La Cina si apre al Made in Switzerland
L’accordo tra Berna e Pechino intende ridurre gli ostacoli al commercio bilaterale. Risultato: le aziende svizzere potranno esportare in Cina a condizioni privilegiate. Nelle oltre mille pagine del documento si celano però anche aspetti che sollevano perplessità.
L’intesa con la Cina apre nuovi orizzonti per le esportazioni elvetiche. Anche i più impensabili. La Svizzera potrà vendere ai cinesi carne di coccodrillo, scimmie e delfini (vivi) o ancora germogli di bambù e noci di cocco essiccate. Un’aberrazione? Non esattamente.
La spiegazione sta nell’architettura dell’accordo di libero scambio (ALS). Il documento di 1152 pagine firmato il 6 luglio 2013 a Pechino non concerne soltanto l’export effettivo, ma elenca tutte le merci potenzialmente commerciabili. Accanto a prodotti tipicamente svizzeri figurano così anche mercanzie più esotiche. «È un modo nuovo per concepire gli accordi di libero scambio, soprattutto con i paesi asiatici. La sostanza comunque non cambia», indica Christian Etter, delegato del governo svizzero per gli accordi commerciali.
Circa il 95% delle esportazioni svizzere verso la Cina beneficerà di una diminuzione dei dazi doganali, indica economiesuisse, la federazione ombrello delle imprese elvetiche. Dai calcoli risulta che la percentuale di riduzione varia considerevolmente da un settore all’altro.
– 99% per l’industria tessile (che rappresenta l’1,3% delle esportazioni elvetiche verso la Cina).
– 78% per l’industria metalmeccanica ed elettrica (30% dell’export).
– 77% per l’industria chimica e farmaceutica (24% dell’export).
– 64% per gli strumenti di precisione, l’orologeria e la bigiotteria (21% dell’export).
Per una serie di prodotti, tra cui alcuni strumenti di misura, i dazi saranno azzerati subito dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Si tratta però di un’eccezione. Per la maggior parte delle esportazioni svizzere, i dazi saranno eliminati soltanto parzialmente e dopo un periodo transitorio generalmente compreso tra i cinque e i dieci anni.
«La Cina vuole in questo modo proteggere i suoi settori sensibili», afferma Christian Etter. È ad esempio il caso degli orologi. Per i modelli automatici di metallo e quelli al quarzo, che rappresentano il 90% del valore delle esportazioni orologiere, i dazi doganali scenderanno inizialmente del 18%. Ulteriori riduzioni saranno scaglionate su un periodo di dieci anni, rileva la Federazione orologiera svizzera.
In senso inverso, verranno soppressi i dazi per tutti i prodotti cinesi ancora tassati alle frontiere elvetiche, principalmente articoli tessili e scarpe.
Più facile lottare contro le contraffazioni
Nel suo insieme, l’ALS con il principale acquirente di prodotti industriali svizzeri in Asia (e il terzo nel mondo) non può essere che benefico, secondo Christian Etter. La piazza economica svizzera si rafforzerà ulteriormente e le aziende elvetiche disporranno di un vantaggio concorrenziale rispetto a quelle di altri Stati.
Per ora, puntualizza il delegato svizzero, è difficile prevedere l’effetto dell’ALS sugli scambi commerciali tra Svizzera e Cina (18 miliardi nel 2012, in crescita del 20% rispetto al 2011). Secondo uno studio di fattibilità realizzato nel 2010, le esportazioni svizzere verso la Cina (quasi 8 miliardi l’anno scorso) potrebbero aumentare di oltre il 60%.
Al di là delle considerazioni economiche, Christian Etter sottolinea un’altra caratteristica «fondamentale» dell’accordo. Il documento, spiega, non si limita alle barriere tariffali, ma fissa anche un quadro in materia di promozione degli investimenti, di trasparenza negli appalti pubblici e, soprattutto, di proprietà intellettuale. «Si potrà lottare contro le contraffazioni e la pirateria già al momento dell’esportazione delle merci», constata il negoziatore svizzero.
«Per le imprese che producono in Cina, la proprietà intellettuale è meglio protetta», aggiunge Henrique Schneider, a capo del dipartimento della politica economica, ambientale ed energetica dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam). Le autorità cinesi dovranno riconoscere automaticamente i brevetti registrati in Svizzera. Ciò eviterà alle aziende elvetiche di dover intraprendere lunghe e onerose pratiche per la registrazione dei loro prodotti nel paese asiatico.
L’ALS con Pechino sembra dunque comportare molteplici vantaggi, anche a livello pratico e amministrativo. Un’analisi più approfondita evidenzia però che alcune categorie di prodotti, importanti per l’economia e l’industria elvetica, sono escluse dall’accordo.
Philippe Cordonier, Unione svizzera delle arti e mestieri
Speravamo di ottenere maggiori concessioni in questo settore specifico.
Nessuna concessione per l’alta precisione
L’Usam rileva che il 44% del volume delle macchine utensili non beneficeranno di alcuna esonerazione. «Si tratta in particolare di macchine di alta precisione», puntualizza Philippe Cordonier, portavoce dell’Usam.
«Speravamo di ottenere maggiori concessioni in questo settore specifico», aggiunge Philippe Cordonier, che si dice comunque «molto soddisfatto» dell’accordo. «Una clausola consente di negoziare ogni due anni nuovi miglioramenti dell’accesso al mercato».
Anche gli agricoltori non nascondono una certa delusione, come spiega Beat Röösli, responsabile delle relazioni internazionali presso l’Unione svizzera dei contadini. «Le nostre rivendicazioni sono state prese in considerazione: frutta e legumi cinesi potranno ad esempio essere importati esclusivamente al di fuori dei periodi di raccolta svizzeri. Ci aspettavamo però più concessioni per il formaggio svizzero», afferma a swissinfo.ch.
Il prodotto faro dell’esportazione agricola svizzera non beneficerà infatti di grandi agevolazioni. «Le barriere tariffali sul formaggio saranno soltanto dimezzate gradualmente in dieci anni», si rammarica Beat Röösli.
In parlamento, che deve ancora ratificare l’accordo, non saranno comunque le mancate concessioni ad alimentare i dibattiti. A sollevare perplessità non sono le merci, ma il modo in cui vengono prodotte, denuncia il collettivo Piattaforma Cina, che riunisce diverse organizzazioni non governative svizzere (ong).
Diritti umani dimenticati
La critica avanzata dalle ong, tra cui Alliance Sud, fa riferimento all’assenza di disposizioni vincolanti concernenti il rispetto dei diritti umani in Cina. Se l’ALS entrerà in vigore nella sua versione attuale, i diritti fondamentali verranno ulteriormente calpestati, avverte Alliance Sud, che lancia un chiaro messaggio al parlamento.
Altri sviluppi
Quale importanza ai diritti umani?
Il Consiglio nazionale, la camera bassa del parlamento, si chinerà sull’accordo il 9 dicembre 2013. Una chiara maggioranza della commissione competente ha già espresso la sua approvazione. Nella primavera dell’anno prossimo, il dossier passerà poi all’altra camera del legislativo, il Consiglio degli Stati. Se accettato, l’ALS potrebbe entrare in vigore a metà 2014.
L’economia elvetica dipende fortemente dall’accesso ai mercati esteri. La Svizzera ha in effetti un mercato domestico di dimensioni limitate e non dispone di materie prime. Tra gli strumenti privilegiati della politica economica esterna vi sono gli accordi di libero scambio (ALS), il cui scopo è di ridurre gli ostacoli tariffali e non tariffali al commercio.
Solitamente, gli accordi sono conclusi nel quadro dell’Associazione europea di libero scambio (AELS, che oltre alla Svizzera comprende Islanda, Norvegia e Liechtenstein). Berna ha comunque la possibilità di concludere intese anche al di fuori dell’AELS, come avvenuto ad esempio con la Cina.
All’inizio degli anni Novanta, l’AELS si è concentrata soprattutto sui paesi dell’Europa centrale e orientale. In seguito la rete di accordi si è progressivamente estesa alla regione mediterranea. Più di recente, l’interesse si è spostato verso i mercati emergenti in America latina, Africa e Asia. La Svizzera sta attualmente negoziando con India, Thailandia, Vietnam e Indonesia, solo per citarne alcuni.
Oltre a quello con l’Unione europea, la Svizzera dispone di una rete di 28 ALS con 38 paesi non europei. Gli ALS coprono attualmente il 75% delle esportazioni elvetiche.
(Fonte: Segreteria di Stato dell’economia)
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