Il franco svizzero fa ancora gola
Con il conto alla rovescia per le elezioni legislative in Grecia, gli investitori si stanno agitando per trovare rifugi sicuri per i loro patrimoni. Un afflusso di capitali che paesi come la Svizzera stanno cercando disperatamente di respingere.
Se la Grecia dovesse uscire dall’euro e il panico travolgesse altri paesi sommersi di debiti, il franco svizzero rischierebbe di trasformarsi nuovamente in una calamita per gli investitori stranieri.
Dopo aver messo in atto con successo, dallo scorso settembre, un piano per impedire che il tasso di cambio scenda sotto la soglia di franchi 1.20 per un euro, la Banca nazionale svizzera (BNS) teme ora che questa misura da sola potrebbe non più bastare.
L’intervento della BNS ha rapidamente messo fine alle operazioni di speculatori che puntavano su un apprezzamento inarrestabile del franco per fare lauti guadagni. L’istituto di emissione elvetico è stato finora in grado di difendere la propria valutazione del franco, senza una spesa massiccia simile a quella che ha gettato la banca centrale in rosso nel 2010.
Ma l’incertezza sulla permanenza della Grecia nell’euro e il timore elevato di problemi di debito in Spagna e in Portogallo ha ridestato le preoccupazioni della BNS, che nelle ultime settimane si è nuovamente rimboccata le maniche.
La banca centrale sta valutando altre misure – ancora da definire –per frenare l’afflusso di capitali stranieri. I provvedimenti potrebbero includere l’imposizione di una tassa sugli investimenti esteri in arrivo in Svizzera.
Alla ricerca di opzioni
In tempi di difficoltà economiche e finanziarie, gli investitori inevitabilmente cercano di trasferire fondi sulle valute meno volatili. Pur di evitare una contrazione del loro capitale, sono ben felici di accettare rendimenti più bassi.
Il franco svizzero fa parte di quelle valute rifugio a livello mondiale che ha continuato ad attrarre volumi indesiderati di investimenti stranieri dall’inizio della crisi finanziaria. Il problema è che tali afflussi massicci distorcono la valutazione delle monete, provocano il caos nei tassi di cambio e nei prezzi dei beni esportati.
Trovare un rifugio affidabile negli ultimi mesi è però diventato un compito difficile per gli investitori, poiché i paesi nel loro mirino fanno di tutto per non più essere attrattivi. Così il Giappone alla fine dello scorso anno ha iniettato l’equivalente di 120 miliardi di franchi nei mercati per svalutare lo yen.
L’interesse si è rivolto anche alla corona svedese e alla corona norvegese. Ma i timori di insufficiente liquidità in Svezia e una serie di tagli dei tassi di interesse in Norvegia hanno messo i due paesi scandinavi al riparo da un afflusso massiccio di capitali esteri.
All’altro capo del mondo, c’è ancora incertezza sull’eventualità che il dollaro australiano possa emergere come una nuova moneta rifugio. I recenti cali della moneta australiana contro il dollaro americano hanno portato acqua al mulino del “no”.
Revival del biglietto verde
I segnali di una ripresa economica robusta degli Stati Uniti hanno rafforzato il dollaro contro la maggior parte delle principali valute nelle ultime settimane. Il dollaro USA finora è stato tradizionalmente la più grande valuta di rifugio in tempi di volatilità.
La crisi finanziaria, il crollo dei prezzi immobiliari e una serie di piani di allentamento quantitativo della Federal Reserve negli Stati Uniti avevano inizialmente incrinato lo statuto di valuta rifugio del dollaro. Ma di recente il biglietto verde ha riconquistato la fiducia degli investitori.
Più vicino alla Svizzera, negli ultimi mesi si è assistito a un trasferimento di capitali provenienti da paesi dell’Europa meridionale in obbligazioni tedesche e olandesi, beni immobiliari a Londra e nella sterlina inglese.
Obbligazioni di paesi economicamente stabili sono il “classico tipo d’investimento in tempi di recessione”, commenta David Kohl, esperto di valute presso la banca Julius Bär.
L’opposizione di Berlino a un’ulteriore sottoscrizione del debito greco ha rafforzato l’attrattiva della Germania come rifugio sicuro della zona euro, secondo il capo economista della gestione patrimoniale presso l’UBS, Daniel Kalt. Finché la cancelliera tedesca Angela Merkel resiste all’Eurobond, l’obbligazione tedesca continuerà ad attrarre capitali, afferma.
Ma “se la Germania accettasse di sopportare di più l’onere del debito del Sud Europa, uno dei più grandi mercati di rifugio in Europa scomparirebbe”, dice Kalt a swissinfo.ch.
Franco di nuovo sulla difensiva
David Kohl ritiene che la sterlina inglese possa godere solo di uno status limitato di investimento interessante. “La sterlina detiene alcuni aspetti di una valuta rifugio, ma è probabilmente più un caso di valutazione”, dichiara a swissinfo.ch. “La sterlina è stata a lungo sottovalutata, ma questa storia è probabilmente finita.”
Alcuni osservatori suppongono che nelle prossime settimane possa accentuarsi la pressione sul franco svizzero, nonostante la determinazione della BNS per impedirne l’apprezzamento. Investitori hanno portato via dalla Grecia decine di miliardi di euro negli ultimi due anni, trasferendoli in Svizzera e altri paesi, tra cui Cipro.
La Svizzera è stata finora in grado di assorbire questi flussi. Ma il timore è che un’uscita della Grecia dall’euro potrebbe portare a corse agli sportelli delle banche elleniche e che il fenomeno potrebbe espandersi alla Spagna, al Portogallo e persino all’Italia, se si diffondesse il panico.
In tali circostanze, il franco svizzero potrebbe trasformarsi ancora una volta in un irresistibile magnete, nonostante gli sforzi della Confederazione per evitare che ciò accada.
Il franco svizzero è una valuta considerata un “valore rifugio”. Investitori e speculatori acquistano franchi svizzeri quando altre valute, compresi l’euro e il dollaro, sono sotto pressione.
Una valuta è considerata un valore sicuro quando lo stato di emissione è un paese con un’economia solida, un sistema politico stabile e ha sufficienti liquidità per affrontare un’improvvisa ondata di transazioni internazionali.
La neutrale Svizzera, con la sua politica economica conservatrice e un settore finanziario forte, è stata per anni una classica valuta rifugio. In particolare durante le due guerre mondiali.
La Banca nazionale svizzera (BNS) non fissa obiettivi in materia di tassi di cambio. La sua politica monetaria è essenzialmente basata su un mandato legale, il quale stipula che l’istituto deve garantire la stabilità dei prezzi e favorire un’evoluzione equilibrata della congiuntura.
La BNS ha iniziato a intervenire sul mercato dei cambi nel marzo 2009. Ma l’iniezione del 15% del PIL, nel maggio 2010, ha avuto un effetto limitato nel frenare l’apprezzamento del franco durante la prima fase della crisi del debito greco. La Banca nazionale ha abbandonato questo piano nel giugno 2010.
Questa operazione ha portato alla più grande perdita di tutti i tempi della BNS: 21 miliardi di franchi nel 2010.
Di fronte alle intense pressioni di politici ed esportatori elvetici, la BNS è nuovamente intervenuta sui mercati nel 2011, prima di annunciare, in settembre, la decisione di fissare la soglia di un franco e venti quale limite sotto il quale non deve scendere l’euro.
Per mantenere questo tasso, la BNS si è detta disposta ad acquistare una quantità illimitata di valute estere. Per mantenere stabile il corso del franco rispetto all’euro, nel 2011 ha sborsato 17,8 miliardi di franchi. Ciò nonostante è riuscita a conseguire un utile annuale.
(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)
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