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I paesi BRIC e il nuovo equilibrio internazionale

Nel 2030 i BRIC potrebbero produrre il 47% del Pil mondiale. labourmobility.com

Nel contesto di un'Europa in crisi, i paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) si stanno affermando come partner privilegiati per diversi paesi, Svizzera inclusa. I mercati emergenti saranno i protagonisti del nuovo mondo? Ne parliamo con Pietro Veglio, ex direttore esecutivo svizzero presso la Banca Mondiale.

Pietro Veglio, classe 1944, può vantare una doppia visione sulle potenzialità e sulla realtà dei paesi BRIC.

L’economista ticinese è stato direttore esecutivo svizzero presso una grande istituzione come la Banca Mondiale. Al contempo è presidente della FOSIT, la Federazione delle organizzazioni non governative della Svizzera italiana.

La Svizzera è tradizionalmente legata a partner commerciali industrializzati. In un periodo in cui Europa e Stati uniti sono in difficoltà, Berna dovrebbe concentrarsi maggiormente sui paesi BRIC?

Pietro Veglio: I flussi del commercio estero svizzero si sono già riorientati verso certi paesi emergenti, in particolare quelli asiatici. C’è una maggiore diversificazione geografica dell’export elvetico, con un netto aumento delle esportazioni verso i paesi emergenti e in via di sviluppo.

Ciò dimostra che l’industria svizzera d’esportazione ha tratto le lezioni giuste dalla recente crisi finanziaria e dalla crisi dell’Eurozona.

Quali sono gli aspetti comuni dei paesi BRIC?

P. V.: I BRIC sono diventati un soggetto politico. Votano in modo simile alle Nazioni Unite e organizzano vertici fra loro. Si presentano come protagonisti del nuovo mondo e usano il club per creare egemonie, ad esempio quando si discute di clima. Oppure quando decidono di mettere piede nel continente africano e aprono le porte al Sudafrica diventando BRICS. La mappa della politica internazionale è quindi cambiata: si assiste alla creazione di un nuovo equilibrio internazionale.

Sul piano economico il Prodotto interno lordo dei BRIC è ormai al 17% di quello globale. La Cina potrebbe sorpassare gli Stati Uniti nel 2027, mentre il Pil del Brasile ha già superato quello dell’Italia. Nel 2030 i BRIC potrebbero produrre il 47% del Pil mondiale. Inoltre hanno tracciato una strada per altri, tanto che oggi si parla di Sudafrica, Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Cile.

Quali invece le divergenze principali?

P. V.: I BRIC non sono paesi omogenei. La Cina ha basato il proprio modello di sviluppo degli ultimi 30 anni sull’espansione delle esportazioni e sugli investimenti dominati dalle grandi imprese statali, a scapito del consumo interno. Il paese dovrà dunque ricercare progressivamente un nuovo equilibrio espandendo il consumo domestico e riorientando gli investimenti verso le piccole e medie imprese che producono per i mercati locali.

In Brasile gli investimenti equivalgono invece al 19% del Pil. Questa bassa percentuale, inferiore a quella della Cina o di molti paesi industrializzati, riflette a sua volta l’insufficienza dei risparmi domestici.

Il Brasile presenta però un alto livello di consumi (61% del Pil). Questa situazione non è sostenibile in quanto il Brasile dovrà diminuire i consumi e aumentare la sua quota di risparmio, soprattutto per finanziare un’infrastruttura ancora nettamente insufficiente. Le risorse dei nuovi giacimenti petroliferi off-shore potrebbero offrire al Brasile questa opportunità.

L’India si trova dal canto suo a metà cammino. Gli investimenti equivalgono al 38% del Pil e sono in gran parte finanziati dalle imprese produttive, con poca intermediazione del settore bancario. Anche l’India sarà chiamata a migliorare la propria infrastruttura.

Infine la Russia è diventata un importante esportatore di gas naturale e petrolio. Tuttavia il paese sembra lottare ancora con le ombre del passato sovietico e seri problemi di governanza.

Quando si parla dei paesi emergenti si fa spesso riferimento alla crescita economica e alla grossa potenzialità dei loro mercati. In che misura questa situazione è il frutto di violazioni dei diritti dei lavoratori o di un certo degrado ambientale?

P. V.: La crescita economica può contribuire fortemente al miglioramento degli standard di vita. Tuttavia, la crescita del Pil non dovrebbe essere vista come fine a se stessa, bensì come un mezzo per raggiungere gli obiettivi che consideriamo importanti. Ogni paese BRIC dovrà risolvere grosse sfide sociali e ambientali.

In Cina la disuguaglianza sociale fra ricchi e poveri e fra regioni è aumentata e il processo decisionale dipende in larga misura dalle scelte fatte dai vertici del partito comunista, con una scarsa pressione democratica da parte della base. Esistono come in altri paesi dei problemi di contaminazione delle acque, dell’aria e dei suoli, dei quali i governanti hanno però preso coscienza. Non per niente la Cina sta sviluppando le energie rinnovabili e potrebbe diventare un leader mondiale in questo campo.

L’India sta affrontando sfide ancora più difficili in campo sociale e ambientale. Ma in India non c’è soltanto la libertà di accedere all’informazione. Ci sono anche innumerevoli media nazionali, spesso molto critici nei confronti del governo. Anche le componenti più povere della popolazione possono partecipare alla vita politica e sociale.

Quanto al Brasile, la storica disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è migliorata negli ultimi dieci anni grazie anche ai programmi sociali sviluppati da diversi governi. Il programma nazionale “bolsa familia” beneficia ad esempio quasi 50 milioni di persone attraverso sussidi alle madri di famiglie più povere, con la condizione che i loro figli frequentino le scuole d’obbligo e si sottopongano a controlli sanitari regolari.

Nel quadro degli accordi di libero scambio che Berna sta negoziando con i paesi BRIC, cosa può fare la Svizzera per favorire un maggior rispetto dei diritti fondamentali?

P. V.: Non credo che potrà fare molto. La Cina non accetta nemmeno di entrare in materia su questo tipo di approccio e gli alti paesi lo interpretano generalmente come una misura protezionistica per favorire gli interessi commerciali elvetici.

Lo sviluppo economico e sociale dei BRIC favorirà comunque la crescita delle società civili e con questo le spinte dal basso per un maggiore rispetto dei diritti fondamentali. È in questa prospettiva che si può manifestare un ottimismo moderato, non certo nell’imposizione di standard che gli stessi paesi industrializzati non hanno rispettato nel passato.

Cosa manca ai paesi BRIC per diventare delle superpotenze? È soltanto una questione di tempo?

P. V.: Difficile dirlo. Anche perché la transizione da un’economia emergente ad una ricca è complessa e difficile. Molto di più di quanto non lo sia la transizione da paese povero a paese emergente.

Il termine BRIC è stato creato nel 2001 per indicare il gruppo di paesi emergenti che avrebbe dominato l’economia mondiale.

Oltre alla forte crescita del Pil, Brasile, Russia, India e Cina condividono anche una grande popolazione, un territorio vastissimo e abbondanti risorse naturali.

Nel 2010 sono stati inclusi dal Fondo Monetario internazionale tra i dieci paesi con il diritto di voto più elevato (assieme a Stati Uniti, Giappone, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna).

L’importanza crescente dei paesi BRIC per l’economia svizzera ha indotto la Confederazione a sviluppare, nel 2006, una strategia di legami economici privilegiati.

Con Cina, India e Russia sono in corso negoziati per la conclusione di un accordo di libero scambio nel quadro dell’Associazione europea di libero scambio (i colloqui con il Brasile-Mercosur sono ancora a uno stadio preliminare).

Nato nel 1944 in Ticino, ottiene un Master in economia all’Università di Friburgo e all’Istituto di pianificazione economica e sociale (ILPES) della Commissione economica per l’America latina a Santiago del Cile.

Nel 1969 inizia la sua attività presso il Servizio di cooperazione tecnica, oggi Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri. Assume varie mansioni direttive come caposezione e coordinatore, sia presso la sede centrale che all’estero.

Dal 1992 al 1997 lavora come consigliere del direttore esecutivo svizzero presso la Banca Mondiale a Washington, poi come esperto della Divisione valutazioni della stessa istituzione.

Dal 1998 al 2001 è direttore della Divisione di analisi delle politiche di aiuto allo sviluppo presso l’Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE) a Parigi.

Dal 2002 al 2006 riveste la carica di direttore esecutivo presso la Banca Mondiale per la Svizzera, rappresentando inoltre l’Azerbaigian, il Kirghizistan, il Tagikistan, il Turkmenistan, l’Uzbekistan, la Polonia, la Serbia e Montenegro.

Pietro Veglio è docente alla Facoltà di scienze della comunicazione all’Università della Svizzera italiana e all’Università di San Gallo.

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