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“È di fronte ai pericoli naturali che gli svizzeri sono uniti”

Una rappresentazione della frana di Goldau del 2 settembre 1806, che ha provocato la morte di 457 persone ed è rimasta come una delle più gravi catastrofi naturali della storia svizzera. Keystone

Professore presso l'Università di Losanna, Peter Utz analizza in un saggio affascinante, " Kultivierung der Katastrophe”, le angosce che alimentano l’immaginario dei grandi scrittori svizzeri. Secondo lui, la paura del peggio è una caratteristica tipicamente elvetica. 

Vista dall’estero, l’Elvezia è tranquilla. Uno spagnolo o un inglese stenterebbe di certo a credere che gli svizzeri sono assillati dalla paura di cataclismi. Eppure l’inquietudine costituisce uno dei tratti dell’identità di questo paese, palpabile attraverso i testi dei grandi scrittori elvetici. Lo documenta ampiamente il saggio la “Kultivierung der Katastrophe” (Coltura della catastrofe), in cui Peter Utz illustra come le angosce si sono trasformate spesso in un fermento della creatività letteraria. Intervista. 

“La montagna ha un posto centrale in questo paese. Non rappresenta solo un’attrazione turistica, ma anche una minaccia”. Peter Utz

swissinfo.ch: Incendi, valanghe, frane e alluvioni riempiono, secondo lei, la letteratura elvetica. Da dove viene questa grande paura di tragedie da parte degli svizzeri?

Peter Utz: Il fascino per le catastrofi proviene dall’identità alpestre che la Svizzera ha costruito per secoli. La montagna ha un posto centrale in questo paese. Non rappresenta solo un’attrazione turistica, ma anche una minaccia. 

La Svizzera multilingue aveva bisogno di fondamenta sulle quali consolidare la sua pluralità culturale. L’idillio alpestre ne fa parte, ma anche la catastrofe, ossia il suo contrario. La catastrofe segna un destino comune e una volontà comune, espressa in termini di assistenza reciproca tra le diverse popolazioni elvetiche. In difetto di un linguaggio comune, è di fronte ai pericoli naturali che gli svizzeri sono uniti. 

swissinfo.ch: Ma qual è l’evento scatenante della cultura del cataclisma? 

P.U: La frana di Goldau (Canton Svitto) nel 1806. A partire da tale momento, questa cultura viene istituzionalizzata. Si era infatti sollecitato in tutto il paese il sostegno e la solidarietà degli abitanti. Vari decenni dopo, la letteratura rispecchierà i pericoli delle Alpi con il romanzo, oggi emblematico, “Derborence” di Charles-Ferdinand Ramuz, pubblicato nel 1934. Lo scrittore ha iscritto nella memoria collettiva svizzera la tragedia dimenticata di una montagna crollata nel 1714 in Vallese. 

Peter Utz, professore di letteratura tedesca all’Università di Losanna. zvg

swissinfo.ch: Ai nostri tempi, cosa giustifica ancora questa inquietudine da parte di alcuni autori, come il 66enne Thomas Hürlimann, che lei cita nel suo libro? 

P.U: Questa inquietudine non ha più lasciato la nostra letteratura, fa ormai parte del nostro bagaglio identitario. Ma si può dire che il suo centro di gravità si è spostato. Nella sua opera teatrale “Großvater und Halbbruder” (Nonno e fratellastro) Hürlimann ne parla in modo critico. In un primo tempo stigmatizza la solidarietà degli svizzeri, considerandola fittizia, dinnanzi alle catastrofi. Già nel 19esimo secolo Jeremias Gotthelf aveva denunciato la solidarietà imposta e fonte di profitti. 

Poi, in un secondo tempo, Hürlimann, denuncia il ruolo di spettatore che la Svizzera si era attribuita durante la Seconda guerra mondiale, in cui aveva osservato da lontano i conflitti sopportati dai suoi vicini. 

swissinfo.ch: La Svizzera, come un’isola di pace nel cuore di un’Europa tormentata … 

P.U: Sì, l’idea è tuttora presente. Il ripiegamento su se stessa della Svizzera, fonte di critiche, alimenta, come sappiamo, il dibattito sull’identità elvetica. Siamo l’arca di Noè che sopravvive al diluvio… alla catastrofe per eccellenza. Una vecchia immagine, utilizzata già nel 18° secolo da Johann Jakob Bodmer nel suo epico “Noè”, ed è ora strumentalizzata dai nazionalisti. 

“Vi sono altri paesi che hanno costruito un’identità nazionale attorno alla catastrofe. Pensiamo ad esempio ai Paesi Bassi e alla loro lotta contro il mare o al Giappone e alla sua lotta contro i terremoti”. Peter Utz

swissinfo.ch: Lei scrive: “La letteratura continua a prendere in parola la forza esplosiva della catastrofe”. Cosa intende dire? 

P.U: Voglio dire che la catastrofe rimane un catalizzatore del pensiero e dell’attività letteraria svizzera. Friedrich Dürrenmatt, per esempio, si è dilettato a immaginare disastri che colpiscono non solo la Svizzera, ma in tutto il mondo. I suoi cataclismi sono cosmici. Li usa per spingere fino in fondo la logica dell’estremo. 

swissinfo.ch: Le catastrofi possono essere considerate come l’espressione di una punizione divina? 

P.U: Non è raro che, nella loro rappresentazione delle catastrofi, le letterature svizzere dei tempi moderni riflettono ancora la paura della punizione divina, pur rivelando le tensioni all’interno di una società. Esempio: “Paura in montagna” di Ramuz. Sullo sfondo un alpeggio, dove il pericolo ha qualcosa di inspiegabile che gli conferisce un carattere mistico. 

Dürrenmatt, per contro, non crede in un Dio che punisce, che minaccia la Svizzera per una ragione o l’altra. I cataclismi sono per lui l’effetto del caso: eventi puramente fisici. 

swissinfo.ch: Chi sono i campioni del catastrofismo, gli svizzeri tedeschi, i romandi o i ticinesi? 

P.U: Non vedo differenze qualitative o quantitative. Per me, il pericolo costituisce un nucleo comune alle nostre diverse letterature. Detto questo, non bisogna credere che siamo i soli a iscrivere la catastrofe nella propria cultura. Vi sono altri paesi che hanno costruito un’identità nazionale attorno alla catastrofe. Pensiamo ad esempio ai Paesi Bassi e alla loro lotta contro il mare o al Giappone e alla sua lotta contro i terremoti. 

swissinfo.ch: Chi è lo scrittore svizzero più “catastrofista”, secondo lei? 

P.U: Direi, a tutt’oggi, Ramuz e Dürrenmatt. Nutro un grande rispetto anche per Max Frisch, che ha dato al cataclisma un’immagine più sottile e meno spettacolare di quella proposta dai due autori citati. Nel suo libro “L’uomo nell’Olocene”, la catastrofe è silenziosa. Ha luogo in una valle discosta del Ticino, ma anche nel cervello del protagonista. Mostra così che la catastrofe è spesso una creazione dei nostri pensieri.

Peter Utz 

Nato nel 1954 a Bienne, il professore e ricercatore Peter Utz ha seguito i suoi studi a Berna e Monaco di Baviera. 

Dal 1987 insegna letteratura tedesca all’Università di Losanna. 

Come ricercatore, ha lavorato a Berlino, Friburgo e Vienna. Le sue ricerche e le sue pubblicazioni si concentrano sulla letteratura tedesca moderna, la letteratura svizzera e la traduzione letteraria. 

Specialista di Robert Walser, ha pubblicato, tra l’altro, “Robert Walser: Tanz auf den Rändern”. Il suo ultimo libro è “Kultivierung der Katastrophe”.


Traduzione di Armando Mombelli

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