Lo Swiss Center Samara, inaugurato ufficialmente il 14 settembre nell'omonima città russa, intende favorire l’accesso al mercato russo per le piccole e medie imprese svizzere, aiutandole a stabilirsi nella regione, tessere collaborazioni e sviluppare nuove attività.
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Jean-Didier Revoin, Mosca, di ritorno da Samara
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Un Swiss Center pour faciliter l’accès des PME au marché russe
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Sulla base della legge che instaura l’aiuto all’internazionalizzazione delle imprese, approvata nel 2015 dal parlamento neocastellano, il cantone ha lanciato una collaborazione con la regione di Samara. «A partire dall’esperienza degli Swiss Center in Cina e di analisi incrociate, siamo giunti alla conclusione che i rischi relativi alla creazione di questo centro sono ridotti, i costi sostenibili e le opportunità di nuovi affari superano il contesto cantonale», spiega Alain Barbal, direttore dell’Ufficio della promozione economica del canton Neuchâtel.
Un polo industriale sconosciuto
Meno conosciute rispetto a Mosca o a San Pietroburgo, e dunque economicamente più accessibili, Samara e la sua regione rappresentano un polo industriale importante per la Russia. La città sul Volga, il più grande fiume d’Europa, è sempre stata aperta agli scambi, ma è durante la Seconda guerra mondiale che il settore industriale ha cominciato a decollare. È infatti là che Stalin fece trasferire diverse fabbriche strategiche per evitare che finissero nelle mani della Germania nazista.
Se a Samara i turisti possono dilettarsi con una visita al bunker del “piccolo padre dei popoli”, situato 37 metri sotto terra, i dirigenti d’impresa trovano nella regione un «tessuto economico, accademico e scientifico complementare a quello della Svizzera occidentale», prosegue Alain Barbal. Ciò non impedisce loro di passeggiare lungo il Volga e di approfittare della tranquillità di una città di provincia e della freschezza della sera, dopo una lunga giornata di lavoro.
Opportunità da cogliere
L’economia della regione di Samara, che conta 3,2 milioni di abitanti, si articola attorno a diversi poli. In prima fila c’è l’industria automobilistica, con la fabbrica di Avtovaz a Togliatti (90 km da Samara), proprietà del gruppo Renault-Nissan, che produce le famose Lada. Ma anche il settore aerospaziale, con Progress, il principale centro russo di produzione di vettori e veicoli spaziali. L’economia può inoltre contare sull’industria petrochimica, le tecnologie dell’informazione in campo medico, l’agroalimentare e le nanotecnologie.
Da qualche anno, gruppi come Bosch, Schneider Electric, Dupont, Varta, Danone, Nestlé, Pepsi o Coca-Cola si sono installati nella regione, approfittando della politica di sostituzione delle importazioni promossa dalle autorità russe per stimolare l’economia indigena e consapevoli del potenziale che riveste questa zona sul lungo termine.
Per Alain Barbal, anche le PMI svizzere potrebbero svolgere un ruolo importante in questo sviluppo. «I russi sono molto bravi nel campo della ricerca scientifica. Ma hanno difficoltà nel trasferimento delle tecnologie, un settore nel quale la Svizzera e le sue imprese hanno conoscenze riconosciute a livello mondiale».
Dare fiducia
La lingua, le procedure amministrative, l’immagine stessa della Russia dissuadono però ancora troppo sovente le PMI dall’investire in questo mercato. Anche perché un’impresa piccola può raramente offrirsi il lusso di prendere una decisione strategica sbagliata e rischiare così il fallimento. «Lo Swiss Center Samara si è posto come obiettivo di permettere alle PMI di superare questa barriera psicologica, fornendo loro un’infrastruttura e una squadra che le accompagni in tutti i loro passi», conclude Alain Barbal.
«La nostra ambizione è quella di aiutare le PMI a realizzare i loro progetti nel campo dell’import-export, della cooperazione scientifica, della ricerca e dello sviluppo o perfino nella delocalizzazione di una parte della produzione nella regione del Volga», conferma Nicolas Waefler, direttore dello Swiss Center Samara, che ha lavorato per due anni all’apertura del centro. Due anni trascorsi a farsi conoscere dalle autorità locali e a sviluppare una rete di collaborazioni attraverso la quale accompagnare le PMI svizzere in Russia.
Un lavoro che sembra aver portato i suoi frutti. «Tra settembre e dicembre 2016, abbiamo trovato un distributore per i nostri prodotti in Russia attraverso lo Swiss Center Samara, mentre prima non eravamo mai riusciti ad entrare in questo mercato», racconta Max Boysset, direttore di SAV-IOL, azienda con sede a Neuchâtel che sviluppa lenti per il trattamento della cataratta. Un prodotto che dovrebbe essere commercializzato in tutta la Russia a partire dal prossimo anno.
Traduzione dal francese, Stefania Summermatter
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Il mondo una volta si stupì di come la Svizzera costruì lo “scivolo di Alpnacht” per coltivare pini sul massiccio del Pilatus e trasportarli verso i mercati europei. Due secoli dopo, ad attirare l’attenzione globale è invece la lezione imparata dagli svizzeri per aver utilizzato troppo legname.
Nel 1812 gli ingegneri finirono di trasformare 25'000 alberi di pino in una sorta di scivolo di legno che dalla cima del Pilatus scendeva ad Alpnach. Tronchi lunghi fino a 30 metri venivano fatti scivolare a valle fino al villaggio sulle rive del Lago dei Quattro Cantoni, da dove venivano poi trasportati via fiume fino al mare.
Ad Alpnach, il sindaco Heinz Krummenacher racconta che gli anziani del posto continuano a sostenere che «Rotterdam è stata costruita con il loro legname». All’interno della chiesa cattolica romana del villaggio, centinaia di travi di pino ammuffite e scalini di legno s’intrecciano verso l’alto fino a formare un campanile di 91 metri.
La torre si affaccia sulla zona palustre più grande della Svizzera. La sua superficie (130 km2) è poco più grande di quella del lago che bagna Lucerna. La torbiera alta del Glaubenberg, tra la regione dell’Entlebuch e il lago di Sarnen, è stata fortemente danneggiata dalle pratiche del passato. Oggi è però gestita secondo leggi sulla protezione del territorio molto severe.
«È il paesaggio più protetto in Svizzera», afferma Rolf Manser, responsabile della divisione “Foreste” all’Ufficio federale dell’ambiente, facendo riferimento all’accettazione dell’iniziativa Rothenthurm nel 1987, che sancì nella Costituzione la protezione delle paludi e delle zone palustri di particolare bellezza.
«Con lo statuto di protezione, credo che qui in Svizzera abbiamo risolto i nostri problemi. Penso che sia un buon esempio di ciò che potrebbe essere fatto anche altrove in Europa», ritiene Rolf Manser, che nel mese di novembre ha accompagnato i colleghi europei per una visita di questo particolare ecosistema.
Distribuire e gestire correttamente le risorse
Centinaia di responsabili della gestione delle foreste provenienti da tutto il mondo si incontrano una volta ogni due anni nel quadro di un sessione congiunta di due comitati delle Nazioni Unite. L’ultimo incontro è stato organizzato nella località alpina di Engelberg. Nel comune del canton Obvaldo sono state condivise idee e ricerche e sono state organizzate visite delle foreste e delle zone palustri circostanti.
Esponenti di 39 paesi si sono accordati sull’importanza di integrare i cambiamenti climatici nei loro programmi e strategie nazionali sulle foreste. Hanno inoltre riconosciuto il ruolo essenziale che le foreste e i “servizi forestali” svolgeranno nei prossimi 15 anni nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU.
L’80% delle foreste europee si trova in Russia e la taiga cattura fino a 600 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Molte delle grandi sfide con cui sono confrontate le foreste russe (tra cui il riscaldamento globale e il commercio illegale) sono diffuse in tutta Europa, rileva Alexander Panfilov, vice capo dell’Agenzia federale russa per le foreste.
«Il problema non è la dimensione del paese. Una gestione sostenibile delle foreste deve riuscire a distribuire e a gestire le risorse nel modo giusto», dice a swissinfo.ch Alexander Panfilov, che paragona l’industria forestale in Svizzera con quella in Russia, dove il 40% delle foreste sono di tipo alpino. «Riteniamo che il ruolo delle foreste nell’equilibrio climatico sia sottovalutato. Lo abbiamo sottolineato durante la sessione congiunta di Engelberg».
I responsabili forestali europei «hanno capito che la collaborazione è importante» e hanno discusso su come migliorarla, indica Rob Busink, consigliere politico presso il Ministero dell’economia dei Paesi Bassi. «Non c’è una legge unica per le foreste europee. Ogni paese [dell’Unione europea] ha le sue norme», osserva. «In ogni nazione abbiamo una definizione diversa di foresta».
Utilizzare lo stesso approccio ovunque è impossibile, anche perché le foreste europee presentano grandi differenze a livello di caratteristiche, dimensioni e densità. I cambiamenti climatici e l’istituzione di “un’economia verde” nell’UE rappresentano le sfide principali, afferma Rob Busink.
«Dobbiamo utilizzare più legname per rimpiazzare i materiali non sostenibili quali cemento e acciaio. Ciò significa però che il maggior bisogno di legname metterà ancor più sotto pressione le foreste europee», avverte. «Sapendo come lavorano, penso che altri paesi possano imparare dalla Svizzera».
Intervenire sulla natura
Nella zona palustre del Glaubenberg, la legge elvetica vieta la costruzione di nuove case e strade. Sono invece permesse le attività tradizionali quali il taglio degli alberi e i pascoli.
I responsabili forestali sono dell’idea che, invece di lasciare che la natura segua il suo corso, si debba tagliare un numero sufficiente di pini e di altre conifere affinché il sottobosco - che favorisce incendi e malattie - non si sviluppi in maniera eccessiva. La zona, tutt’altro che immacolata, è un miscuglio di vecchie strade, abitazioni, sentieri, recinzioni e tronchi d’albero.
L’erosione, le malattie, le specie invasive e lo sfruttamento eccessivo affliggono le paludi di pianura e di alta quota, le foreste e i pascoli alpini. Circa tre anni fa, è stato individuato un nuovo fungo che colpisce gli aghi dei pini. Il parassita pone le autorità federali e del canton Obvaldo di fronte a un grande dilemma siccome il suo trattamento potrebbe comportare l’eliminazione degli alberi malati, una soluzione che non entusiasma nessuno.
Biodiversità
La Svizzera sta ora monitorando la biodiversità, ciò che significa tentare di considerare le esigenze di tutte le forme di vita che vivono in una determinata area. Questo approccio sta suscitando sempre più interesse in Europa e altrove ed è direttamente collegato alle lezioni imparate in passato.
Dopo importanti perdite a livello di habitat forestale e di fauna, nella seconda metà del XIX secolo la Svizzera ha adottato delle leggi nazionali per proteggere le foreste, imporre delle zone protette, ridurre i periodi di caccia e nominare dei guardacaccia. Questo ha consentito alle foreste e alla fauna di ristabilirsi, anche se ci sono state più perdite per l’agricoltura e la gestione delle risorse idriche.
Con una legge del 1986 c’è stato un cambio di paradigma fondamentale: si è passati dalla protezione di specie e di animali “benefici” alla conservazione delle specie e degli habitat. Nel 2012, il governo ha inoltre approvato una nuova strategia sulla biodiversità e sui “servizi dell’ecosistema”, ovvero quei servizi che contribuiscono alla nostra qualità di vita.
«In Svizzera non siamo sempre stati consapevoli di questo. I nostri antenati utilizzavano troppo legname e le numerose capre appartenenti alla povera gente hanno mangiato troppi giovani alberelli», ha detto la ministra dell’ambiente Doris Leuthard alla conferenza sulla foreste.
«Il legname delle foreste svizzere era trasportato a Rotterdam per la costruzione della città e di imbarcazioni», ha rammentato. «Questo ha contribuito in modo significativo ai gravi problemi che abbiamo avuto 150 anni fa: l’acqua e i detriti dalle valli alpine come qui a Engelberg causarono inondazioni che raggiunsero le pianure e le città».
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