Gli azionisti dell’UBS chiamati ancora a raccolta
Per la quarta volta quest'anno, gli azionisti della più grande banca svizzera si riuniscono giovedì in assemblea generale. All'ordine del giorno vi è il piano di salvataggio della Confederazione e della Banca nazionale.
Come in tre delle quattro assemblee organizzate quest’anno, al centro dei lavori vi è un aumento del capitale proprio della banca. Questa volta gli azionisti devono pronunciarsi sul prestito di 6 miliardi di franchi della Confederazione.
Sul risultato del voto non vi sono dubbi: gli azionisti non possono far altro che accettare l’iniezione di nuovi fondi.
Concretamente la Confederazione acquisterà obbligazioni convertibili in azioni remunerate a un tasso annuo del 12,5%, ciò che garantirà 750 milioni di franchi di entrate annue nelle casse federali.
«Si tratta sicuramente di una transazione necessaria», spiega Lino Terlizzi, analista economico e giornalista del Sole-24 Ore e della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana. «La somma è importante, ma è remunerata a un tasso abbastanza alto. Inoltre, se il titolo riprenderà quota l’operazione potrà chiudersi in pareggio o addirittura rivelarsi vantaggiosa per la Confederazione e quindi per tutti i contribuenti».
Trasferire gli «attivi tossici»
La seconda parte del piano di salvataggio è invece molto più controversa. In questo caso, però, gli azionisti saranno solo informati dei dettagli e non dovranno pronunciarsi.
Il piano prevede di trasferire in una società controllata dalla BNS i cosiddetti «attivi tossici» di UBS. L’idea è di parcheggiare questi valori attualmente invendibili in mancanza di compratori, ad esempio i crediti ipotecari ‘subprime’ del mercato americano, nella speranza che riacquistino valore una volta passata la crisi.
Complessivamente UBS dovrebbe trasferire fino a 60 miliardi di dollari (73 miliardi di franchi al cambio attuale). La banca finanzierà il fondo con 6 miliardi, mentre il resto sarà coperto da un prestito della BNS della durata massima di 12 anni.
«Anche questa operazione è necessaria, ma comporta rischi maggiori per le finanze pubbliche. Prima o poi una parte di questi ‘attivi tossici’ potrà essere recuperata, poiché alla base ci sono beni tangibili, ad esempio delle case. Non si sa però né quando né quando si potrà recuperare», osserva Terlizzi.
Manovra discutibile, ma necessaria
Questa manovra è stata criticata da più parti, poiché da un lato vi è poca trasparenza sugli attivi che saranno trasferiti e dall’altro perché ad accollarsi i rischi maggiori è la BNS e quindi anche i contribuenti.
«È chiaro che si tratta di una manovra discutibile, così come tutte le mosse di aiuto pubblico. Bisogna però chiedersi quali alternative vi siano. Fino a quando questi titoli tossici rimangono nel bilancio UBS è difficile pensare a un rilancio. Se invece vengono fatti confluire in una società esterna l’UBS ha per lo meno la possibilità di rilanciarsi. Naturalmente non è però detto che questo basti», sottolinea
Al di là del piano di salvataggio, l’assemblea generale servirà agli azionisti soprattuto per dialogare coi vertici dell’istituto e per tastare il polso del paziente malato. Appena qualche giorno fa il corso dell’azione ha toccato il minimo storico, ossia poco più di 10 franchi.
Diverse incognite
Oltre a un quadro generale sfavorevole per tutte le grandi banche, sull’andamento del titolo incidono diverse incognite ancora aperte. «Vi è ancora una certa incertezza sulle svalutazioni e le perdite subite. Non si sa se tutte siano state registrate. Inoltre si teme che il deflusso di patrimoni constatato negli ultimi mesi prosegua», spiega Lino Terlizzi.
UBS è pure confrontata alla vicenda legata all’indagine contro alcuni suoi clienti americani, accusati di frode fiscale. A metà novembre le autorità statunitensi hanno aperto un’inchiesta nei confronti di Raoul Weil, presidente e amministratore delegato del Global Management di UBS (vedi storia correlata).
Fusione in vista?
Con un corso dell’azione così basso, UBS potrebbe far gola a molte banche. Nelle ultime settimane, del resto, si sono moltiplicate le speculazioni in questa direzione.
Difficilmente, però, la banca elvetica passerà in mani straniere, anche perché un eventuale acquirente dovrebbe riprendere pure i circa 60 miliardi di dollari di «attivi tossici».
«Pur essendo un istituto privato – osserva Terlizzi – UBS è una banca-paese e fino a quando lo potrà, il sistema-paese cercherà di evitare che passi in mano a un gruppo straniero».
Tre scenari
Uno degli scenari per evitare il collasso del gigante bancario è un’ulteriore iniezione di fondi pubblici. Domenica, del resto, il direttore della commissione federale delle banche Daniel Zuberbühler non ha escluso che in caso di necessità lo Stato possa metterci ancora una volta una pezza.
Secondo Myret Zaki, giornalista al quotidiano romando Le Temps e autrice del libro «UBS, les dessous d’un scandale» («UBS, i retroscena di uno scandalo», apparso alcune settimane prima del fallimento della Lehmann Brothers), è uno scenario più che probabile, malgrado i vertici della banca lo abbiano per ora escluso.
«La banca è di nuovo a corto di capitale – sottolinea la giornalista. Le due prime ricapitalizzazioni di quest’anno sono state effettuate grazie agli azionisti attuali di UBS e a fondi sovrani come quello di Singapore. Singapore è nuovamente stata sollecitata per la terza ricapitalizzazione (quella che sarà effettuata grazie ai sei miliardi di franchi della Confederazione, ndr) ma ha rifiutato. Oggi a mio avviso ci si dirige verso una quarta ricapitalizzazione. Sul mercato non vi sono però investitori interessati. Le dichiarazioni di Zuberbühler servono quindi a preparare il terreno».
Per Lino Terlizzi un secondo scenario plausibile è la cessione di alcune attività, come ad esempio l’asset management, l’investement banking americano, principale causa delle perdite ‘subprime’, o il private banking onshore americano.
«Anche se è sempre stata smentita – aggiunge Terlizzi – rimane una terza ed ultima opzione, ossia una fusione con Credit Suisse o con un’altra banca svizzera».
swissinfo, Daniele Mariani
Durante l’assemblea generale straordinaria, il consiglio d’amministrazione di UBS presenterà pure un rapporto sulla revisione del sistema di remunerazione, una revisione resasi quasi obbligatoria dopo le polemiche scatenatesi a causa dei bonus milionari con i quali sono stati retribuiti i dirigenti.
Il nuovo modello prevede l’introduzione di un sistema di bonus-malus calcolato su più anni, che riguarderà il 2-3% dei dipendenti. In pratica, in caso di cattivi risultati, un dirigente potrebbe dover rimborsare i premi.
Inoltre il presidente del consiglio d’amministrazione non percepirà più una remunerazione variabile.
Proprio martedì, l’ex presidente del consiglio d’amministrazione Marcel Ospel e altri due top manager hanno rinunciato a 33 milioni di franchi di bonus. In precedenza l’ex presidente della direzione Peter Wuffli aveva dal canto suo restituito 12 milioni di franchi.
Malgrado questa revisione, l’assemblea generale di giovedì si annuncia rovente. Il Partito socialista, ad esempio, ha acquistato una singola azione UBS per permettere al suo presidente Christian Levrat di partecipare all’assemblea.
I vertici della banca dovranno sicuramente far fronte a numerose critiche, ad esempio la vicenda che ha visto protagonista Rainer-Marc Frey. Eletto lo scorso 2 ottobre nel consiglio d’amministrazione, Frey non ha esitato a vendere un milione di azioni della banca, imitato da Marten Hoekstra, un membro della direzione che si è disfatto di quasi 50’000 titoli.
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