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“Ora ci vuole un’azione europea coordinata”

un uomo con un sacco in spalla e una ragazza
Gran parte del campo profughi di Moria è stata distrutta dalle fiamme. Keystone / Socrates Baltagiannis

Un incendio ha distrutto gran parte del campo profughi di Moria sull'isola di Lesbo, in Grecia. Un dramma a cui hanno fatto seguito rinnovati appelli per sgomberare il campo e distribuire i rifugiati in Europa, quindi anche in Svizzera.

Lo si poteva intuire già durante la notte, ma è solo all’alba che è stata visibile la vera portata della catastrofe: il campo profughi di Moria, sull’isola greca di Lesbo, è stato quasi completamente distrutto dalle fiamme. In una notte, la maggior parte delle circa 12’600 persone del campo sono rimaste senza un alloggio.

“Circa l’80% del campo è bruciato”, stima Nicolas Perrenoud, che vive e lavora a Lesbo per l’ONG svizzera One Happy FamilyCollegamento esterno. Perrenoud non è sorpreso di quanto accaduto nella notte su mercoledì: “Si tratta di una catastrofe annunciata da tempo”.

Le tensioni sono aumentate costantemente negli ultimi mesi. A causa del coronavirus, il campo, terribilmente sovraffollato, è in lockdown da marzo, con misure di isolamento diventate sempre più restrittive. “Dalla settimana scorsa, quando si sono verificati i primi casi di contagio, il campo è stato praticamente sigillato. Anche i servizi principali sono stati soppressi e sono state trattate soltanto le emergenze mediche”, spiega.

Tuttavia, poiché non sono state predisposte zone di quarantena funzionanti, la paura e l’insicurezza si sono diffuse in tutto il campo, spiega Perrenoud. Il malessere si è in parte trasformato in rabbia e negli ultimi giorni ci sono state diverse azioni di protesta e manifestazioni. L’incendio è stato il culmine del graduale aumento della tensione: nel campo sono state appiccate le fiamme, forti venti ne hanno favorito la propagazione e i vigili del fuoco non hanno potuto fare molto.

Nicolas Perrenoud
Nicolas Perrenoud lavora su Lesbo per l’ONG One Happy Family. zvg

Allo stesso tempo, attorno al campo erano presenti degli estremisti di destra, i quali hanno aggredito i profughi e gli operatori delle ONG e appiccato incendi. “Un’altra organizzazione stava distribuendo sacchi a pelo fuori dal campo. Ho dato una mano, ma abbiamo dovuto interrompere l’azione per motivi di sicurezza”, racconta Perrenoud. La mattina dopo l’incendio, il governo greco ha dichiarato lo stato di emergenza sull’isola e ha inviato ulteriori unità di polizia antisommossa da Atene.

Appello alla solidarietà

“Ora ci vuole un’azione europea coordinata”, dice il deputato socialista Fabian Molina, che non si riferisce solo ad aiuti umanitari d’emergenza. “Certo, vanno alleviate le sofferenze immediate. Molte persone non hanno più un tetto”. Ma la situazione era già insostenibile prima. La Svizzera, che in quanto Stato aderente al trattato di Dublino si è impegnata a favore di una politica europea comune per i rifugiati, dovrebbe prendere l’iniziativa e accogliere immediatamente le persone di Moria.

Richieste simili sono state avanzate anche in altri Paesi europei. “Non ci sono motivi razionali per cui la Svizzera non dovrebbe accogliere i rifugiati. Se non ora, quando?”, si chiede Molina. Il deputato non vede alternative. La reazione non può essere di ricostruire il campo e aspettare la prossima catastrofe.

Otto città svizzere hanno annunciato la volontà di accogliere un numero maggiore di richiedenti l’asilo. Anche organizzazioni non governative quali Amnesty International chiedono di accogliere urgentemente le persone del campo di Moria. “Il fatto che ciò non sia ancora avvenuto è dovuto in ultima analisi a un blocco da parte del Consiglio federale [governo svizzero]”, dice Molina. Questo, secondo il deputato, è il risultato di una campagna denigratoria che dura da anni e che non solo mina la solidarietà nei confronti dei rifugiati, ma mette in ombra la tanto decantata tradizione umanitaria della Svizzera.

Fabian Molina è stato due volte sull’isola di Lesbo e ha visto con i propri occhi le derive dentro e intorno al campo. Prima su invito di One Happy Family nell’autunno 2018 e poi nel quadro di una visita della Commissione della politica estera nella primavera del 2019. “Le condizioni erano già disumane prima del coronavirus e ora ci troviamo di fronte a una catastrofe umanitaria”. Nessuno può affermare di non esserne a conoscenza.

Un tema anche in Parlamento

Anche altri parlamentari vogliono aumentare la pressione sul Consiglio federale. Ad esempio, il deputato ecologista alla Camera del popolo (Consiglio nazionale) Balthasar Glättli ha twittato il suo ultimo intervento parlamentare, in cui chiede se il governo sia disposto ad accogliere in tempi brevi “un grande contingente di rifugiati” da Moria.

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La questione dei rifugiati è tra i temi affrontati dal parlamento durante l’attuale sessione. Una mozioneCollegamento esterno chiede di accogliere dei rifugiati provenienti dalla Grecia e invita il Consiglio federale a lavorare a livello europeo per riformare l’accordo di Dublino, un cantiere aperto da anni, per il quale non sembrano esserci prospettive di un rapido cambiamento.

Il Consiglio nazionale ha adottato la mozione a larga maggioranza durante la sessione estiva. Ora la proposta passa al Consiglio degli Stati (Camera dei Cantoni). Non ci si devono aspettare sorprese: il governo ne ha raccomandato l’accettazione poiché la Svizzera si sta già impegnando in questa direzione.

Negli ultimi mesi, sono stati accolti decine di bambini e giovani che sono rimasti bloccati in Grecia e che hanno parenti in Svizzera. La Commissione ha preso posizione anche su questi minori non accompagnati: “La Svizzera dovrebbe intensificare gli sforzi per accogliere un contingente più grande”.

Anche gli aiuti d’emergenza europei sono rivolti principalmente a loro: il 9 settembre, Ylva Johansson, Commissaria europea per gli affari interni, ha annunciato via Twitter che la Commissione finanzierà l’immediata evacuazione e l’alloggio sulla terraferma dei restanti 400 minori non accompagnati.

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Traduzione dal tedesco: Luigi Jorio

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