I banchieri privati di fronte a un bivio
Con la scomparsa della Wegelin e la trasformazione della struttura giuridica della Pictet e della Lombard Odier, la proporzione di banche private in Svizzera continua a diminuire. Anche per questi istituti il mondo sta cambiando.
Molti osservatori temono che in Svizzera l’atmosfera sia ormai troppo rarefatta per permettere ai piccoli e discreti istituti famigliari di sopravvivere.
Negli uffici della più vecchia banca privata svizzera, la Rahn & Bodmer, non si fa sfoggio di ricchezza. Quando entrano nell’istituto con sede a Zurigo, i clienti non camminano su lussuosi tappeti sovrastati da preziosi ritratti dei fondatori.
Dalla banca emana un’atmosfera di calma ed efficienza, che contrasta con le vicissitudini che questa società famigliare e generazioni di clienti hanno dovuto attraversare in 263 anni di storia.
Altri sviluppi
La secolare tradizione del ‘private banking’ svizzero
Sicurezza prima di tutto
Una delle principali carte da visita di questa banca di proprietà di cinque partner è di accettare una responsabilità illimitata per le perdite occasionate ai suoi clienti. In Svizzera, si tratta di una conditio sine qua non per vedersi attribuito lo statuto di «banchiere privato» (e non di banca privata), un marchio dell’Associazione dei banchieri privati svizzeri protetta da copyright dal 1997.
«I clienti apprezzano il fatto che i partner seguano scrupolosamente un modello d’affari che non impoverisce la banca. Ciò si traduce in una strategia più conservativa, meno rischiosa rispetto a quella seguita da altre banche», spiega Christian Rahn.
Fino allo scorso anno, Rahn & Bodmer era la seconda banca privata più vecchia della Svizzera. La situazione è cambiata quando la detentrice del record – la Wegelin – è rimasta impigliata nella rete della giustizia americana, rea di aver aiutato clienti d’Oltreoceano ad evadere le tasse.
Giuridicamente l’istituto esiste ancora e continuerà ad esistere sino a quando le procedure legali negli USA saranno concluse. Di fatto, però, la banca fondata nel 1741 ha cessato le sue attività.
Il destino dei partner della Wegelin – che negli Stati Uniti rischiano grosso – è stata forse una delle ragioni che ha spinto altre due pesi massimi del settore (la Pictet e la Lombard Odier) a voltare le spalle al modello di responsabilità illimitata.
Cambiamento di stile
Le due banche hanno recentemente annunciato l’intenzione di modificare la loro struttura giuridica, trasformandosi in società in accomandita, ciò che limita la responsabilità in caso di perdite. Gli istituti hanno smentito categoricamente che ad averli spinti in questa direzione sia stata l’esperienza della Wegelin. La modifica delle strutture – sottolineano – è stata dettata prima di tutto dalla necessità di adattarsi a un contesto normativo in piena mutazione, sia in Svizzera che all’estero, e dalla volontà di rafforzare le attività internazionali.
«Possono smentire tutto ciò che vogliono. Sono però convinto che il caso Wegelin abbia svolto un ruolo importante in questa decisione», afferma Martin Schilling, esperto di ‘private banking’ presso la PricewaterhouseCoopers (PwC).
Qualunque sia il motivo, la Pictet e la Lombard Odier sono andate ad aggiungersi a istituti come la Julius Bär, la Vontobel, la Landolt e la Hottinger, che negli ultimi anni hanno pure optato per una simile trasformazione.
Anche se entrambe le società emetteranno azioni, il capitale rimarrà comunque nelle mani dei proprietari, hanno precisato gli istituti.
In Svizzera vi sono in senso lato tre categorie di attività di ‘private banking’.
Il modello a responsabilità illimitata – o ‘banchieri privati’ – è seguito attualmente da 11 istituti. All’inizio del 2014, vi saranno due banchieri privati in meno (Pictet e Lombard Odier), che hanno optato per un’altra forma giuridica.
Il Credit Suisse e soprattutto l’UBS giostrano in un’altra categoria e sono in competizione con altri pesi massimi mondiali del settore per ritagliarsi una fetta del mercato della gestione di patrimoni.
Per questi attori, il wealth management rappresenta una componente significativa del loro modello d’affari, che comprende anche l’investment banking e l’asset management.
L’UBS è stata la più importante banca al mondo in materia di wealth management per diversi anni, fino a quando è stata superata dalla Bank of America/Merrill Lynch.
Tra le maggiori banche private svizzere vi sono la Julius Bär, la Vontobel e la Sarasin.
Recentemente sono nati anche alcuni attori di nicchia, tra cui ad esempio la banca privata sostenibile Globalance (creata dal fondatore del Sustainable Asset Management Reto Ringger).
Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca nazionale svizzera e dall’Associazione svizzera dei banchieri, alla fine del 2011 circa 5’300 miliardi di franchi erano depositati nelle banche svizzere, di cui 2’700 miliardi offshore.
Una questione di taglia
La taglia sarà cruciale per avere successo in futuro, stando a un recente rapporto della PwC.
A spingere verso un ingrandimento sono l’esiguità del mercato interno, l’accesso ridotto ai patrimoni europei e statunitensi vista l’aria che tira in materia fiscale, gli utili minimi in un mercato finanziario che stenta e i costi in crescita a causa di regolamentazioni più severe.
Lo studio della PwC è in sostanza giunto a conclusioni simili a quelle di un’altra ricerca della KPMG e dell’Università di San Gallo, secondo cui gli attori più piccoli saranno quelli che patiranno maggiormente i cambiamenti.
«Molti istituti pensano che potranno continuare ad esistere se riescono a ridurre i loro costi, ad esempio esternalizzando i servizi di ‘back office’ e di tecnologia dell’informazione», osserva Schilling. «Non vedo però come possano ridurli sufficientemente con questa strategia».
«Concentrarsi unicamente sui costi non funzionerà, prosegue. Le banche devono aumentare le loro entrate e quelle piccole non hanno sufficienti mezzi finanziari per conquistare nuovi mercati».
Piccolo è bello
Il rapporto dell’Università di San Gallo e della KMPG indica che il numero di banche private in Svizzera è sceso da 169 nel 2008 a 148 nel 2012. Il settore dovrebbe conoscere un ulteriore consolidamento.
Christian Rahn refuta però l’idea secondo cui le piccole banche vanno incontro a tempi difficili. «Non vi sono pressioni supplementari dovute alla grandezza. Le grandi e medie banche devono far fronte allo stesso incremento dei costi di quelle piccole».
La longevità non è garanzia di successo. L’esperienza di cui può vantarsi la Rahn & Bodmer può tuttavia avere qualche vantaggio, aggiunge.
«Nei nostri 263 anni di storia abbiamo dovuto affrontare difficoltà ben maggiori di quelle attuali, conclude. Se paragonati a quelli della Seconda guerra mondiale, i problemi di oggi non sono nulla».
(traduzione e adattamento dall’inglese di Daniele Mariani)
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