Le tecniche di domani cercano di imporsi oggi
Un premio internazionale per un libro innovativo; una nuova tecnica per fissare i terreni instabili utilizzando agenti biologici. Presso il Politecnico federale di Losanna (EPFL) gli specialisti della meccanica del suolo si sono guadagnati una reputazione mondiale, ma faticano a essere considerati profeti in patria.
«Cos’ha di eccezionale questo libro? La domanda andrebbe posta alla giuria del Premio RobervalCollegamento esterno». Lyesse Laloui, direttore del Laboratorio di meccanica del suolo (LMSCollegamento esterno), vive il successo con modestia. Eppure insieme ai suoi colleghi Laurent Vuillet e Jian Zhao (ora docente in Australia), lo scorso gennaio a Parigi si è aggiudicato il premio internazionale per la promozione e la diffusione della scienza e della tecnologia in lingua francese. Un riconoscimento vinto da diversi Premi Nobel prima di lui.
L’opera è sobriamente intitolata Meccanica dei suoli e delle rocceCollegamento esterno. «Questo libro ha la particolarità di combinare la meccanica del suolo e quella della roccia, che di solito sono trattate singolarmente. Soprattutto però, mette in luce argomenti che fino ad ora erano stati limitati a pubblicazioni altamente specializzate, che non si trovavano in libri per studenti, ingegneri o costruttori. Così come riflessioni legate all’energia, ai pericoli naturali e all’ambiente» riassume il professor Laloui.
Il punto è che nell’ultimo decennio circa, le fondamenta di un edificio o di una galleria non sono più considerate solo nella prospettiva della solidità. Ma si cerca di approfittare del fatto che – essendo nel sottosuolo – se ne potrebbe ricavare anche dell’energia. Si presta quindi maggiore attenzione agli aspetti ambientali.
Il calore delle fondamenta
Concretamente, il calore del terreno può essere catturato direttamente dalle fondamenta degli edifici. Basta integrare dei tubi riempiti di liquido nei pilastri in calcestruzzo che sostengono la struttura. Le pompe di calore lo trasformano poi in energia, garantendo caldo in inverno e fresco in estate. Il Laboratorio di meccanica del suolo è uno dei pionieri di questa tecnica, detta geo-struttura energetica. Eppure – nonostante alcuni ottimi risultati, come il nuovo terminal dell’aeroporto di Zurigo – in Svizzera fatica a decollare, o meglio ad affermarsi.
Resistenze da parte della politica, dell’economia o somplicemente dettate dalla forza dell’abitudine? «Un po’ tutte e tre le cose», risponde Lyesse Laloui. «È chiaro però che se l’impulso politico viene dall’alto, aiuta molto». In questo senso si potrebbe citare l’esempio di Londra, la città che ha piantato nel suo sottosuolo più di 5000 pali energetici in pochi anni, sicuramente un record mondiale. E questo perché a un certo punto il sindaco aveva imposto uno studio sulla costruzione dei pali energetici prima della realizzazione di qualsiasi edificio pubblico. E la loro installazione si è dimostrata fruttuosa nella maggior parte dei casi, da qui la loro proliferazione.
Come risultato, gli inglesi hanno sviluppato una tale esperienza in questo campo che quando Google ha costruito il suo nuovo campus in California – dotato di 2500 pali energetici – è proprio a Londra che si è rivolto, per collaborare con l’azienda britannica più esperta del settore.
In questo campo quindi la Svizzera, presente fin dagli inizi, ha accumulato un grave ritardo. E Lyesse Laloui non può che dispiacersene. Il suo laboratorio è impegnato nella costruzione di 13 stazioni della metropolitana di Parigi con geo-strutture energetiche, nell’ambito degli ampliamenti di linea previsti per le Olimpiadi del 2024. Ma niente del genere viene preso in considerazione per la 3a linea del metrò a Losanna ad esempio.
«C’è una mancanza di volontà politica» segnala il professore. «E c’è anche il fatto che gli architetti hanno un approccio piuttosto tradizionale. Bisogna spiegare loro questa nuova tecnica, convincerli ad utilizzarla sebbene siano abituati ad altro». Compito reso ancora più difficile dal fatto che le geo-strutture energetiche sono più costose da installare rispetto alle fondamenta tradizionali. Tuttavia, a medio termine (nel giro di qualche anno), si dimostrano più convenienti e sono in grado di fornire energia praticamente gratuita per il resto della vita degli edifici (minimo 50 anni).
Ma le cose cambieranno, Lyesse Laloui ne è convinto. Partito dalla California, l’impulso ha contagiato il resto degli Stati Uniti per poi arrivare anche in Europa. L’Unione Europea ha definito una strategiaCollegamento esterno che ambisce a degli edifici con un bilancio energetico prossimo allo zero entro il 2020. Anche la Svizzera finirà col seguire la tendenza.
«Gli architetti hanno un approccio piuttosto tradizionale. Bisogna spiegare loro questa nuova tecnica, convincerli ad utilizzarla sebbene siano abituati ad altro»
Lyesse Laloui, direttore LMS
Quando il CO2 torna ad essere roccia
Un’altra area di competenza dell’LMS in cui l’innovazione si scontra con il peso delle abitudini è quella del sequestro di CO2 nel suolo. «Da un punto di vista quantitativo, si tratta di gran lunga del metodo principale per eliminare questo gas», spiega Lyesse Laloui. Viene fatto in Giappone, Canada, Stati Uniti, ma sono i norvegesi i più avanzati in questo campo, addebitando i costi di cattura del gas a coloro che lo producono, mentre lo Stato paga per il trasporto e il sequestro. Di nuovo: la famosa volontà politica.
Anche in questo caso, la Svizzera si dimostra manchevole. «Quando abbiamo iniziato, 4-5 anni fa, volevamo allestire un sito dimostrativo, come quello che i tedeschi hanno fatto alle porte di Berlino», spiega il direttore dell’LMS. «È importante dimostrare che il sistema funziona per poter avere una buona accettazione da parte della popolazione. L’Ufficio federale dell’energia ha finanziato le nostre analisi, ma l’Ufficio dell’ambiente è stato molto riluttante».
Per non parlare poi del fatto che in Svizzera il sottosuolo appartiene ai Cantoni, cosa che non facilita l’applicazione di normative nazionali. Alla fine, il gruppo di laboratori svizzeri di cui fa parte anche l’LMS, ha ottenuto l’autorizzazione solo per due prove su piccola scala in due laboratori sotterranei pre-esistenti a Grimsel e sul Mont TerriCollegamento esterno, nel Giura. Lyesse Laloui ne è profondamente rammaricato, perché la tecnica è ben sviluppata e la Svizzera si ritrova ad essere l’ultima della classe quando potrebbe essere una pioniera.
E l’ambiente? Non sussiste nessun problema secondo il professore: alle temperature e alla pressione che regnano a 1 km di profondità, il volume dell’anidride carbonica si riduce di 500 unità e finisce col ridiventare quello che era prima di essere estratto dal suolo sotto forma di idrocarburi: roccia.
Bio cemento per la roccia
C’è un altro settore in cui la Svizzera potrebbe essere pioniera. E in questo caso non è ancora tutto perduto perché la tecnica è in fase sperimentale e l’LMS non ha concorrenti. L’invenzione e il brevetto infatti gli appartengono.
Si tratta di terreni «bio-migliorati» per renderli più resistenti sia al peso degli edifici che alle frane – argomento di grande attualità. Il principio: iniettare un batterio nel terreno per densificarlo formando legami cristallini fini e resistenti. Un modo più economico e rispettoso dell’ambiente di sostituire le iniezioni di cemento ad alta pressione. Perché si comincia isolando il tipo di batteri presenti nel luogo, per poi restituirli al terreno in maggiori quantità. Un colpo di mano alla natura in un certo senso.
Per sviluppare la tecnica l’LMS ha fondato MedusoilCollegamento esterno, una start-up che lo scorso novembre ha conquistato il secondo posto al Climate-KIC LaunchpadCollegamento esterno, il più grande concorso al mondo per idee di business sostenibili al quale quest’anno hanno partecipato oltre 1500 persone. E Lyesse Laloui è molto ottimista sul futuro di questa tecnica, una volta superata la famosa forza dell’abitudine…
Traduzione dal francese di Riccardo Franciolli
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