, ha visto la produzione e la redditività del suo lavoro precipitare dopo l’espulsione forzata dei principali coltivatori e coltivatrici di caffè del Paese nel 2000.
La manovra ha portato a un declino della domanda per l’esportazione di caffè coltivato localmente, tanto che in quel primo anno il prezzo della coltura è sceso ad appena 0,20 dollari al chilo.
Perciò, quando Nestlé ha presentato il suo programma Tamuka MuZimbabwe (che nella lingua shona locale significa “noi dello Zimbabwe ci siamo risvegliati”) per far ripartire la coltivazione del caffè, è stato tra i primi a iscriversi. Il programma includeva un addestramento organizzato dal colosso del caffè di Losanna Nespresso, di proprietà di Nestlé, tramite un’iniziativa locale chiamata TechnoServe, nel 2018. L’azienda svizzera, poi, si impegnava ad acquistare i chicchi di caffè così ottenuti a un prezzo di produzione di circa 8 dollari al chilo, quasi il doppio di quanto pagato da altri acquirenti come Cairns Foods e Grain Marketing Board per lo stesso prodotto.
Un anno più tardi, Muganyura è stato tra i primi abitanti del luogo a piantare chicchi di caffè con il patrocinio dell’iniziativa. Nel corso di quel primo anno è riuscito a raddoppiare la produzione arrivando a 1’500 chili, con un guadagno di circa 10’000 dollari. Nel 2022, il salario medio in Zimbabwe era di 220 dollari al mese.
“Grazie ai profitti ottenuti da questa partnership abbiamo potuto investire in altri progetti agricoli, pagare le cure sanitarie per la famiglia, restituire prestiti e saldare gli stipendi di lavoratori e lavoratrici. Inoltre, abbiamo appianato il nostro debito con lo Zimbabwe Coffee Mill [dove i chicchi vengono lavorati]”, racconta a SWI swissinfo.ch.
L’iniziativa di Nespresso rientra nel programma di più ampio respiro dell’azienda, AAA Sustainable Quality, che mira a far ripartire la produzione di caffè di qualità in diverse regioni del mondo in cui è calata drasticamente in seguito a conflitti, problemi economici o disastri ambientali. Tra i Paesi interessati ci sono Colombia, Porto Rico, Cuba, Uganda e la Repubblica democratica del Congo. L’obiettivo è stabilire partnership a lungo termine con agricoltori, agricoltrici e comunità locali, al fine di dar vita a una produzione di caffè sostenibile.
In Zimbabwe, Nespresso ha avviato una partnership con un’organizzazione non governativa statunitense, TechnoServe, due piantagioni di caffè locali e circa 450 piccoli proprietari terrieri, uomini e donne, nella Honde Valley. La valle, che si estende al vicino Mozambico, è ideale per la coltivazione del caffè Arabica, un chicco di caffè di alta qualità noto per contenere meno caffeina e per il gusto meno forte rispetto alla più economica variante Robusta.
Nespresso fornisce a coltivatori e coltivatrici assistenza tecnica gratuita tramite agronomi e agronome, prezzi preferenziali e investimenti in infrastrutture e progetti speciali come l’agroforestazione. In cambio, chi coltiva deve venderle il proprio raccolto a un prezzo fisso, stabilito dall’azienda.
Dal 2016 a oggi, il colosso di Losanna avrebbe investito circa 39 milioni di franchi (pari a circa 42 milioni di dollari) nel programma globale Reviving Origins, tramite uno strumento di finanziamento chiamato Nespresso Sustainability Innovation Fund. Tuttavia, non si sa di preciso quanto abbia investito in Zimbabwe. Nell’ottobre 2022, ha annunciato un ulteriore finanziamento di 4,5 milioni di dollari a Reviving Origins per l’Africa.
Risorgere dalle proprie ceneri
L’iniziativa di Nespresso rientra in un piano più ampio del Governo zimbabwese per rimettere in piedi un’industria del caffè un tempo fiorente, ma che dal 2000 in poi è stata decimata dalla decisione dell’ex presidente Robert Mugabe di espellere dal Paese i circa 4’000 agricoltori bianchi che occupavano 11 milioni di ettari di terreno locale.
Tra le persone cacciate c’erano anche produttori e produttrici di caffè locale. Fino a quel momento, lo Zimbabwe rientrava tra i 30 Paesi in maggiore crescita al mondo, con una produzione media di 15’000 tonnellate di caffè all’anno. Oggi, la produzione media si aggira sulle 500 tonnellate, provenienti da due piantagioni commerciali e 450 piccoli proprietari terrieri o fattorie sui due ettari, come quella di Muganyura.
Nel 2019 la coltivazione da parte dei piccoli agricoltori era arrivata al collasso, perché la maggior parte dei coltivatori e coltivatrici aveva optato per prodotti agricoli più redditizi come le noci di macadamia.
Nel 2018, il Governo ha inaugurato una strategia mirata ad aumentare la produzione a 10’000 tonnellate entro il 2024. Il piano richiede un investimento di 60 milioni di dollari su cinque anni per mantenere le piantagioni di caffè esistenti e avviarne altre su 4’700 ettari. Inoltre, il Governo spera di riuscire a stabilire un modello di finanziamento sostenibile per la coltura.
Un agronomo governativo del distretto di Mutasa, Abraham Mutsenura, afferma che la situazione delle piccole aziende agricole è in via di miglioramento, con numeri sempre maggiori di coltivatori e coltivatrici che tornano a dedicarsi al caffè. Tuttavia, c’è ampio margine di miglioramento sia sulla qualità sia sulla quantità dei chicchi. La produzione annuale è ancora molto inferiore a un tempo e il Governo preferisce sostenere colture considerate di maggiore valore strategico, come granturco, mais dolce e soia.
Senza il sostegno delle autorità, coltivatori e coltivatrici si trovano ad affrontare una lunga serie di sfide. Una tra tutte: lo sviluppo della regione dipende interamente da Nespresso, poiché non esistono iniziative locali.
“L’iniziativa di Nespresso ha portato cambiamenti positivi tra gli agricoltori, ma bisogna rivedere continuamente il prezzo di mercato dei chicchi per farlo corrispondere ai costi di produzione”, dice Muganyura. Il costo di fertilizzanti e altre sostanze chimiche aumenta di stagione in stagione. Un sacco di nitrato d’ammonio, per esempio, nel 2021 costava 55 dollari, nel 2022 94 dollari.
Muganyura aggiunge che secondo lui Nespresso potrebbe fare di più per sostenere l’agricoltura locale, per esempio tramite ulteriori incentivi per aumentare le dimensioni delle terre coltivate, oltre a fornire a coltivatori e coltivatrici maggiori risorse come sementi e fertilizzanti. Inoltre, sottolinea l’importanza di investire in sistemi di irrigazione nelle regioni a maggiore concentrazione di piantagioni di caffè del Paese.
“Instaurare rapporti consolidati tra mercato e fornitori è fondamentale perché si sostengano a vicenda nel medio e lungo termine, Nespresso e TechnoServe da un lato e i piccoli agricoltori dall’altro”, spiega.
La responsabile delle pubbliche relazioni di Nespresso SA Global, Delphine Bourseau, riconosce che l’iniziativa presenta diversi rischi. Reviving Origins è un programma a lungo termine che si propone di superare varie delle problematiche locali che da sempre ostacolano la produzione di caffè.
“Ogni area è stata selezionata proprio perché soggetta a fattori ambientali, sociali ed economici che hanno causato una drastica riduzione nella produzione di caffè locale”, spiega a SWI. “Date le diverse circostanze che pesano su queste comunità, ogni caffè di Reviving Origins richiede un approccio specifico, con un investimento in un numero di comunità limitato, ma per un periodo più lungo. Tuttavia, considerata la complessità di questi progetti, è difficile garantire quali risultati si riuscirà a ottenere e quando”.
A inasprire le esitazioni di coltivatori e coltivatrici locali, c’è l’obbligo legale di cedere una percentuale dei loro guadagni alla Banca centrale dello Zimbabwe. Nel 2019 e 2020 il Governo si appropriava del 20% dei guadagni dell’agricoltura. Nel 2022, tale soglia è salita al 40%. Dopo le reazioni negative suscitate, tuttavia, per il 2023 è possibile che si torni al 25%.
Per Edward Dune, ex vicepresidente della Zimbabwe Farmers’ Union, il sindacato degli agricoltori zimbabwesi, il minore sostegno concesso dal Governo alle piantagioni di caffè rispetto ad altre colture non è un problema. A suo dire, coltivatori e coltivatrici di caffè hanno comunque la possibilità di accedere a prestiti commerciali da parte di istituzioni finanziarie. Inoltre, anche secondo lui Nespresso potrebbe giocare un ruolo ancor più rilevante.
“Il ruolo del Governo è di portare avanti determinate politiche. Se le strategie che ha applicato sono servite a migliorare la produttività lungo la catena del valore, ha già fatto più che abbastanza”, dice.
Caleb Mahoya, direttore del Coffee Research Institute con sede a Chipinge, nella parte sudorientale del Paese, dice che il Governo sta portando avanti il suo programma. Se poi le proiezioni sulla crescita saranno rispettate, dice a SWI, è tutto da vedere.
“Dovremo aspettare la fine di questa e della prossima stagione per capire se riusciremo a raggiungere gli obiettivi prefissati. Tuttavia, ogni anno arrivano sempre nuovi coltivatori e coltivatrici, cosa che potrebbe essere d’aiuto”, afferma.
A cura di Virginie Mangin
Traduzione di Camilla Pieretti
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