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La visione coloniale di una multinazionale svizzera

Gioco da tavola
Un passatempo dal sapore coloniale: il "gioco dell'aviatore" della Maggi, distribuito, probabilmente negli anni Trenta, in versione tedesca, francese e italiana. swissinfo.ch


In Svizzera hanno sede numerose multinazionali. Molte di loro sono nate nella seconda metà del XIX secolo, in piena epoca coloniale. Ma c’è un rapporto tra la fulminante ascesa delle grandi aziende elvetiche e l’espansione coloniale europea? La questione è complessa.

L’ho ritrovato qualche settimana fa, nell’appartamento che fu di mia nonna. Ne avevo vaghi ricordi d’infanzia. È un gioco dell’oca pieghevole, stampato su cartone, prodotto probabilmente negli anni 1930 dalla Maggi, l’azienda svizzera celebre per i suoi dadi da brodo.

Raffigura una cartina dell’Africa e di parti dell’Asia e dell’Europa, attraversate da un percorso a tappe. Protagonista del gioco è un aviatore che decolla da Kempttal (Zurigo), sede della principale fabbrica Maggi, e vive svariate avventure nei tre continenti. 

Stereotipi coloniali

Quel che da bambino non notavo, perché corrispondeva agli stereotipi ricorrenti nella letteratura per l’infanzia dell’epoca, è la maniera di raffigurare le popolazioni incontrate dal protagonista. Quasi tutti gli abitanti dell’Africa subsahariana sono seminudi, coperti da un semplice gonnellino. Alcuni ballano in modo bizzarro, altri hanno un anello al naso e cucinano in pentoloni appesi sopra il fuoco.

L’aviatore fa conoscere agli indigeni i prodotti Maggi, ottenendone in cambio doni e riconoscenza. Nel Sudan francese (l’odierno Mali) scova “eccellenti erbe per minestra”, che segnala alla Maggi, da Calcutta spedisce all’azienda riso per minestre, in Afghanistan tiene una conferenza sui prodotti Maggi al circolo femminile di Kabul.

Il gioco riproduce molti stereotipi dell'”immaginario coloniale”: l’aviatore incarna la figura dell’avventuriero, che si muove con attitudine padronale in un mondo abitato da popolazioni arretrate e selvagge, “in armonia con la visione coloniale di un mondo dove l’Occidentale bianco domina i popoli di colore.” (Patrick Minder, La Suisse coloniale).

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Una multinazionale in un mondo coloniale

Nello stesso tempo, la mappa restituisce l’immagine di un’azienda multinazionale che intrattiene relazioni commerciali con vari paesi, promuove i suoi prodotti nel mondo e importa materie prime ricorrendo al più moderno dei mezzi di trasporto: l’aereo. E che si pone al centro di una rete di rapporti sociali ed economici di stampo coloniale.

Naturalmente si tratta solo di un gioco, che prova al più la condivisione da parte dei suoi autori di un immaginario ampiamente diffuso nelle società dei paesi industrializzati. Eppure ci si può chiedere perché un’azienda svizzera decida di rappresentarsi in questo modo. C’è una relazione tra l’emergere di alcune grandi multinazionali in Svizzera verso la fine del XIX secolo e l’economia coloniale?

“In effetti non si può capire la storia economica della Svizzera senza tener conto del colonialismo”, osserva Christof Dejung, professore di storia all’università di Berna. “Tuttavia non si può parlare in generale di un legame diretto tra sviluppo delle grandi aziende svizzere e colonialismo.” La questione è più complessa.

La Svizzera all’epoca della prima globalizzazione

Tra il 1870 e il 1910, la Svizzera conosce una rapida crescita economica, accompagnata da una forte integrazione nell’economia mondiale. Secondo una ricostruzione dello storico Thomas David, professore all’università di Losanna, nel 1913 la Svizzera si classifica al terzo posto fra i paesi industrializzati quanto a esportazioni per abitante, dietro al Belgio e ai Paesi Bassi (due paesi coloniali). Nello stesso tempo, il paese è al primo posto per investimenti diretti all’estero.

Alcune aziende svizzere cominciano a delocalizzare la produzione fin dagli anni 1870, per ovviare alle tariffe doganali e agli ostacoli commerciali imposti da molti Stati nel corso della Grande depressione (1873-1895), per diminuire i costi di produzione e per trovare nuovi sbocchi commerciali. Il fenomeno si intensifica dopo il 1890.

L’evoluzione in Svizzera è analoga a quella di altri piccoli paesi europei industrializzati come Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Belgio. Le dimensioni ridotte del mercato interno obbligano le aziende a cercare sbocchi all’estero. In Svizzera tuttavia, l’internalizzazione è particolarmente accentuata. Stando a uno studio dello storico tedesco Harm Schröter, nel 1914 oltre la metà delle aziende multinazionali dei cinque piccoli Stati ha sede nella Confederazione.

Fra queste vi sono aziende come Brown Boveri (oggi ABB), Ciba e Geigy (Novartis), Maggi (Nestlé), Nestlé, Sulzer, Suchard (Mondelez International), Wander (Associated British Foods) e altre.

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Il ruolo delle colonie

Gli investimenti diretti delle aziende svizzere riguardano però in primo luogo i paesi limitrofi (Germania, Francia e Italia), la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. “Nel periodo considerato le aziende industriali svizzere sono poco presenti nelle colonie e non hanno attività produttive”, osserva Thomas David, professore di storia all’università di Losanna.

“Il centro delle attività delle multinazionali dell’industria prima del 1914 è l’Europa”, nota anche la storica ginevrina Béatrice Veyrassat. Nelle colonie si insediano tutt’al più filiali di vendita. È il caso per esempio di Nestlé: una mappa del mondo pubblicata nell’almanacco dell’azienda nel 1913 indica la presenza di numerose succursali e agenzie lungo le coste dell’Africa, in India e nel Sudest asiatico. Le fabbriche però sorgono solo in Europa, negli Stati Uniti e in Australia.

“Se si vogliono indagare le relazioni tra multinazionali svizzere e colonialismo, occorre guardare piuttosto alle società commerciali. In Svizzera hanno una lunga tradizione, che risale al XVIII secolo”, aggiunge Veyrassat. Operatori come i fratelli VolkartCollegamento esterno, la Basler HandelsgesellschaftCollegamento esterno o le case di commercio svizzere in Asia confluite nell’odierna DKSHCollegamento esterno si dedicano al commercio di cotone, cacao, caffè e altre materie prime, arrivando a controllare settori importanti dei traffici internazionali.

Queste multinazionali del commercio forniscono le materie prime necessarie allo sviluppo delle attività produttive di aziende industriali, per esempio il caffè e il cacao. Nel contempo, favoriscono la penetrazione di manufatti svizzeri nei paesi del Sud. “In queste attività, gli attori svizzeri danno prova di grande capacità di adattamento e di flessibilità economica e culturale”, rileva Veyrassat. E in una certa misura approfittano delle strutture coloniali.

È tuttavia difficile valutare l’impatto delle relazioni commerciali con le colonie sulla crescita economica della Svizzera prima e dopo la Grande guerra. Sul piano delle esportazioni e delle importazioni, i mercati di gran lunga più importanti rimangono quelli europei. E anche fra paesi del Sud, i principali partner commerciali della Svizzera sono paesi formalmente indipendenti. Per alcune aziende e settori, le colonie assumono però un ruolo importante, come fornitrici di materie prime e come sbocco commerciale.

“Dopo la Seconda guerra mondiale, molte multinazionali svizzere installeranno anche delle unità di produzione nelle ex-colonie che hanno ottenuto l’indipendenza”, aggiunge Thomas David.

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edificio coloniale

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Un sogno di espansione

E il gioco della Maggi? Negli anni 1930, l’azienda svizzera, tra i pionieri della produzione alimentare industriale, è attiva soprattutto in Europa, in particolare in Germania e in Francia. A differenza della Nestlé, da cui sarà assorbita dopo la Seconda guerra mondiale, non ha una presenza rilevante oltreoceano.

Gli orizzonti coloniali non le sono tuttavia estranei. Fra le prime vignette pubblicitarie per l’aroma Maggi, risalenti alla fine del XIX secolo, vi è l’immagine di due indigeni africani che preparano una zuppa in un paesaggio desertico. Nel 1922 Maggi partecipa all’Esposizione coloniale di Marsiglia. All’epoca alcuni prodotti dell’azienda hanno probabilmente già trovato la via delle colonie.

Solo nel secondo dopoguerra e sulla scia della decolonizzazione, i prodotti Maggi conoscono tuttavia una diffusione davvero globale. In Africa nel giro di alcuni decenni i dadi da brodo giallo-rossi finiscono sulle bancarelle di tutti i mercati e diventano un ingrediente irrinunciabile della cucina locale.

Il gioco dell’aviatore, forse, è solo una visione. Il sogno di un’espansione commerciale che si muove all’interno di una logica coloniale, venata di velleità civilizzatrici e atteggiamenti razzisti, e basata su una concezione gerarchica dei rapporti tra paesi industrializzati e Sud del mondo.

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