La turista svizzera diventata attivista per caso in India
La fotografa Karin Scheidegger voleva scattare qualche foto per un amico durante un viaggio in India, quando è stata coinvolta in un movimento operaio che ha cambiato il corso della sua vita e del suo lavoro.
“Non sono mai andata alla ricerca di questa storia. Mi ha trovata”, dice Scheidegger a swissinfo.ch
Scheidegger venne a conoscenza per la prima volta delle attività del produttore svizzero di cemento Holcim in India nel 2012. Era l’anno in cui il Museo dei Belle Arti della capitale elvetica Berna ospitò una controversa esposizione per il centenario della compagnia.
“Un’agenzia pubblicitaria ne aveva curato il concetto. L’esposizione fu criticata da alcuni come pubblicità aziendale in uno spazio dedicato all’arte e finanziato con soldi pubblici”, ricorda.
All’epoca, Scheidegger stava pianificando un viaggio in India per incontrare un amico e aiutare una ong svizzera per la quale lavorava part-time. Un conoscente che aveva scritto una tesi di dottorato su attività mineraria e compagnie multinazionali le chiese di scattare qualche foto dei villaggi vicini ai cementifici. Scheidegger decise allora di passare una delle sue cinque settimane di vacanza a fotografare ed esplorare i distretti di Durg e Baloda Bazar nello Chhattisgarh, Stato dell’India centro-orientale.
“Io volevo essere il tipo di fotografa che va in posti emozionanti e racconta storie emozionanti. Quindi si trattava di una buona opportunità per me”, racconta.
Da anni, i lavoratori a contratto della regione chiedevano migliori condizioni di impiego e il diritto di riunirsi in sindacati, una battaglia che continua tuttora. Secondo le cause intentate presso i tribunali indiani, alcuni di essi lavorano da decenni nelle fabbriche senza la possibilità di avere un contratto a tempo indeterminato né un salario pieno. Guadagnano circa un terzo rispetto ai dipendenti fissi e sono assunti attraverso ditte appaltatrici terze che trattengono una parte del loro già magro salario. I cementifici coinvolti nella controversia erano inizialmente proprietà delle compagnie indiane ACC Limited di Jamul e Ambuja Cement Limited di Rawan (LafargeHolcim è azionista di maggioranza di Ambuja Cement, che lo è a sua volta della ACC).
Immersione nella realtà locale
Quando arrivò in India, Scheidegger riuscì a mettersi in contatto con gli attivisti locali grazie al sindacato svizzero Unia e alla fondazione Solifonds, che avevano sostenuto la campagna dei lavoratori per negoziare le loro condizioni d’impiego con Holcim. Scheidegger non sapeva però che la regione fosse una delle più pericolose del Paese. Una ribellione armata di un gruppo chiamato Maoists [Communist Party of India] e la campagna antiterrorismo del governo avevano provocato centinaia di morti nella parte meridionale dello stato. Le autorità diffidavano dei movimenti di protesta e gli interessi acquisiti tentavano di soffocare il dissenso bollando gli attivisti come simpatizzanti dei Maoisti.
“C’era molta ingenuità da parte mia. Sapevo un po’ del conflitto e che si trattava di una delle zone più pericolose per i giornalisti, ma pensavo di scattare solo qualche foto in questi villaggi”, ricorda Scheidegger.
La sua prima esperienza con la paranoia e la diffidenza locali fu durante una visita a un mercato di lavoratori nella città industriale di Bhilai. È il luogo dove gli operai in cerca di lavoro si riuniscono la mattina nella speranza di guadagnare un po’ di soldi. In quanto straniera, Scheidegger attirò molte attenzioni. Una donna era particolarmente desiderosa di parlare con lei.
“Dopo un’ora arrivò la polizia e ci interrogò su cosa stessimo facendo lì. Più tardi, mi spiegarono che quella donna era una Mukhbir o informatrice della polizia.”
Durante la sua visita, Scheidegger poté comunque incontrare gli attivisti locali, inclusi alcuni che erano in fuga perché erano stati criminalizzati in quanto funzionari sindacali.
Lo scontro
In una piacevole mattina d’estate, nel villaggio di Rawan, Scheidegger e il suo contatto locale Ajay T.G. partirono alle 6 -era il 17 aprile 2013- per approfittare della morbida luce del mattino. La fotografa svizzera voleva scattare qualche immagine dei lavoratori che entrano ed escono dal vicino cementificio Ambuja tra un turno e l’altro. Mentre la sua auto passava davanti al cancello principale dello stabilimento -del quale il gigante franco-svizzero del cemento LafargeHolcim detiene una partecipazione- un cartello catturò la sua attenzione. Diceva “Ambuja Cement vi dà un caloroso benvenuto per una visita piacevole e sicura.” Scheidegger scese dall’auto per scattare una foto.
“Pensavo fosse piuttosto ironico perché sapevo di molte morti in quella fabbrica, dove i lavoratori in appalto non ricevono le stesse protezioni di sicurezza dei dipendenti regolari”, spiega.
La rivolta dei lavoratori a contratto aveva portato i produttori di cemento a fortificare le loro fabbriche. Così, non appena Scheidegger si avvicinò ai cancelli per fotografare il cartello, le guardie di sicurezza le chiesero di allontanarsi. Non sapeva di trovarsi in un’invisibile “zona di esclusione” progettata per tenere a bada le proteste degli abitanti del villaggio.
Scheidegger e Ajay uscirono quindi dal villaggio per scattare una foto di un campo con la fabbrica sullo sfondo. Ma gli agenti privati li avevano seguiti e divennero aggressivi. Poco dopo arrivarono altre due guardie a bordo di una moto. Cominciarono a colpire Ajay.
“Si prese un pugno, gli sanguinava il labbro e la sua camicia era strappata. Mi sentivo responsabile perché ero stata io a fotografare, ma le guardie mi ignorarono completamente”, racconta Scheidegger.
Dopo l’incidente, i due andarono alla locale stazione di polizia per denunciare l’episodio. Secondo la donna, i poliziotti, inizialmente riluttanti, cominciarono a collaborare all’arrivo dei giornalisti, che avevano saputo dell’alterco. Scheidegger apparve infine su un canale televisivo locale per raccontare la sua versione della storia. La fotografa spiega che la polizia riteneva che fosse stata usata dagli attivisti per attirare l’attenzione sulla loro causa. “Non è mai stato così”, insiste lei.
Quando Scheidegger si lamentò dell’accaduto con la direzione di Holcim in Svizzera, essa mantenne la versione delle guardie di sicurezza, secondo cui la fotografa e il suo collaboratore avevano tentato di scavalcare il muro della fabbrica ed entrare nel complesso.
“La sicurezza ha chiesto agli intrusi di interrompere le loro attività di intrusione. Nessuna violenza è stata perpetrata”, recitava una lettera di Holcim nel maggio 2013, riassumendo la risposta della direzione dello stabilimento di Ambuja.
Scheidegger riferisce che alla fine Ajay è stato costretto a ritirare la sua denuncia così che la compagnia ritirasse a sua volta l’accusa di essersi introdotto abusivamente in fabbrica.
“Alla fine è come se tutto questo non fosse mai accaduto”, commenta.
Ingresso negato
Nonostante il brutto ricordo lasciato dallo scontro con le guardie di sicurezza, Scheidegger tornò in India nel 2014 e prese persino parte a una marcia a Bhilai con i membri del sindacato che negoziava con Holcim (Pragtisheel Cement Shramik Sangh o PCSS). Una foto di lei alla manifestazione è apparsa in un articolo di giornale.
“Non ho tentato di nascondere la mia presenza, né credevo di non dovermi fare scoprire”, dice.
Le sue attività non passarono inosservate alle autorità. Quando lasciò lo stato per una breve vacanza nell’Himalaya, ricevette una telefonata da attivisti che le dicevano che l’ufficio di registrazione degli stranieri di Delhi aveva chiamato chiedendo di lei. La polizia telefonò all’hotel nel quale aveva soggiornato e fece visita all’amico che aveva indicato come persona di contatto nel modulo di richiesta del visto.
Nel 2016, Scheidegger ha chiesto una borsa di studio per proseguire il suo lavoro di documentazione del movimento operaio nello Chhattisgarh. Due settimane prima della partenza, è stata contattata dall’ambasciata indiana a Berna.
“Mi hanno chiamato dicendomi che potevo passare a ritirare il passaporto, ma non c’era alcun visto per me”.
La fotografa ritiene che si sia trattato di una punizione per aver documentato ciò che le autorità non volevano che le persone all’estero vedessero. L’ambasciata indiana in Svizzera non ha risposto a una richiesta di swissinfo.ch di commentare il rifiuto del visto o un potenziale divieto d’ingresso.
Il progetto del magazine
L’impossibilità di visitare l’India è stata un duro colpo per Scheidegger. Ma l’ha anche motivata a fare qualcosa con le foto che ha scattato nei viaggi in Chhattisgarh. In settembre, ha pubblicato una rivista in tedesco intitolata ‘Rich lands, poor people’ (Terre ricche, povera gente) – una frase comunemente usata dagli attivisti per riferirsi alla triste situazione nello Chhattisgarh.
“L’idea alla base era di creare un magazine come quelli che trovi dal parrucchiere mentre aspetti il tuo turno. Da un punto di vista visivo è molto attraente, e solo quando inizi a leggere ti rendi conto che il contenuto è molto serio”, spiega.
Dopo decenni di lotta, i lavoratori hanno infine riportato una grande vittoria. Nel 2016, è stato raggiunto un accordo con LafargeHolcim sul destino di quasi 1’000 lavoratori temporanei impiegati nel cementificio di Jamul nello Chhattisgarh. Ma secondo Scheidegger, la situazione dei lavoratori nella vicina Rawan è tuttora disastrosa e la formazione di sindacati è ancora attivamente scoraggiata. LafargeHolcim dissente.
“Questa accusa è infondata”, risponde un portavoce della compagnia per e-mail. “Lo stabilimento Bhatapara [a Rawan] aveva già un sindacato – AITUC (All India Trade Union Congress) – che godeva del sostegno dei lavoratori. A oggi, la direzione dello stabilimento ha buone relazioni con questo sindacato e si impegna in un dialogo aperto e leale”.
Nonostante non possa più visitare l’India, Scheidegger è contenta di aver almeno potuto portare a un pubblico più ampio le storie che ha incontrato.
“Dopo i miei viaggi mi sono resa conto che il progetto non riguardava affatto Holcim, ma le persone che vivono nei dintorni delle fabbriche”, conclude.
Traduzione dall’inglese di Rino Scarcelli
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