Le aziende svizzere guardano alla Libia con prudenza
Otto mesi dopo la morte del dittatore Muammar Gheddafi e la caduta del suo regime, le aziende svizzere non sembrano avere grandi mire sul mercato libico. Le incertezze sono ancora troppo numerose.
La ricostruzione delle infrastrutture libiche andate distrutte durante la guerra rappresenta una grande opportunità per le aziende straniere. Le società svizzere non sono comunque agli avamposti per approfittare di questo lucrativo mercato. L’arresto e l’imprigionamento di due dipendenti dell’ABB nel 2008 sono ancora in tutte le memorie e certe aziende sono scoraggiate dall’instabilità che regna nel paese a una settimana dalle elezioni.
La presenza sul posto di missioni economiche di altri paesi non sembra essere un argomento convincente.
Francia, Italia, Gran Bretagna e Danimarca sono attive da mesi in Libia per partecipare alla corsa ai contratti in atto in questi mesi. Gli Stati Uniti sono pure decisi ad accaparrarsi una fetta della torta.
Non tutti sono però sulla stessa barca. I paesi che hanno appoggiato l’intervento militare e sostenuto i ribelli libici hanno una lunghezza di vantaggio. La Germania, che in occasione del voto all’ONU si era astenuta, non è invece ben vista: alcune imprese tedesche hanno ricevuto un’accoglienza piuttosto fredda, stando ai media.
Cautela
Per quanto concerne le ditte svizzere, la società di costruzioni Implenia e il produttore di cemento Holcim hanno indicato a swissinfo.ch di non aver progetti sul mercato libico.
L’Osec, l’organismo di promozione delle esportazioni della Confederazione che consiglia le piccole e medie imprese, raccomanda dal canto suo un approccio prudente. L’organizzazione indica di aver ricevuto poche domande per la Libia.
L’azienda elvetico-svedese ABB, specialista delle infrastrutture energetiche, ha da parte sua buone ragioni per cercare di penetrare il mercato libico, ma nello stesso tempo anche di mantenere una certa distanza. Il gruppo è stato presente nel paese per anni e si è ritrovato al centro del conflitto diplomatico tra Berna e Tripoli.
Dopo l’arresto nel 2008 a Ginevra di Hannibal Gheddafi, il figlio del leader libico accusato di aver maltrattato i domestici, due dipendenti dell’ABB sono stati arrestati dalle autorità libiche, ufficialmente per «violazione delle regole sui visti».
I due uomini – Rashid Hamdani e Max Göldi – sono stati imprigionati per diversi mesi. Il primo ha poi potuto lasciare il territorio libico nel febbraio 2010 e il secondo nel giugno 2010.
Questi arresti sono stati solo la punta dell’iceberg: la Libia ha infatti obbligato le aziende svizzere presenti sul suo territorio a chiudere i loro uffici, ha ritirato tutti i suoi depositi dalle banche elvetiche, ridotto le forniture di petrolio alla Svizzera e vietato alla compagnia Swiss di atterrare a Tripoli. La Libia ha poi ulteriormente irrigidito la sua posizione, imponendo un embargo economico alla Svizzera.
Troppe incertezze
In seguito a questa decisione, le esportazioni svizzere verso la Libia sono passate da 282 milioni di franchi nel 2008 a 98 milioni di franchi nel 2011. Le importazioni libiche – quasi esclusivamente petrolio – sono diminuite ancor più drasticamente: da 3,3 miliardi di franchi nel 2008 a 485 milioni nel 2011.
Lo scontro diplomatico si è ufficialmente concluso all’inizio del 2012, quando il nuovo governo libico ha deciso di togliere le sanzioni contro la Svizzera.
Per l’ABB, i vantaggi commerciali di un ritorno sul posto sono evidenti. La situazione politica e sul fronte della sicurezza è però ancora lungi dall’essere chiara a causa delle lotte tra le differenti fazioni per colmare il vuoto di potere lasciato da Gheddafi.
Il gruppo ha quindi deciso di avanzare a piccoli passi. «L’ABB riprende lentamente le sue attività in Libia. Per il momento rimangono a un livello modesto. Seguiamo da vicino l’evolversi della situazione sul fronte della sicurezza», indica Antonio Ligi, uno dei portavoce dell’ABB.
La Libia, dal canto suo, dovrà fare degli sforzi per migliorare la sua reputazione nella Confederazione. Nel 2008 il paese nordafricano era di gran lunga il principale fornitore di petrolio in Svizzera. Da allora è retrocesso al terzo rango, dietro a Kazakistan e Azerbaigian.
Tripoli è confrontata anche a un altro problema. La raffineria di Collombey, in Vallese, che appartiene all’azienda petrolifera libica Tamoil, è nel mirino delle autorità cantonali. All’inizio del 2012, quest’ultime hanno preteso che la raffineria sia trasformata per rispettare gli standard ambientali.
Tamoil ha promesso di investire milioni per mettersi in regola. Delle ispezioni sono previste quest’autunno e nel corso dell’estate 2013. Se le richieste non dovessero essere esaudite, il cantone potrebbe imporre la chiusura della raffineria.
Le esportazioni svizzere a destinazione della Libia sono costantemente aumentate tra il 1990 e il 2008, passando da 93 a 282 milioni di franchi.
In seguito al conflitto diplomatico tra i due paesi, sono scese drasticamente, raggiungendo 98 milioni nel 2011, una cifra pari ad appena lo 0,04% del totale dell’export elvetico.
Le importazioni in Svizzera sono diminuite in maniera ancor più spettacolare. Nel 2008 la Libia era il principale fornitore di petrolio in Svizzera.
A causa delle restrizioni imposte da Tripoli, l’esportazioni libiche sono scese da 3,3 miliardi di franchi a 483 milioni nel 2008.
Nel 2010 il prodotto interno lordo della Libia ha raggiunto 77,9 miliardi di franchi, stando al Fondo monetario internazionale.
I dati per il 2011 non sono disponibili a causa della guerra civile.
Il costo economico del conflitto – che ha causato la morte di 30’000 persone – è stimato in una cifra compresa tra 6 e 8 miliardi di dollari, principalmente per l’interruzione delle esportazioni di petrolio.
Il commercio di gas e petrolio rappresenta circa la metà del prodotto interno lordo e costituisce la quasi totalità delle esportazioni.
Il settore industriale libico si limita alla trasformazione di prodotti agricoli e tessili, all’edilizia e alla fabbricazione di beni di consumo di base.
(traduzione di Daniele Mariani)
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