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Le società militari e di sicurezza private devono rispondere delle loro azioni

Jean Michel Rousseau

Quindici anni fa è stato adottato in Svizzera il Documento di Montreux, un testo che regolamenta le società militari e di sicurezza private e le loro attività. Oggi è però necessario fare di più affinché questo settore sia tenuto responsabile delle proprie azioni, sostiene Jean-Michel Rousseau del Centro di Ginevra per la governance del settore della sicurezza.

Blackwater, Executive Outcomes o il gruppo Wagner: le società militari e di sicurezza private (PMSC) esistono da decenni. Nei media internazionali si parla principalmente del loro impiego nei conflitti armati e sono spesso accostate a crimini di guerra, violazioni dei diritti umani, sfruttamento manipolativo delle risorse naturali o a dichiarazioni di natura geopolitica.

Tuttavia, queste azioni sono solo la punta dell’iceberg: oggi, quest’industria da centinaia di miliardi di dollari e con milioni di dipendenti fornisce un numero crescente di servizi praticamente in ogni Paese e in alto mare, dalla sorveglianza di supermercati e di hub di trasporto ai servizi di sorveglianza e alla logistica di combattimento. Sono ormai così comunemente utilizzate che durante la pandemia di Covid molti Paesi le hanno ritenute un servizio essenziale. Pertanto, qualsiasi approccio al settore deve essere di tipo sistemico.

“Quest’industria da centinaia di miliardi di dollari e con milioni di dipendenti fornisce un numero crescente di servizi praticamente in ogni Paese.”

La regolamentazione del settore è sempre stata determinata dagli eventi. Quindici anni fa, incidenti quali l’uccisione di civili iracheni da parte di dipendenti di BlackwaterCollegamento esterno sulla piazza Nisour di Baghdad hanno suscitato una risposta internazionale che ha portato all’elaborazione del Documento di MontreuxCollegamento esterno (2008) e del Codice di condotta internazionale per chi fornisce servizi di sicurezza privataCollegamento esterno (2010). Questo è avvenuto al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, ma con un significativo sostegno statale. Si è trattato di una soluzione pragmatica a un problema umanitario urgente, guidata dalla Svizzera e, nel caso del Documento di Montreux, dal CICR.

Le esazioni commesse dal gruppo Wagner – evidenziate ad esempio in un recente rapportoCollegamento esterno dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani – hanno nuovamente focalizzato l’attenzione internazionale sulle sfide poste dalle PMSC. Questo slancio politico deve essere sfruttato per valutare lo stato attuale della regolamentazione del settore e rafforzarla, soprattutto a livello nazionale.

Cosa è già stato ottenuto

Il Documento di Montreux e il Codice di condotta internazionale hanno formulato le buone pratiche da seguire e sottolineato l’applicabilità delle norme internazionali esistenti per garantire una regolamentazione, una supervisione e una presa di responsabilità del settore più efficaci.

Hanno inoltre rafforzato la volontà politica: negli ultimi 15 anni, il sostegno degli Stati al Documento di Montreux è più che triplicato (passando da 17 a 58 Paesi e tre organizzazioni regionali) e 126 società fanno ora parte dell’associazione che supervisiona l’attuazione del CodiceCollegamento esterno. Parallelamente, dal 2010 un gruppo di lavoro intergovernativo sta discutendo di un eventuale testo delle Nazioni Unite.

Le condizioni esistenti hanno portato all’elaborazione di una serie di norme e di buone pratiche che hanno dimostrato la loro efficacia – quando sono state attuate. Uno studioCollegamento esterno del 2022 ha analizzato il modo in cui gli Stati si rivolgono ai servizi delle PMSC e ha concluso che quando un Paese sostiene il Documento di Montreux il numero di violazioni dei diritti umani si riduce di tre quarti. I centri specializzati hanno sviluppato degli strumenti e dei servizi di consulenza specialistica per sostenere gli attori nazionali e regionali nei loro sforzi. Ad esempio, il Centro per la governance del settore della sicurezza (DCAF), con sede a Ginevra, ha sostenuto più di trenta iniziative di riforma in tutto il mondo. Alla fine, nei contesti in cui processi multi-stakeholder che riuniscono istituzioni pubbliche, società civile e settore privato hanno formulato congiuntamente raccomandazioni e guidato la loro attuazione, ci sono state riforme significative.

Sfide ancora aperte

Dal punto di vista giuridico, le norme e le buone pratiche attualmente in vigore si applicano solo alle PMSC che operano nei conflitti armati (Documento di Montreux) o in “ambienti complessi” (Codice di condotta internazionale). Questo è un peccato, dato che ormai i servizi delle PMSC sono forniti ben oltre questi contesti e le norme hanno dimostrato ovunque la loro rilevanza.

Il Documento di Montreux copre gli obblighi degli Stati nei confronti delle società, ma non affronta i casi in cui singoli cittadini sono reclutati da compagnie con sede in altri Paesi (i cosiddetti “Stati di nazionalità”).

Né il Documento di Montreux né il Codice di condotta internazionale contengono indicazioni specifiche su come le PMSC possano usare la forza e su come ciò debba avvenire in modo diverso rispetto alle forze di sicurezza statali e alle forze armate. Inoltre, attualmente nessuna norma giuridica internazionale vieta la partecipazione diretta delle PMSC alle ostilità.

Detto questo, la sfida principale che il DCAF osserva quando fornisce consulenza sulla regolamentazione delle PMSC è l’insufficiente regolamentazione e responsabilità a livello nazionale. È vero che alcune PMSC commettono abusi dei diritti umani particolarmente atroci, ma sono le lacune sistemiche che ne permettono la realizzazione. In contesti fragili (e non solo), i quadri legali e politici nazionali sono spesso ancora inadeguati e gli organismi di regolamentazione e le istituzioni giudiziarie che dovrebbero farli rispettare non hanno le risorse per farlo.

Questa sfida è aggravata dalla crescente differenziazione e sofisticazione dei servizi forniti dalle PMSC. Basti pensare al riconoscimento facciale istantaneo per determinare chi può entrare in un centro commerciale sorvegliato o ai servizi di sorveglianza privata che generano moltissimi dati.

Un ulteriore aspetto riguarda la continua diversificazione del settore: una vasta gamma di Paesi – dalla Cina e dalla Russia alla Turchia e agli Emirati Arabi Uniti – fa capo a delle PMSC o ne ospita il quartier generale, ma non tutti i “nuovi arrivati” hanno istituito dei quadri normativi.

Infine, alcuni Governi cercano attivamente di collaborare con attori come il gruppo Wagner per promuovere i propri interessi geopolitici e non sono interessati a considerazioni astratte sulla buona governance e sulla responsabilità.

Cosa si può fare?

Un nuovo documento internazionale nell’ambito delle Nazioni Unite potrebbe potenzialmente incorporare elementi non contemplati dal Documento di Montreux e dal Codice di condotta, come l’ampliamento del loro campo di applicazione formale al di là dei conflitti armati e degli ambienti complessi, la specificazione delle riparazioni statali per le singole vittime, la fornitura di chiare linee guida sull’uso della forza e il divieto di un coinvolgimento diretto nelle ostilità (soprattutto quando si tratta dell’uso effettivo della forza). Potrebbe anche “migliorare” le buone pratiche contenute in questi documenti rendendole giuridicamente vincolanti.

Il relativo processo intergovernativo è in corso da quasi 15 anni e non è chiaro se si arriverà presto a un consenso. E anche se un documento dovesse essere approvato, il basso livello di ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui mercenari (adottata nel 1989 e finora ratificata solo da 37 dei 193 Stati membri dell’ONU) dovrebbe servire da monito: un nuovo testo non può, di per sé, far pendere l’ago della bilancia.

Le sfide principali che possono essere affrontate rapidamente sono la regolamentazione, la supervisione e la responsabilità a livello nazionale. L’attuale interesse per il settore, generato in particolare dal gruppo Wagner, dovrebbe essere sfruttato al fine di favorire un approccio sistemico per avviare delle riforme. Ciò richiede una spinta da parte degli attori governativi, ma anche della società civile, dei media, della sicurezza privata, delle organizzazioni regionali e della comunità internazionale.

Concretamente, questi attori devono continuare a generare conoscenze sul settore che possono essere utilizzate per aggiornare i quadri legali e politici, rendere disponibili risorse per gli organismi di regolamentazione e potenziare i meccanismi di responsabilità come le istituzioni giudiziarie nazionali, le istituzioni per i diritti umani o i tribunali regionali e internazionali. Questo sforzo non dovrebbe limitarsi ai Paesi in cui le PMSC stanno attualmente commettendo le più gravi violazioni dei diritti umani, ma – in un approccio preventivo – essere molto più ampio.

Abbiamo fatto molta strada rispetto agli anni 2000. È ormai chiaro che le PMSC non operano in un vuoto giuridico e disponiamo di un’ampia gamma di norme e strumenti internazionali che possono essere utilizzati per regolamentarle. L’elemento chiave mancante è la volontà politica a livello nazionale e una sufficiente pressione regionale e internazionale per far sì che ciò avvenga.

Traduzione di Luigi Jorio

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