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“Glenstrata”, megafusione nelle materie prime

Lavoratori tra lingotti di stagno di una fonderia in Bolivia che apparteneva fino al 2007 alla Glencore Keystone

La progettata megafusione tra le società attive nelle materie prime Xstrata e Glencore, con sede in Svizzera, che porterebbe a un gruppo di un valore di 90 miliardi di dollari è considerata sensata sul piano economico. Ma desta serie preoccupazioni tra le Ong e alcuni politici.

Se la fusione riceverà i necessari nullaosta, la nuova società Xstrata Glencore controllerà un’intera catena – dall’estrazione alla raffinazione, allo stoccaggio e alla spedizione – di prodotti di base come il carbone, il rame o il mais. Sarà grande circa il doppio della seconda maggiore società svizzera.

“Poiché la grandezza affascina sempre la gente, vi sono elevate probabilità che in futuro l’economia svizzera sia strettamente associata al commercio di materie prime come lo è stata per secoli con le banche e le industrie farmaceutiche”, ha scritto mercoledì il giornale zurighese Tages-Anzeiger.

Ciò, aggiunge il quotidiano, non è necessariamente una cattiva cosa, ma stimola il settore delle materie prime – e il governo svizzero –a trarre le lezioni dalle cause dei grattacapi delle banche svizzere dagli anni 1970 in poi e mostrarsi più in fretta responsabile nei confronti dell’opinione per evitare di esporsi al rischi di reputazione.

“Molte aree minerarie sono di proprietà di dittatori, l’acquisizione di titoli minerari sono spesso poco trasparenti e l’ecologia resta una parola sconosciuta in questo settore”, rileva il foglio zurighese.

Standard legali

L’industria dell’estrazione mineraria è uno dei settori più legati alle questioni dei diritti umani, ecologiche e sociali nei paesi in via di sviluppo, osserva Olivier Longchamp, dell’organizzazione non governativa (Ong) Dichiarazione di Berna.

“Adesso abbiamo un gigante mondiale dell’industria dell’estrazione che stabilisce il suo quartier generale in Svizzera. Ciò ci concernerà molto da vicino”, ha dichiarato a swissinfo.ch.

L’Ong ha pubblicato lo scorso settembre un libro – Rohstoff: Das gefährlichste Geschäft der Schweiz (“Commercio di materie prime: l’affare più pericoloso della Svizzera”) – che ha posto sotto la lente questo settore industriale. Un settore il cui volume d’affari è cresciuto di 15 volte tra il 1998 e il 2010 e che ha portato forti disuguaglianze ed elevati costi sociali e ambientali per le nazioni povere, ma ricche di risorse naturali, denuncia la Dichiarazione di Berna.

“Nel settore esistono norme internazionali, ma sono ancora molto basse”, commenta Longchamp.

“Xstrata è più o meno conforme agli standard minimi internazionali del settore, ma Glencore, che non è una società dell’industria estrattiva in sé, non lo è assolutamente. Circa il 70 per cento delle attività estrattive di Glencore è fatto in paesi con seri problemi di regolamentazione come il Kazakistan, la Repubblica Democratica del Congo e la Guinea Equatoriale”, afferma il rappresentante dell’Ong elvetica.

“La Svizzera deve migliorare la propria legislazione per consentire alle Ong, per esempio, o alle vittime di chiedere alle sedi principali di tali holding di assumersi la loro responsabilità per ciò che le loro affiliate fanno all’estero”.

Questione morale

Anche politici di sinistra – forse memori della Transocean, la società con sede in Svizzera attiva nella perforazione in acque profonde, che nel Golfo del Messico nel 2010 ha generato la più grande fuoriuscita di petrolio mai avvenuta in America – hanno messo in guardia sui rischi per la reputazione della Svizzera se diventa una gigantesca piattaforma commerciale di materie prime.

“Più una società è grande e più può essere potente nei confronti dei governi e incurante delle questioni morali”, ha dichiarato la parlamentare nazionale socialista Hildegard Fässler.

Puntando il dito non solo sulle catastrofi ambientali, ma anche sui conflitti armati e su “gravi violazioni dei diritti umani, che spesso si verificano nei paesi ricchi di risorse”, la deputata chiede al governo federale di indagare il settore e trovare delle misure per proteggere la reputazione della Svizzera.

Il parlamentare dei Verdi Geri Müller concorda con la collega socialista. “Le banche hanno già dato alla Svizzera un’immagine orrenda. Il commercio di materie prime rischia di essere il prossimo fiasco”, ha detto.

Di parere diverso è invece il parlamentare dell’Unione democratica di centro (destra conservatrice) Hans Kaufmann. “Se inaspriamo le leggi, il commercio si sposterà semplicemente in paesi come la Cina, dove la situazione dei diritti umani non è migliore”, pronostica.

Domanda in aumento

La Cina è uno dei paesi in cui Glencore Xstrata spera di raccogliere i frutti della crescente domanda di materie prime.

“Le materie prime, per definizione, sono limitate. Poiché la popolazione mondiale cresce e le economie emergenti hanno una forte domanda di materie prime, le società che si occupano di risorse naturali sono destinate ad aumentare i profitti”, indica a swissinfo.ch Giuseppe Di Virgilio, esperto di materie prime e capo del comparto investimenti presso Ardour Asset Management, società specializzata in energie alternative e segmenti di risorse naturali.

Tuttavia, le autorità garanti della concorrenza sono tenute ad esaminare attentamente la nuova azienda, che avrà un’influenza enorme su mercati, quali quelli del carbone, rame, zinco e ferro.

Di Virgilio minimizza il pericolo di un quasi monopolio su minerali cruciali per la produzione di energia e per l’industria.

“Ci sono alcuni rischi in materia di controllo sui propri prodotti, ma in termini di monopolio non sono troppo preoccupato perché ci sono già grandi conglomerati. Inoltre non si deve dimenticare che la maggior parte delle loro attività sono stabilite dai mercati di negoziazione e sono altamente regolamentati”.

Matrimonio in paradiso

“Il termine tecnico per spiegare questa fusione è l’integrazione verticale: è come per i grandi commercianti al dettaglio che decidono di produrre loro stessi alcuni beni che rivendono”, dichiara a swissinfo.ch Christian Gattiker, responsabile della strategia e della ricerca presso la banca Julius Bär.

“Vi sono in questo caso dei pro e dei contro: da un lato la nuova azienda ha accesso diretto alla base di produzione e può distribuire i suoi prodotti in un ambito globale, dall’altro non è più focalizzata in un solo settore, come prima”, osserva Gattiker.

“Alcune aziende preferiscono concentrare le loro attività e limitarsi a ciò che sanno fare meglio. D’altra parte può essere sensato garantire la sicurezza della propria produzione, soprattutto se si opera in un settore in cui scarseggiano diverse materie prime”.

Nel suo editoriale di lunedì, il Financial Times ha commentato in questo modo la fusione tra i due giganti delle materie prime: “Per le due società e per i loro investitori, non vi è dubbio che si tratta di un matrimonio fatto in paradiso. Per i clienti, le conseguenze di questa megafusione sembrano ben lontane dal paradiso”.

Come Glencore e Xstrata, la società che nascerà dalla loro fusione avrà sede in Svizzera, prevedibilmente a Zugo.

La nuova azienda sarà presente in 33 paesi con un effettivo di circa 130’000 persone.

Glencore e Xstrata detengono attualmente a livello mondiale oltre 100 miniere e 25 fonderie di metalli di base, 12 impianti di estrazione di rame, 8 raffinerie di metalli di base e di metalli preziosi.

In campo agricolo, le due società sfruttano 270’000 ettari di terreni presi in affitto o di loro proprietà.

Glencore e Xstrata dispongono inoltre di una rete globale di magazzini di stoccaggio per 1,5 milioni di tonnellate di metalli e concentrati, nonché 100 terminali petroliferi e cisterne per materie prime.

Al loro attivo figurano anche 200 navi in locazione o di loro proprietà, impiegate per il trasporto del petrolio e delle altre materie prime.

Nel 2011, le due società hanno conseguito un fatturato di 186 miliardi dollari, registrando un utile lordo pari a circa 17 miliardi di dollari (11,7 per Xstrata e 6,5 miliardi per Glencore

(Traduzione dall’inglese)

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