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«L’Italia ha ancora un grande potenziale»

Le aziende svizzere sono saldamente impiantate in Italia, come la Lindt & Sprüngli, che produce i suoi famosi cioccolatini in provincia di Varese Keystone

Recessione, delocalizzazioni, scarsa flessibilità: l’economia italiana è in crisi. Il paese ha però ancora molto da offrire e rappresenta un’opportunità anche per le aziende svizzere, sottolinea Giorgio Berner, presidente della Camera di commercio Svizzera in Italia.

Il modello di produzione ‘low cost’, sul quale l’Italia si è basata per consolidare la straordinaria crescita del dopoguerra, è giunto al capolinea. Il paese deve reinventare la sua economia appoggiandosi sulla creazione di valore aggiunto, sulla ricerca e sullo sviluppo. In tal senso, le aziende svizzere – e in particolare le piccole e medie imprese – hanno le loro carte da giocare, osserva Giorgio Berner.

swissinfo.ch: Quali opportunità può ancora offrire l’Italia alle aziende svizzere?

Giorgio Berner: Che l’Italia stia attraversando un momento difficile è ovvio. Questo paese ha però ancora un potenziale, anche se da dieci anni non cresce più. È un mercato importante, con oltre 60 milioni di abitanti. È pur sempre il secondo paese esportatore d’Europa ed è un ponte verso il Mediterraneo. Anche dal punto di vista delle capacità è ad alti livelli. Gli italiani, quando bisogna trovare soluzioni per risolvere dei problemi, hanno un’adattabilità straordinaria.

Con una parte del 5,5%, la Svizzera era nel 2011 il quarto mercato d’esportazione per l’economia italiana, dopo Germania (13,1%), Francia (11,6%) e Stati Uniti (6,1%). La Svizzera risultava all’ottavo rango dei fornitori (2,8%), stando ai dati del Segretariato di Stato dell’economia.

Dal 2004, l’Italia è il secondo partner commerciale della Svizzera, dopo la Germania e davanti agli Stati Uniti. Nel 2012, il 10,2% delle importazioni provenivano dall’Italia. Il 7,2% dell’export elvetico era invece diretto in Italia.

Le esportazioni svizzere sono costituite principalmente da prodotti chimici e farmaceutici, energia elettrica e combustibili e macchine. Dall’Italia, la Svizzera importa soprattutto prodotti farmaceutici, macchine, metalli e pietre preziose e prodotti agricoli.

Alla fine del 2011 gli investimenti diretti svizzeri ammontavano a circa 25 miliardi di franchi, in diminuzione del 3% rispetto all’anno precedente, e rappresentavano un effettivo di 78’000 posti di lavoro (-2,5%).

Gli investimenti diretti italiani rappresentavano, sempre alla fine del 2011, quattro miliardi di franchi (13’000 posti di lavoro), in calo del 18% rispetto all’anno prima.

swissinfo.ch: E le aziende svizzere cosa devono poter proporre?

G.B.: Valore aggiunto, qualità, ricerca, differenziazione, tecnologia… Nel dopoguerra, l’industria italiana è risorta basandosi su un concetto di produzione ‘low cost’. Non potendo più fare svalutazione competitiva, questo modello va scomparendo. L’industria italiana deve quindi concentrarsi sulla creazione di valore aggiunto, attraverso la ricerca e lo sviluppo.

È possibile giocare su alleanze tra piccole e medie imprese svizzere e italiane per sviluppare la crescita dimensionale, il ‘know how’ tecnico, l’integrazione e andare verso un’internazionalizzazione delle attività.

swissinfo.ch: L’economia svizzera è comunque già ben presente in Italia…

G.B.: La Svizzera è tra i primi cinque investitori industriali esteri in Italia, con circa 16 miliardi di euro e 80’000 persone occupate in aziende elvetiche.

Ad esempio, tutto il settore europeo oncologico della Novartis è centralizzato ad Origgio, in provincia di Varese. A Siena vi è tutta la produzione di vaccini. L’oncologia è molto importante anche per la Roche.

Nel settore alimentare, per esempio, la produzione mondiale dei cioccolatini Lindor della Lindt & Sprüngli avviene in provincia di Varese.

swissinfo.ch

swissinfo.ch: In seguito alla crisi economica e politica, avete constatato un calo d’interesse per il mercato italiano da parte delle aziende svizzere?

G.B.: Abbiamo due grandi filoni d’attività. Uno riguarda le multinazionali. L’attrattiva dell’Italia per gli investimenti esteri è effettivamente in questione. Quando queste grandi società, che hanno già insediamenti in Italia, devono effettuare investimenti non proprio funzionali per le loro attività esistenti, riflettono due volte. L’Italia non è più considerata un’opportunità, ma un’opzione.

Vi sono poi le PMI, che come ho detto prima potrebbero avere sbocchi interessanti. Come Camera di commercio svizzera in Italia abbiamo però una certa difficoltà ad entrare in contatto con queste ditte. Per questo, dal primo numero di quest’anno pubblichiamo anche una versione tedesca della nostra rivista La Svizzera.

swissinfo.ch: La vertenza fiscale e la presenza della Svizzera nelle liste nere italiane in che modo incidono sulle relazioni economiche bilaterali?

G.B.: Un’azienda italiana che collabora con una società elvetica deve certificare che la controparte in Svizzera non usufruisce di regimi fiscali agevolati. Questo comporta la presentazione di specifiche documentazioni, che peraltro non sono sempre ben definite. Può succedere che le certificazioni fornite da questo o quel Cantone non corrispondano nella forma alle richieste dalle autorità italiane. Ciò crea numerose difficoltà e talvolta i clienti si rivolgono ad altre società non svizzere, che evidentemente non comportano difficoltà di tipo amministrativo. Per evitare che le relazioni economiche ne patiscano troppo, la vertenza fiscale andrebbe senza dubbio risolta il prima possibile.

swissinfo.ch: Quali sono altri punti dolenti?

G.B.: Da un punto di vista economico vi sono per esempio problemi per quanto concerne lo stato delle infrastrutture e la flessibilità del personale.

Da un punto di vista politico, una delle difficoltà principali è che l’Italia non riesce ad esprimersi in un’azione comune, data l’evidente conflittualità di fondo. Inoltre, la burocrazia è comunque in grado di compromettere iniziative politiche magari buone.

Sarebbe necessaria una semplificazione, ma  appare difficile, considerando il ruolo di conservazione svolto dalla normativa. Avremmo bisogno di maggiore agilità, snellezza e, soprattutto, certezza legislativa. Dubito però che si riuscirà a disfarsi di questo retaggio in tempi brevi. Vi è poi il problema della trasparenza, delle lobby, di certi ingranaggi che rendono difficile per un’azienda estera entrare nel mercato italiano senza il relativo network di supporto.

swissinfo.ch: Siete già stati confrontati con aziende svizzere che gettano la spugna a causa di queste difficoltà?

G.B.: Non direttamente. Vi sono però molti gruppi internazionali, come Shell o Ikea, che hanno abbandonato i loro progetti.

swissinfo.ch: Inversamente la Svizzera – il Ticino in particolare per ragioni geografiche – attrae molte aziende italiane. Cosa vengono a cercare le ditte italiane?

G.B.: In effetti riceviamo molte richieste di informazioni che cerchiamo di evadere o nella maggior parte dei casi provvediamo ad inoltrare ai nostri contatti cantonali competenti.

In Svizzera cercano soprattutto flessibilità, efficienza e il fatto di far parte di un mercato come quello svizzero dove il valore aggiunto e la ricerca e lo sviluppo sono remunerati. E magari anche vantaggi fiscali. Questi vengono però in secondo piano, ne sono assolutamente convinto.

swissinfo.ch: Sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra regioni di frontiera come il Ticino e la Lombardia?

G.B.: Penso che bisognerebbe iniziare a riflettere in un’ottica di regioni supra-nazionali. Prendiamo l’esempio della cosiddetta ‘fashion valley’ nel Mendrisiotto, dove si sono stabilite numerose imprese d’abbigliamento italiane. Ebbene, questi insediamenti si basano su un approccio divisorio. Un’azienda va oltre confine, perché là è diverso da qua.

Anche se il ‘gap’ in termini di efficienza è elevato, si potrebbe invece operare in un contesto di ottimizzazione delle competenze, cercare di costruire un sistema, abolire gli ostacoli burocratici…

swissinfo.ch: Nel 2015 Milano accoglierà l’esposizione universale. Questo evento potrebbe essere l’occasione per un simile avvicinamento?

G.B.: Sicuramente. Visto anche il tema molto innovativo – Nutrire il pianeta, Energia per la vita – l’Expo potrà servire a mostrare i lati positivi dell’Italia e contribuire a far sì che il paese, come già detto, non sia più considerato solo un’opzione, bensì un’opportunità.

La manifestazione può essere un punto di aggregazione e di stima reciproca. È di questo che abbiamo bisogno ed è anche quanto cerchiamo di fare come Camera di commercio, ad esempio con lo Swiss Corner di Piazza Cavour a Milano.

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