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“La Svizzera ha sempre dialogato con tutti”

Riunione
La presidente della Confederazione Viola Amherd durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU a New York. © Keystone / Alessandro Della Valle

Guerre, crisi e neutralità: oggi dove si posiziona la Svizzera nel mondo? Ne abbiamo discusso con Laurent Wehrli e Fabian Molina, due voci eminenti della politica estera elvetica.

Gli avvenimenti degli ultimi anni sono esemplari: le crisi di portata globale si moltiplicano intrecciandosi tra loro e disegnando un quadro geopolitico sempre più intricato e complesso. La Svizzera come si colloca sullo scacchiere globale e come viene interpretato il suo ruolo dagli altri attori? Ne abbiamo parlato con Laurent Wehrli (Partito liberale radicale – PLR, destra) e Fabian Molina (Partito socialista – PS, sinistra), entrambi membri della Commissione di politica estera del Consiglio nazionale, presieduta da inizio anno dallo stesso Laurent Wehrli.  

Laurent Wehrli e Fabian Molina
Laurent Wehrli e Fabian Molina (a destra). Keystone / Anthony Anex

SWI swissinfo.ch: Cosa funziona bene, e cosa invece meno, nella politica estera svizzera?

Laurent Wehrli: Sul dossier europeo è ovvio che ci siamo adagiati troppo e non siamo stati in grado di mantenere lo slancio dell’ottima collaborazione con l’UE. Tuttavia, non è stata colpa della politica estera o del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), bensì dell’ingerenza della politica interna.

Sul piano internazionale ritengo sia stato un errore che il Parlamento non abbia accordato mezzi a sufficienza per la cooperazione allo sviluppo. A mio parere, la Svizzera potrebbe devolvere senza problemi lo 0,5% del PIL.

Ci siamo serviti della politica estera per ripulire l’immondizia che avevamo sparpagliato.

Fabian Molina

Fabian Molina: Forte del suo sostanziale impegno diplomatico, la Svizzera gode tuttora di un’ottima reputazione sul piano internazionale. Siamo riconosciuti come Paese senza agenda occulta, il che è un indubbio vantaggio. Punto invece il dito sulla scarsa coerenza della nostra politica estera, dovuta anche all’atteggiamento del ministro degli esteri, Ignazio Cassis.

È lui ad aver coniato la frase “la politica estera è politica interna”. Io invece direi il contrario: la politica interna è politica estera. Le decisioni che prendiamo in Svizzera hanno un impatto sulla vita della gente all’altro capo del mondo. Soprattutto alla luce dell’attuale erosione dell’ordine mondiale basato sulle regole, la Svizzera dovrebbe assumersi maggiori responsabilità per la vita su questo pianeta.

Ad onore del vero, la Svizzera ha una politica estera oppure una politica economica estera?

Molina: Si concentra prevalentemente sulla politica economica estera. La politica estera è entrata in agenda soltanto negli anni Novanta, ma a livello molto settoriale. Nel dubbio prevalgono gli interessi economici, che vengono anteposti alla politica estera.

Signor Wehrli, concorda?

Wehrli: In parte. È fuori dubbio che abbiamo una politica economica estera, peraltro importante e molto influente. Nel contesto delle attuali crisi, tuttavia, facciamo politica estera e non politica economica. È stata la diplomazia elvetica, ad esempio, che ha portato all’accordo di pace nel nord del Mozambico, e non è stata guidata da una visione economica.

Persona issa bandiera
Un soldato issa la bandiera svizzera in Mozambico. L’allora presidente svizzero Alain Berset ha visitato il Paese nel 2023. © Keystone / Peter Klaunzer

Molina: Il Mozambico è proprio un esempio perfetto. La Svizzera si è adoperata molto per il processo di pace, ma solo dopo che il Credit Suisse aveva portato il Paese alla rovina con un affare di corruzione e gettato benzina sui focolai di violenza. In sostanza, ci siamo serviti della politica estera per ripulire l’immondizia che avevamo sparpagliato noi stessi.

Wehrli: Eppure – il CS non ha intimato al Consiglio federale di stare fuori dal Mozambico, “così possiamo trarre profitto dal regime corrotto”. L’economia non tiene quindi la politica estera al guinzaglio. E gl’interventi concreti della Svizzera, come i campi profughi in Bangladesh o in Libano, non sono certo legati alla politica economica.

Wehrli in Africa
“Crisi che si susseguono e crisi che si sovrappongono”: Laurent Wehrli in Ruanda nel 2022. twitter.com

La guerra in Medio Oriente sta sconvolgendo anche il panorama politico in Europa. Quali effetti sta producendo, anche sul ruolo della Svizzera?

Molina: Renderà ancora più difficile una pace giusta e duratura basata sulla costituzione di due Stati. Continuo a credere che questa sia l’unica garanzia di pace per la regione. Il day after deve essere discusso molto di più a livello internazionale e la Svizzera potrebbe svolgere un ruolo in tal senso.

Ci sono buone ragioni per cui l’Europa si è schierata così chiaramente dalla parte di Israele, visto che ha essa stessa delle responsabilità nei peggior crimini contro l’umanità della Storia. Al tempo stesso, nel Sud globale non si capisce perché l’Occidente usi due pesi e due misure. Tutti gli attacchi e gl’interventi contro la popolazione civile sono inaccettabili, a prescindere da dove provengano. Un Paese come la Svizzera dovrebbe esserne consapevole. Nel Sud globale godiamo ancora di una buona reputazione rispetto alla Germania, la Francia o gli Stati Uniti.

Wehrli: È chiaro a tutti che c’è un prima e un dopo gli attentati terroristici di Hamas dello scorso 7 ottobre. La situazione è più complessa dell’affermazione: “L’Occidente sta con Israele, gli arabi con i palestinesi.” Inoltre, l’Arabia Saudita è nuovamente scivolata in un conflitto con l’Iran – non per nulla gli houthi dello Yemen alleati dell’Iran stanno fomentando conflitti un po’ ovunque.

Ciò che mi preoccupa, inoltre, è la debolezza dell’autorità palestinese, che non è riconosciuta né dai palestinesi stessi né dai Paesi arabi.

Persone sedute a un tavolo
Fabian Molina (a destra) riceve i parenti degli ostaggi israeliani di Hamas a Palazzo federale a Berna, ottobre 2023. twitter.com

Recentemente il Parlamento ha discusso la revoca del sostegno all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (UNRWA). Come si pone la Svizzera in questo contesto?

Wehrli: Si parla solo dei 20 milioni di franchi all’UNRWA. Il Consiglio federale ha tuttavia approvato anche 86 milioni di franchi a sostegno dell’autorità palestinese e di altre ONG palestinesi. Questo dimostra la volontà della Svizzera di fare qualcosa.

Per molto tempo la Svizzera ha avuto contatti diretti con Hamas, ora si discute di un divieto. Cosa se ne può dedurre sulla posizione del nostro Paese?

Molina: La Svizzera ha sempre parlato con tutti. Questa politica, apprezzata anche dal Governo israeliano, dovrebbe essere perseguita anche in futuro.

Gaza
Striscia di Gaza, gennaio 2024. Keystone / Mohammed Saber

Il dialogo con Hamas ha avuto successo?

Molina: Non esiste nessun dialogo, ma piuttosto una politica di contatto. Quando si è trattato di favorire il rilascio di ostaggi la Svizzera è riuscita nell’intento. In effetti, se si riesce a salvare una vita umana si può sicuramente parlare di successo.

L’Iran è il maggior fomentatore di instabilità della regione. La Svizzera intrattiene relazioni speciali con il Paese – sono ancora giustificate?

Molina: No. Il motto “Stand with Israel” (Dalla parte di Isralele) significa anche contenere l’Iran come fattore di destabilizzazione nella regione. La Svizzera non l’ha ancora capito. Predomina il dogma della neutralità e dei buoni uffici.

Nel giro di soli sei mesi la Cina si è sostituita alla Svizzera nella promozione della pace in Iran, conseguendo risultati migliori di quanto abbia saputo fare la politica estera rossocrociata negli ultimi 30 anni. La Svizzera deve cambiare atteggiamento nei confronti dell’Iran, come hanno già fatto i Paesi dell’UE.

Signor Wehrli, i buoni uffici hanno fatto il loro tempo?

Wehrli: Non direi. Aver assunto un mandato per conto degli Stati Uniti non significa che sosteniamo la politica interna dell’Iran. La Cina ha senz’altro potuto assumere una posizione tra l’Iran e l’Arabia Saudita. D’altra parte, ora come ora Pechino non può ottenere nulla a Gaza. E questo ci riporta alla politica estera o al commercio con l’estero: la Cina dispone di mezzi economici enormemente più potenti della Svizzera per smuovere un Governo, ma anche questo ha i suoi limiti.

La ministra svizzera della difesa, Viola Amherd, vuole avvicinarsi alla NATO. La manovra è compatibile con la neutralità?

Molina: L’invasione della Russia in Ucraina solleva l’interrogativo sulla capacità o meno dell’Europa di badare a sé stessa. Ecco perché la Russia non deve vincere questa guerra. Sul piano civile dobbiamo sostenere maggiormente l’Ucraina, ma al contempo impegnarci per rafforzare l’ordine di pace e sicurezza in Europa. Quello che voglio dire è che a livello politico la Svizzera deve riavvicinarsi all’Europa e fornire il proprio contributo a favore della pace. Non dimentichiamo che dopo le prossime presidenziali negli Stati Uniti l’interessa per il Vecchio Continente potrebbero scemare bruscamente.

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Un avvicinamento all’Europa sul piano militare potrebbe rappresentare un punto di rottura per la neutralità …

Molina: La neutralità è innanzitutto un concetto militare. Non stringiamo alleanze e non partecipiamo ai conflitti. Credo che per noi sia giusto così, perché ci schiude molte possibilità sul piano della politica estera. D’altro canto, dobbiamo sfruttare questo margine di manovra per impegnarci a favore di una politica di pace e di sviluppo.

Wehrli: Se la Svizzera si avvicina troppo alla NATO, a un certo punto oltrepassa il limite della neutralità. Dobbiamo analizzare il rischio sulla base del mandato costituzionale: “la difesa del Paese e dei suoi cittadini”. I colloqui esplorativi con la NATO vanno relativizzati; non abbiamo mai parlato di un’adesione alla NATO. Tuttavia, è importante cercare lo scambio pur restando fedeli al concetto di neutralità. La guerra in Ucraina è molto più vicina a noi di qualsiasi altro conflitto nel mondo. È fuori dubbio che occorre chinarsi sulla difesa nazionale e questo genererà delle domande sulla neutralità. La neutralità è uno strumento che ha servito bene la Svizzera. Ma, ad esempio in Svezia, si può osservare che la neutralità non serve più come strumento di difesa, il che ha permesso al Paese di aderire alla NATO.

Da un anno la Svizzera siede nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non se ne parla molto…

Molina: È colpa della stampa…

… oppure del fatto che il Consiglio è disfunzionale?

Molina: Il Consiglio di sicurezza trova quasi sempre una soluzione. In tempi normali funziona molto bene e svolge il suo ruolo di garante della pace nel mondo. Ma non viviamo in tempi normali.

Lo sanno tutti che l’ONU deve sottoporsi a riforme e la Svizzera intende fare la sua parte. Il problema è un altro: abbiamo un sistema multilaterale che preserva degli squilibri di potere ereditati dal colonialismo. Non sono pochi gli Stati che oggi rivendicano un posto al tavolo. Ed è comprensibile. Quello che dobbiamo chiederci è quali rivendicazioni siano legittime. Una cosa è certa: non possiamo continuare con il multilateralismo adottato sinora.

Due persone discutono in aeroporto
Altri forniscono armi, la Svizzera vuole mediare: Volodymyr Zelensky con Ignazio Cassis a Berna nel gennaio 2024. © Keystone / Alessandro Della Valle

La legittimità dell’ONU è effettivamente riconosciuta in tutto il mondo?

Wehrli: Assistiamo allo scoppio di crisi che non solo si susseguono, ma addirittura si sovrappongono, e di conflitti che interessano gli Stati con potere di veto all’interno del Consiglio di sicurezza dell’ONU. La Carta delle Nazioni Unite non ha mai contemplato un problema del genere. O l’ONU riuscirà a adottare delle riforme o perderà la sua influenza e i suoi mezzi.

La neutralità è uno strumento che ha servito bene la Svizzera.

Laurent Wehrli

Che ne sarà della Ginevra internazionale? A Ginevra la sede dell’ONU è già stata chiusa per settimane per risparmiare costi di riscaldamento. Non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma se non reagiamo adesso i problemi non potranno che aggravarsi.  

Dobbiamo far sì che i Paesi occidentali mettano in pratica i loro valori. Ma al tempo stesso dobbiamo mantenere vivo il dialogo e cercare soluzioni. Altrimenti anche la Svizzera avrà un problema.

Riunione
Il ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis si rivolge al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. © Keystone / Salvatore Di Nolfi

Molina: Una politica estera basata sui valori non significa imporre i propri ad altri, bensì farsi guidare da essi. Eppure, sono 100 anni che l’Occidente agisce con immutato paternalismo. Quando a grande maggioranza l’ONU ha avviato i lavori per una convenzione fiscale, il Consiglio federale mi ha risposto in maniera incredibilmente paternalistica: “Ce ne occuperemo nell’ambito dell’OCSE, senza il Sud globale”. Il Consiglio federale riteneva che il Sud globale non sarebbe stato in grado di unirsi ai lavori perché il progetto era al di là della sua portata.

È esattamente in questo modo che si allontanano ulteriormente questi Paesi dal multilateralismo. Dobbiamo quindi cementare i nostri valori vivendoli.

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Traduzione: Lorena Mombelli

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