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“Con gli edifici di culto ho individuato le radici profonde e i limiti dell’architettura”

Mario Botta
Nato nel 1943 a Mendrisio, in Ticino, Mario Botta è tra gli architetti svizzeri più noti a livello internazionale. Ti-Press

Il ticinese Mario BottaCollegamento esterno è uno degli architetti più famosi della Svizzera. Ha costruito edifici in tutto il mondo, dalle ville alle banche, dai musei ai casinò. Sono però gli edifici di culto a stargli particolarmente a cuore, come spiega in questa intervista concessa a swissinfo.ch in occasione del suo 75° compleanno.


Il 1° aprile compie 75 anni. È un evento importante per lei?

Forse lo è per i miei amici. Per me è più che altro un giorno normale. È importante forse nel senso di prendere coscienza di invecchiare, anche se si pensa sempre di essere giovane. Ho lavorato con furore ed è stata la mia fortuna. Non ho visto passare il tempo. Il tempo è volato.

Il fatto di invecchiare la preoccupa?

Non sono contento di invecchiare. Vedo che il tempo a mia disposizione si restringe sempre più. In questo senso non c’è tanto da festeggiare. Per un architetto c’è un’aggravante perché i progetti architettonici chiedono tanto tempo e questo mi disturba perché vorrei sempre vedere i miei progetti realizzati. Ce ne sono ancora tanti in corso. Vede questi piani dietro di me? Sono i piani delle nuove terme di Baden.

Lo “Spazio Sacro” di Botta

La mostraCollegamento esterno si svolge nelle sale della Pinacoteca Rusca di Locarno e nel suggestivo padiglione costruito per l’occasione nel cortile esterno (25 marzo-12 agosto 2018). Per la prima volta in assoluto vengono presentate 22 opere architettoniche, tra cui chiese, moschee e sinagoghe, realizzate da Mario Botta in vari Paesi: Svizzera, Italia, Francia, Israele, Ucraina, Corea del Sud e Cina.

L’età ufficiale di pensionamento in Svizzera è di 65 anni. Tanti vanno anticipatamente in pensione, ma un architetto sembra essere al di fuori di questi schemi…

Forse la mia teoria è un po’ azzardata, ma mi sembra che gli architetti vivano a lungo – penso a Wright, Le Corbusier, Mies van der Rohe – perché c’è questa tensione di vedere il lavoro. I filosofi bruciano le idee più in fretta. Il grande maestro Louis Kahn diceva che l’architettura non esiste, ciò che esiste è l’opera dell’architetto. Dunque non solo l’idea, ma anche il processo. L’architettura è la storia del proprio tempo.

In questi giorni, in coincidenza con il suo compleanno, è stata aperta a Locarno una mostra sulla sua architettura del sacroCollegamento esterno: chiese, cappelle, moschee, sinagoghe. Perché ha deciso di porre l’accento sullo spazio sacro?

La pinacoteca Rusca mi ha contattato perché desiderava aprire il proprio spazio espositivo all’architettura. La mia prima idea era di realizzare una mostra sulla mia non-architettura, ovvero su elementi di design quali sedie oppure tavoli, ma anche su allestimenti per mostre e scenografie d’opera. Quando ho presentato il progetto mi sono reso conto che questo tema per me non era essenziale. Ho pensato quindi di proporre un soggetto che mi stava veramente a cuore, il tema degli spazi dei luoghi di culto e della memoria. Perché per me c’era una domanda essenziale: come fare una chiesa dopo Picasso?


Dunque per lei le architetture di luoghi sacri hanno una valenza speciale?

Attraverso gli edifici di culto ho l’impressione di aver individuato le radici profonde, ma anche i limiti dell’architettura. I concetti di gravità, di soglia e di luce come generatrice dello spazio, il gioco delle proporzioni e l’andamento ritmico degli elementi costruttivi fanno riscoprire all’architetto le ragioni primarie, di matrice in qualche modo sacra, dell’architettura stessa. Gli edifici di culto sono pure simboli contro la banalizzazione che oggi è diffusa nell’architettura.

“Ho molto rispetto per i luoghi di culto che per me sono pure luoghi di silenzi”

Le chiese e in generale i luoghi di culto hanno perso molto significato in una società sempre più secolarizzata.

Si è vero, le chiese hanno perso in parte la loro funzione, ma continuano ad essere simboli della nostra memoria collettiva. La chiesa che vediamo in un villaggio, anche se oggi è poco frequentata, era un tempo un luogo di grande importanza dove la gente si riuniva, era uno degli elementi costitutivi principali di una città. Il palazzo comunale, il teatro o il museo sono edifici che appartengono alla nostra storia, in modo particolare in Europa. Per questo siamo interessati alle città storiche e le visitiamo, perché sono parte del nostro pensiero collettivo e della nostra storia.

E questo vale pure per le chiese?

Vedo un bisogno di spiritualità insito nell’uomo. Ogni edificio di culto, al di là delle confessioni religiose al quale è destinato – ebraismo, cristianesimo, islamismo – si pone come paradigma di un modo di interpretare tale bisogno, per dare forma ai valori collettivi del nostro vivere, modellando luce e spazio così da trarne un significato simbolico riconosciuto e condiviso.

Lei è più religioso oggi di un tempo?

No. Questa domanda per me non è rilevante. Provengo da una cultura cristiano-occidentale. Nel passato non sapevo neppure esattamente cosa fossero l’ebraismo e l’islamismo. Tuttavia ho costruito sinagoghe e moschee. Ciò è possibile quando si ha un approccio architettonico, si tratta di porsi la domanda di come ordinare uno spazio.

Ho costruito d’altronde pure delle banche senza essere un banchiere. Sembrerà buffo, ma posso affermare che le chiese più brutte che conosco sono state costruite da architetti molto religiosi. Ho molto rispetto per i luoghi di culto che per me sono pure luoghi di silenzio.

Nella sua opera architettonica tornano certe figure geometriche, il cerchio, il cilindro, la forma della lente. Come mai?

La geometria mi aiuta a controllare meglio lo spazio che viene generato dalla luce. Per dare forza alla luce ci sono due elementi: la geometria e il materiale. La geometria serve a dare chiarezza, equilibrio, facilità di lettura all’ opera. Il secondo elemento è il materiale e io prediligo i mattoni e la pietra che vengono dalla terra.

Durante la presentazione della mostra di Locarno ha detto che si metteva a nudo. Cosa voleva dire?

La mostra è una sorta di esame. Dal 1986 ritorna in forme diverse. Le case famigliari all’inizio, le banche dopo gli anni ’70 ed ora le biblioteche e gli spazi espositivi che ho costruito in tutto il mondo. Ho fatto delle chiese perché mi è stato chiesto.

“La geometria mi aiuta a controllare meglio lo spazio che viene generato dalla luce”

Dopo una carriera professionale durata 50 anni c’è una sua opera che le piace particolarmente?

Dovrei rispondere: il prossimo progetto. Perché c’è sempre l’attesa. Mi piacerebbe fare un altro luogo di culto dove interpretare forse in un modo diverso l’idea del raccoglimento, del sacrificio, del silenzio.

Ci sono opere che non le piacciono più?

Ogni opera ha la sua ragione d’essere. È come un bambino. Forse non è così brillante, ma gli vuoi bene comunque. Tutti i progetti sono figli dei progetti precedenti. Forse potrei dire che per quanto concerne i luoghi di culto c’è un primo progetto che mi sta particolarmente a cuore. È la chiesa di MognoCollegamento esterno in alta Valle Maggia che ho ricostruito ex novo dopo una valanga.

Lei è nato a Mendrisio, dove da qualche anno vive nuovamente. In questo piccolo comune ha il suo studio, eppure lavora in tutto il mondo. Quanto è importante avere radici qui?

Per me è una ricchezza e un privilegio. Mi ritengo fortunato di poter vivere dove sono nato. Per me è un luogo di memoria. Mi piace non vedere le montagne a Sud. Qui sento il Mediterraneo, anche se non lo vedo. Il Mediterraneo, ancora oggi, è per me il centro della Europa culturale. Ulisse e l’Odissea fanno parte del mio immaginario.

È chiaro che oggi siamo cittadini del mondo. I mei maestri, Rino Tami oppure Tita Carloni, lavoravano solo in Ticino. Io lavoro in tutto il mondo. Ho appena avuto una richiesta da Shanghai. Se lavorassi solo in Ticino non potrei avere il mio studio a Mendrisio e impiegare una ventina di persone. Sono anche orgoglioso di vivere nelle vicinanze di Milano. Dico sempre che vivo alla periferia di Milano.

Mario Botta

Nato il 1° aprile 1943 a Mendrisio, in Ticino, dopo un periodo di apprendistato a Lugano frequenta il liceo artistico a Milano. Prosegue i suoi studi all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove si laurea nel 1969. Durante il soggiorno a Venezia ha occasione di incontrare e lavorare per Le Corbusier e Louis I. Kahn.

Nel 1970 apre il proprio studio a Lugano. Nel 1976 è chiamato come professore invitato (visiting professor) presso il Politecnico federale di Losanna.

Partendo dalle prime realizzazioni di case unifamiliari in Ticino, il suo lavoro ha abbracciato molte tipologie edilizie: scuole, banche, edifici amministrativi, biblioteche, musei ed edifici religiosi. Tra le opere più importanti: il San Francisco Museum of Modern Art, la cattedrale della resurrezione a Évry (Francia) e il Museum Jean Tinguely a Basilea.

Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali, tra cui il Chicago Architecture Award nel 1986.

Mario BottaCollegamento esterno vive e lavora a Mendrisio. È sposato e padre di tre figli adulti.

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