Grandi inquinatori nel mirino, le vertenze sul clima approdano in Svizzera
Una vertenza climatica è in corso in Svizzera nei confronti del gigante del cemento Holcim. Si tratta di una prima nel Paese e potrebbe aprire le porte della Confederazione ad altri casi simili.
Un’aula di tribunale nei pressi del pittoresco lago di Zugo potrebbe presto diventare il teatro di un duello giudiziario per stabilire chi debba pagare per i cambiamenti climatici. In luglio, quattro abitanti dell’isola di Pari, in Indonesia, hanno intentato una causa civile contro il più grande produttore di cemento al mondo, Holcim, per il CO2 emesso negli anni e il suo contributo all’innalzamento del livello dei mari.
Al centro del reclamo è un calcolo effettuato dal Climate Accountability InstituteCollegamento esterno (“Istituto per la responsabilità climatica”). Quest’ultimo stima che Holcim, la cui sede centrale è in Svizzera, dal 1970 abbia emesso più di 7 miliardi di tonnellate di CO2 con le sue varie attività per la produzione di cemento, dall’estrazione al trasporto. Si tratta dello 0,42% di tutte le emissioni globali di CO2 industriale dal 1750, indica il rapporto dell’istituto. A titolo di paragone, la Svizzera emette circa 40 milioni di tonnellate all’anno.
Nel Paese, si tratta della prima procedura nei confronti di un’azienda per il suo impatto sul cambiamento climatico. Le azioni legali contro i grandi inquinatori emergono con sempre più frequenza in tutto il mondo. Il caso di Holcim potrebbe aprire le porte ad altre vertenze simili nella Confederazione. Il grande commerciante di materie prime Glencore, ad esempio, figura nella lista delle cosiddette “carbon major”Collegamento esterno (così sono definite un centinaio di aziende responsabili di più del 70% delle emissioni di gas a effetto serra dall’inizio dell’era industriale), stilata dal Climate Accountability Institute.
L’ONG che ha commissionato il rapporto, l’Aiuto protestante svizzero (HEKS/EPER), utilizza il dato dello 0,42% per corroborare le rivendicazioni giudiziarie dei quattro abitanti dell’isola di Pari. Sostengono che Holcim deve pagare pro-rata per il suo storico contributo al cambiamento climatico. In altre parole: prendersi carico dello 0,42% dei costi legati ai danni da inondazione in cui sono incorsi i quattro residenti. Si tratta di circa 3’500 franchi a persona. Con questa somma, gli abitanti intendono cofinanziare misure di adattamento climatico, ad esempio piantando mangrovie e costruendo dighe per contenere future inondazioni, indica l’HCollegamento esternoEKS.
I quattro residenti chiedono inoltre che Holcim riduca “immediatamente e in modo significativo” le emissioni di CO2 al fine di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, come sancito dall’Accordo di Parigi del 2015. Con lo slogan “Un appello per la giustizia climaticaCollegamento esterno” la causa è al centro di una campagna condotta da HEKS, dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani e da WALHI, una ONG indonesiana. Il loro scopo è ricorrere alle vie legali per aumentare la pressione politica affinché si agisca contro il cambiamento climatico.
Interpellata su questo caso giudiziario, Holcim sottolinea da parte sua l’importanza di dare una risposta multilaterale globale al cambiamento climatico.
Aumento delle vertenze in tutto il mondo
In gioco c’è molto di più degli indennizzi di Holcim ai residenti dell’isola. Un verdetto favorevole a questi ultimi creerebbe un precedente di peso per casi simili, sia in Svizzera che altrove.
“La rivendicazione può essere considerata come una novità in quanto unisce due approcci: la riduzione dei gas a effetto serra e l’indennizzo”, si legge nella descrizione del casoCollegamento esterno redatta dal Sabin Centre for Climate Change Law della Columbia University. Secondo la London School of EconomicsCollegamento esterno, i procedimenti giudiziari sono uno strumento sempre più diffuso per far rispettare gli impegni presi dai Governi.
Il database della Columbia University elenca più di 2’000 procedure presso istituzioni giudiziarie incentrate sul cambiamento climatico da un punto di vista legislativo, politico o scientifico. Anche se la maggior parte di queste procedure è statunitense, le vertenze climatiche sono in corso in oltre 40 Paesi, soprattutto in quelli industrializzati. Tuttavia, sono in crescita anche nei Paesi in via di sviluppo, come mostra l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC)Collegamento esterno.
Da un altro rapporto, redatto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), emerge che le vertenze climatiche sono quasi raddoppiate tra il 2017 e il 2020; la maggior parte si basa su presunte violazioni del diritto alla vita, alla salute e di altri diritti fondamentali. Un’analisi quantitativa delle procedure mostra che circa la metà ha un esito favorevole sul cambiamento climatico. La maggior parte sono intentate nei confronti dei Governi. Due casi particolarmente significativi in questa categoria sono una decisione del 2019 della Corte suprema dei Paesi BassiCollegamento esterno, che ha ordinato al Paese di ridurre le emissioni di gas serra in modo più ambizioso, e un verdetto del 2021 della Corte costituzionale federale tedesca che ha obbligato la Germania ad anticipare di cinque anni il raggiungimento dei suoi obiettivi di emissioni zero.
Queste vertenze hanno ispirato persone colpite in tutto il mondo a intentare cause contro il modo in cui i Governi fanno fronte al riscaldamento globale.
Ora, si sono propagate al settore privato e l’attenzione è posta soprattutto sulle carbon major. Nei Paesi Bassi, la Corte che aveva sancito che le misure di protezione del clima del Governo erano insufficienti ha anche ordinato al gigante del petrolio Royal Dutch Shell di ridurre le emissioni. Il verdetto, considerato una pietra miliare nella giustizia climatica, citava espressamente l’Accordo di Parigi e anticipava “conseguenze profonde” per l’azienda.
In Germania, una ONG ha intentato delle cause nei confronti delle case automobilistiche BMW, Mercedes-Benz e Volkswagen nel 2021, basandosi anche sul precedente successo nei confronti del Governo tedesco.
Il modello per la causa contro Holcim in Svizzera risale al 2015, quando un contadino peruviano ha chiesto che il più grande produttore d’energia tedesco, RWE, lo indennizzasse per averlo obbligato a proteggere la propria cittadina contro lo scioglimento di un ghiacciaio. Non ha chiesto di essere rimborsato totalmente, ma allo 0,47%, la percentuale stimata del contributo di RWE alle emissioni globali di gas a effetto serra dall’inizio dell’industrializzazione.
In appello, una Corte tedesca ha riconosciuto il concetto di responsabilità storica. Nel maggio del 2022, con ciò che è stato definito una mossa senza precedenti, dei giudici tedeschi si sono recati in Perù per esaminare la minaccia di inondazione provocata dal ghiacciaio e valutare in che modo le emissioni di RWE vi abbiano contribuito in modo specifico.
Il dilemma della responsabilità
La creazione di un nuovo fondo per indennizzare la maggior parte delle vittime del cambiamento climatico è stata uno dei temi cardine della COP27, la Conferenza dell’ONU sul clima tenutasi a novembre in Egitto. Attivisti come HEKS considerano gli indennizzi come un requisito della giustizia climatica e chiedono che coloro che hanno causato il riscaldamento globale si prendano la responsabilità delle conseguenze. Ritengono che la via legale sia uno dei modi per riuscirci.
Anne Saab, professoressa associata presso il Graduate institute di Ginevra, pensa ci sia la possibilità che le vertenze contro le carbon major come Holcim svolgano un ruolo nel garantire gli indennizzi e nel finanziare misure quali la difesa dalle inondazioni. “Ritengo ci sia una vera opportunità di risolvere i contenziosi di perdita e danneggiamento tramite azioni legali, anche se la maggior parte delle vertenze si concluderà al di fuori dei tribunali, con un accordo di conciliazione”, scrive a SWI swissinfo.ch. Le vertenze potrebbero essere di complemento a un’azione statale più ampia, aggiunge Saab.
Per quanto possa sembrare controintuitivo, l’esperta di diritto non esclude che le aziende possano essere considerate responsabili per i gas effetto serra emessi in passato nel contesto di un’attività legale. “La scienza climatica svolge un ruolo importante nelle vertenze climatiche”, spiega Saab. “Per stabilire una responsabilità, ha importanza se si può ragionevolmente pensare che un attore fosse a conoscenza del potenziale danno causato dalle sue emissioni di gas a effetto serra, così come è importante sapere quando ne è venuto a conoscenza”.
C’è però chi si dice più scettico. “Se le emissioni erano legali per le leggi locali o svizzere nel momento in cui si sono verificate, è poco probabile riuscire ad attribuire delle colpe”, dice Walter Stoffer, professore emerito di economia e diritto privato internazionale all’Università di Friburgo. “Tuttavia, le norme internazionali hanno un peso per la legalità e stanno evolvendo. Un’azienda potrebbe non dover pagare per i danni arrecati, ma potrebbe essere obbligata a cambiare il suo modo di agire, se non l’ha ancora fatto”.
I tribunali verificheranno se i richiedenti possono provare che il danno subito è stato causato dall’azienda che indicano come responsabile. Nel caso di Holcim, gli abitanti dell’isola di Pari intendono stabilirlo in tre tappe, ha spiegato la loro avvocata, Laura Duerte, nell’ambito di un evento parallelo alla COP27: collegare l’attività della compagnia al danno all’atmosfera calcolando il suo contributo alle emissioni industriali globali, mostrare che le modifiche all’atmosfera causano l’innalzamento del livello del mare e, infine, dimostrare che l’innalzamento causa inondazioni e danni specifici.
Più di un affare legale
Portare le aziende in tribunale non è una soluzione miracolosa per risolvere le questioni delle perdite e dei danni legate al cambiamento climatico. La via legale non è usata solo per migliorare la protezione del clima, ma anche per ostacolarla. Un esempio è quando RWE ha citato in giudizio i Paesi Bassi per aver pianificato l’abbandono graduale della produzione di carbone, chiedendo un indennizzo.
Saab ammette che solo un piccolo numero di individui può ragionevolmente riuscire a ricevere dei risarcimenti per ordine di un tribunale – si tratta di coloro che hanno il supporto di ONG internazionali, che conoscono molto bene i sistemi legali di vari Paesi e possono finanziare le procedure sul lungo termine. Questa tendenza legale ha una forte dimensione politica, spiega l’esperta. “Fare il nome di un’azienda e criticarla può avere un impatto maggiore che vincere una causa in un tribunale. Le vertenze giudiziarie climatiche sono molto più di un affare legale”.
Nel caso svizzero contro Holcim, la conciliazione obbligatoria è fallita lo scorso ottobre. “Le posizioni delle parti erano troppo distanti”, scrive l’avvocata Duarte a SWI swissinfo.ch. Gli abitanti dell’isola di Pari in Indonesia hanno ora fino alla fine di gennaio 2023 per presentare le loro rivendicazioni al Tribunale cantonale di Zugo per la prossima tappa della causa civile.
Ariane Lüthi è un’ex diplomatica e specialista dei diritti umani presso Holcim. Lavora come giornalista dal 2020.
A cura di Virginie Mangin
Traduzione: Zeno Zoccatelli
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