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François Zimeray: “Una nuova Norimberga è auspicabile… ma è possibile?”

Illustrazione
Corinna Staffe

In Ucraina il tempo della giustizia deve ancora arrivare. È possibile una pace senza la giustizia? Come si può raggiungere una tregua con un nemico che è all'origine del "terrore e dell'omicidio"? Analisi dell'avvocato ed ex diplomatico francese François Zimeray.

François Zimeray
Nato nel 1961, l’avvocato francese François Zimeray è da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani. ldd

François Zimeray è avvocato presso i fori di Ginevra e Parigi e presso la Corte penale internazionale (CPI). Durante la sua carriera è stato ambasciatore della Francia per i diritti umani e membro del Parlamento europeo. Ha lavorato sul genocidio perpetrato dagli Khmer Rossi, sui bambini-soldato nella Repubblica Democratica del Congo e su altri dossier. Nel 2015, dopo l’attentato a Charlie Hebdo a Parigi, François Zimeray è sopravvissuto a un attacco terroristico a Copenaghen, dove era ambasciatore francese.

swissinfo.ch: La Svizzera e altri Paesi hanno condannato le azioni delle forze armate russe in Ucraina. L’UE ha sottolineato che le autorità russe sono responsabili delle uccisioni. L’Ucraina chiede giustizia. Cosa dovrebbe accadere ora?

François Zimeray: La storia ci insegna che c’è un tempo per la guerra, un tempo per la pacificazione e infine un tempo per la giustizia. Di fronte alle atrocità, mentre il sangue continua a essere versato, tutti sentiamo il bisogno di giustizia, non riusciamo a sopportare la nostra impotenza nel fermare questi crimini. Ma dobbiamo guardare in faccia la realtà: questo non è il momento della giustizia.

Il tempo della legge arriverà, naturalmente, ma quando, e davanti a quale giurisdizione? Oggi, i Paesi le cui autorità potrebbero essere perseguite non hanno aderito allo Statuto di Roma, che ha creato la Corte penale internazionale (CPI), la giurisdizione più universale.

Se la Russia – e tra parentesi anche gli Stati Uniti – non ha aderito allo Statuto di Roma, è difficile capire perché Mosca sarebbe più disposta un domani ad accettare la costituzione di un tribunale speciale, una nuova Norimberga. In altre parole, questa “Norimberga del XXI secolo” non ha più possibilità di essere istituita o riconosciuta come legittima dell’attuale Corte penale internazionale. Da qui la domanda: sarà fatta giustizia per questi crimini? Norimberga ha rappresentato un immenso passo avanti nella storia dell’umanità, ma la legittimità di una giurisdizione deve essere percepita da tutti, vittime e imputati. Da Norimberga in poi la giustizia internazionale ha fatto molti progressi per garantire processi equi e soprattutto per non apparire come una giustizia dei vincitori.

La legittimità non era già stata messa in discussione all’epoca?

Sì, certo, queste questioni sono state sollevate, e sono state sollevate anche molto più tardi, in Francia, nel processo Barbie. Contestare la legittimità di una corte può essere una linea di difesa, seppur disonorevole e senza speranza. All’indomani della Seconda guerra mondiale, i nazisti che comparivano sul banco degli imputati avevano poca scelta. Oggi, la questione della legittimità di un tribunale speciale sarebbe molto dibattuta, con la particolare circostanza che la Russia ha il veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sarebbe sostenuta dalla Cina. Qualsiasi iniziativa delle Nazioni Unite si scontrerebbe con questo ostacolo.

Come si possono giudicare questi crimini senza che ciò sia oppugnabile?

L’ipotesi di una giustizia a breve termine è ovviamente auspicabile. Ma è probabile e realistica? Quello che mi sembra certo è che l’Ucraina ha una legittimità sufficiente e il diritto internazionale le permette di giudicare questi crimini, poiché le vittime sono principalmente ucraine. I tribunali del Paese sono indiscutibilmente competenti. Idealmente, vedrei la giustizia ucraina agire con l’assistenza dell’ONU e forse con il supporto tecnico della CPI.

Ma a parte questo, chi è legittimato a giudicare i criminali di guerra e a quali condizioni il processo potrebbe essere riconosciuto?

Idealmente, se non è possibile deferire un caso alla CPI, sarebbe necessario un tribunale ad hoc, come è stato proposto.

I vantaggi di una simile soluzione sono intuibili: si tratterebbe di una giurisdizione per la legge e per la storia. Ma ripeto: è veramente possibile farlo senza un consenso internazionale? Mi dico che, fondamentalmente, i tribunali ucraini sono nella posizione migliore per farlo: hanno le informazioni, i nomi, conoscono la lingua, hanno una buona padronanza dei fatti, le vittime sono vicine e soprattutto hanno perfettamente integrato i requisiti di un processo equo. La loro legittimità è indiscutibile. Se l’Ucraina emette un mandato d’arresto internazionale, la persona interessata non potrà più viaggiare al di fuori dei confini della Russia.

C’è un’altra opzione che oggi sembra irrealistica, ma che potrebbe diventare realtà: quella della giustizia russa. Arriverà il giorno in cui le persone che hanno commesso questi crimini dovranno rispondere ai tribunali non solo dell’Ucraina, ma anche della Russia, che sono pure competenti. Questo presuppone ovviamente un cambio di regime in Russia, che forse non è così lontano. Possiamo notare che le linee si stanno muovendo. Tutto ciò che ho visto e sentito nel corso di oltre 100 missioni in tutto il mondo mi ha fatto capire che anche i regimi più opachi e chiusi sono attraversati da linee di faglia, tanto profonde quanto impercettibili.

Ovviamente al Cremlino ci sono persone che non sono d’accordo con Putin. Stiamo assistendo all’incredibile reazione di parte della società civile russa nei confronti della mobilitazione, al coraggio di questi giornalisti e giornaliste che iniziano ad esprimersi. Vi sono stati migliaia o addirittura decine di migliaia di morti; quante famiglie sono state colpite dal lutto e quante persone sono state direttamente o indirettamente coinvolte? A un certo punto, queste persone smetteranno di tacere.

Per tornare al processo di Norimberga, tutto è iniziato abbastanza rapidamente, nel 1946…

Sì, dopo una vittoria che ha visto uno dei belligeranti completamente schiacciato, annientato. Il processo di Norimberga è stato al tempo stesso esemplare e imperfetto; oggi non sarebbe possibile. Gli standard sono evoluti, in particolare per quanto concerne il requisito di un processo equo dopo il Patto di New York del 1966.

All’inizio ha parlato del tempo della giustizia. Perché la giustizia dovrebbe aspettare?

Non c’è pace duratura senza giustizia, ma può esserci vera giustizia senza pacificazione? Non si passa da un momento all’altro dal fuoco e dalle lacrime al tribunale. Le indagini devono avere luogo, le armi devono essere messe a tacere e le vittime devono parlare. Di fronte alle atrocità, sentiamo un bisogno immediato di giustizia, ma la giustizia stessa ha bisogno di serenità per prendere le distanze da qualsiasi vendetta. Come si può pensare che le parti possano negoziare un cessate il fuoco se la prima conseguenza è mandare in prigione l’interlocutore? Questo è il paradosso che i diplomatici conoscono bene.

Non si corre il rischio che i crimini rimangano impuniti?

È un rischio terribile, ma reale. Per questo motivo la pace alla fine dei conflitti è spesso subordinata a una legge di amnistia. Quest’idea è diventata insopportabile.

La popolazione russa verrà mai a conoscenza di ciò che è realmente accaduto in Ucraina senza che chi si è macchiato dei crimini venga processato?

Si tratta innanzitutto di una questione di libertà di stampa e di istruzione. Finora il popolo russo ha conosciuto solo il nazionalismo, la propaganda e la negazione. È ostaggio di un pericoloso vittimismo, di cui possiamo vedere gli effetti. Durante una missione in Russia una decina di anni fa, fui colpito dal fatto che i funzionari e i militari sembravano convinti che l’unica ossessione della NATO fosse quella saltargli alla gola. Possiamo vedere dove portano queste fantasie… 

Né la Svizzera né la Francia usano il termine genocidio, mentre il presidente Volodymir Zelenski sì. Perché? 

Capisco che gli ucraini ne parlino, se fossi al loro posto forse direi la stessa cosa. Ma nel diritto le parole servono a descrivere le situazioni nel modo più preciso possibile e hanno delle conseguenze. L’esercito russo e i suoi leader stanno commettendo crimini di guerra, crimini contro l’umanità, mentre il termine “genocidio” descrive l’eliminazione generale e di massa di un gruppo etnico o umano.

Se finalmente ci fosse una “Norimberga 2”, coloro che fanno propaganda in Russia potrebbero trovarsi sul banco degli imputati?

L’istigatore e il complice sono puniti come il criminale, ed è chiaro che coloro che hanno alimentato le fiamme del risentimento e della paranoia hanno una notevole responsabilità. Mi viene in mente ciò che disse Elie Wiesel: “La Shoah non è iniziata con le camere a gas, è iniziata con le parole”.

Articolo a cura di Balz Rigendinger

Traduzione di Daniele Mariani

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