Musica, detersivi e rider: alla scoperta di giovani cooperative svizzere
Molte nuove imprese nascono come cooperative, spesso per idealismo. Ritratto di un'etichetta discografica, di un negozio partecipativo e di un servizio di consegne a domicilio.
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Thomas Kern è nato in Svizzera nel 1965. Dopo una formazione di fotografo a Zurigo, ha iniziato a lavorare come fotoreporter nel 1989. Nel 1990 ha fondato l'agenzia fotografica svizzera Lookat Photos. Thomas Kern ha vinto due volte il World Press Award e ha ottenuto diversi riconoscimenti in Svizzera. Il suo lavoro è stato esposto in varie mostre ed è rappresentato in diverse collezioni.
Le cooperative sono importanti per l’economia svizzera. Giovani imprenditrici e imprenditori che danno vita a una start-up fondano però raramente una cooperativa.
Le cooperative sono considerate in genere poco dinamiche. Falliscono meno spesso delle società per azioni e sono stabili, quando l’economia attraversa periodi difficili. L’indagine sulle cooperative 2020 (Genossenschaftsmonitor 2020) di Idée CooperativeCollegamento esterno indica però che la popolazione svizzera si fida delle cooperative, ma le ritiene “poco innovative”.
Questo vale anche per le giovani imprenditrici e i giovani imprenditori: l’indagine individua un “problema start-up”. Chi vuole diventare ricco fonda piuttosto una società anonima.
A colloquio con SWI swissinfo.ch tre giovani cooperative che si oppongono a questa tendenza spiegano perché abbiano optato per questa forma societaria.
Il negozio partecipativo “Güter”
Il negozio partecipativo Güter si trova in una via residenziale di Berna. Gli scaffali sono pieni di prodotti alimentari e per l’igiene, barili colmi di riso e pasta attendono i loro clienti. Due membri della cooperativa creano pile con le verdure appena consegnate dai fornitori.
Alcune bottiglie di latte nel frigorifero sono in offerta. L’etichetta che indica la riduzione del prezzo è l’unica cosa che ricordi un normale supermercato. La vendita al dettaglio in Svizzera è dominata dalle cooperative, ma facendo la spesa non ci si pensa.
Chi compra da Güter non può invece ignorare gli ideali sui quali si basa il progetto: qui può fare la spesa solo chi partecipa con il suo lavoro alla gestione del negozio. Ogni mese è richiesto un turno di lavoro di circa 2-3 ore.
La motivazione per partecipare si basa su una visione del mondo condivisa. Nicholas Pohl di Güter dice: “Il nostro desiderio principale è di dare un contributo alla democratizzazione dell’economia.” In una cooperativa come la loro, questo principio è vissuto nella quotidianità. “Da noi si può fare l’esperienza di come sia bello cooperare.”
Güter vuole limitare i costi di gestione attraverso il lavoro non retribuito dei soci e offrire così la stessa gamma di prodotti di un negozio biologico, a prezzi più bassi. Questo obiettivo è raggiunto per alcuni prodotti, per esempio gli articoli per l’igiene. Nel caso di altri prodotti, il margine di manovra è piuttosto ridotto, soprattutto se le quantità ordinate sono piccole, com’è il caso per il negozio partecipativo.
Complessivamente, il risparmio nel fare la spesa da Güter è di circa il 10-20% rispetto a un negozio biologico convenzionale. Inoltre l’1% del valore della spesa può essere donato per aiutare i membri della cooperativa con redditi bassi.
Güter ha appena avviato la sua attività e sta imparando ogni giorno cose nuove. Il negozio partecipativo di Berna si è ispirato ad alcune cooperative statunitensi, in particolare alla Park Slope Food Coop di New York.
“Per noi le cooperative rappresentano i valori democratici fondamentali e il principio del mutuo soccorso economico”, dice Pohl. “Ma non ci consideriamo prioritariamente come parte del movimento cooperativo.” L’organizzazione in forma di cooperativa “purtroppo non è un marchio di qualità”.
La realtà indica che “anche le cooperative possono diventare grandi aziende orientate al profitto”. Il negozio partecipativo non ha niente in comune con le grandi cooperative attive nella vendita al dettaglio in Svizzera.
Red Brick Chapel: la cooperativa come fucina di canzoni
Il quotidiano liberal-conservatore Neue Zürcher Zeitung ha definito una volta Red Brick Chapel un “organizzazione di mutuo soccorso”. Nonostante il nome, l’etichetta discografica non ha però relazioni con l’Esercito della salvezza o con altre organizzazioni religiose. Si tratta piuttosto di una comunità per musiche sensibili.
Red Brick Chapel è un’etichetta discografica che non si limita a un pubblico di nicchia e può vantare anche qualche successo. In Germania per esempio il gruppo indie dei Mnevis e il cantante folk Long Tall Jefferson hanno raggiunto con le loro canzoni milioni di persone sulle piattaforme di streaming. Il gruppo degli Alois è finito persino in un’importante playlist statunitense, che ha aperto loro la porta al grande pubblico.
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Red Brick Chapel è l’unica etichetta musicale svizzera organizzata in forma di cooperativa. “È questa la differenza con quasi tutte le case discografiche europee: l’azienda appartiene a musicisti e produttori”, dice Christian Müller di Red Brick Chapel. In questo modo artiste e artisti posso determinare l’evoluzione dell’azienda e mantenere il controllo sulla loro produzione. “Sono loro a decidere cosa succede con le loro opere dopo la produzione.”
Alle origini del progetto non c’era una scelta di campo per le cooperative, bensì la volontà di mantenere e condividere il controllo sul prodotto. Oggi Müller è però entusiasta del principio cooperativo. “Non posso immaginarmi altra forma per la nostra azienda. Tutto il resto sarebbe ideologico.” Se un numero sufficiente di persone con interessi economici comuni si unisce c’è a suo avviso “solo una forma giuridica adatta e sensata”: la cooperativa.
All’epoca dello streaming la maggior parte delle etichette discografiche indipendenti ha un personale limitato, ma in Svizzera per l’iscrizione come cooperativa servono almeno sette partecipanti: è questo secondo Müller il motivo per cui Red Brick Chapel è rimasta un’eccezione.
Rispetto al “problema start-up” delle cooperative in Svizzera, Müller invita a considerare i margini di manovra offerti dalla redazione degli statuti. La farraginosità o l’agilità di una cooperativa o anche il suo grado di democrazia dipendono in larga misura da questi ultimi.
Quando pensa alle cooperative, il pensiero di Müller – come quello degli iniziatori di Güter – non va tanto alla Svizzera, quanto piuttosto alle “cooperative alimentari alla moda” degli USA. In Svizzera gli vengono in mente “solo le grandi” cooperative, che a suo parere non sono più davvero riconoscibili come tali e non corrispondono per nulla alla sua idea di movimento cooperativo.
Un classico moderno: Veloblitz
Solitamente giovani, vestiti con colori sgargianti per essere visibili nel traffico, sono ormai un’immagine comune nelle città svizzere: parliamo dei corrieri in bicicletta o rider. Nei centri urbani è a volte più efficiente inviare dei pacchetti importanti in biciletta.
Mentre di recente grandi aziende globali hanno creato servizi di consegna di cibo a domicilio su due ruote, conquistandosi la fama di datori di lavoro poco rispettosi dei diritti dei loro dipendenti, i servizi di corrieri in bicicletta di prima generazione in Svizzera sono spesso organizzati in forma di cooperativa.
È il caso di Veloblitz a Zurigo, che dà lavoro a 120 rider in tenuta giallonera. Il direttore Simon Durscher non era presente quando negli anni Ottanta in un alloggio condiviso zurighese l’azienda è stata fondata. “Il fondatore mi ha detto di non aver mai voluto creare e possedere un’azienda propria. Ha intravisto il potenziale imprenditoriale, ma ha voluto condividere fin dall’inizio le responsabilità.”
Durscher dice di capire perché le cooperative siano considerate poco dinamiche rispetto ad altre forme societarie. “Nei 10 anni in cui ho lavorato a Veloblitz ho sentito i più disparati punti di vista su quel che l’azienda sia e debba essere. Nella cooperativa si riuniscono persone che poi creano il proprio datore di lavoro”. Per questo le opinioni su Veloblitz sono molto diverse.
L’idea di base è che nell’azienda di rider gli impiegati siano anche proprietari. Ci sono tuttavia anche ex impiegate e impiegati che rimangono membri della cooperativa e impiegati che non lo sono. Non per questo la loro opinione è ignorata.
Secondo il direttore, le gerarchie di Veloblitz sono orizzontali e la responsabilità è distribuita. “Non vige però un sistema di democrazia diretta”, dice Durscher. “Non ci serve. Non tutti possono decidere su tutto.” Piuttosto che in un’assemblea generale, è meglio suddividere compiti e decisioni tra piccoli gruppi.
Uno dei motivi per cui poche start-up scelgono la forma cooperativa risiede secondo Durscher nella norma dei sette soci fondatori. Ma per le persone che le creano, le cooperative hanno anche un vantaggio pragmatico: “A differenza delle società anonime o delle società a responsabilità limitata non serve un capitale di partenza. Le cooperative permettono a persone con poco denaro a disposizione di avviare un’attività economica.”
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Cooperative, un capitale di democrazia
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Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2012 anno internazionale delle cooperative. Un modo per valorizzare un modello economico alternativo che cerca di combinare produttività e responsabilità sociale. E in tempo di crisi, le cooperative potrebbero vivere una seconda gioventù.
Nate a metà del XIX secolo in Gran Bretagna, sotto la spinta delle tensioni innescate dalla rivoluzione industriale, oggi le cooperative riuniscono oltre un miliardo di membri sparsi in tutto il mondo e danno lavoro a più di 100 milioni di persone.
Negli ultimi anni, la loro cifra d'affari ha superato i 1'000 miliardi di euro, in settori diversi come l'industria, il commercio, l'agricoltura, le banche o le assicurazioni. Attività che spaziano dai campi di cacao nel Sud del mondo, alle squadre di calcio come l'FC Barcellona, ma non mancano esempi più curiosi come i cacciatori di serpenti in India o i produttori di parmigiano in Italia.
In Svizzera si contano oltre 9'600 cooperative. Solo per citare un esempio, oltre la metà della popolazione è socia di Coop o Migros, che da sole detengono più del 50% della parte di mercato del commercio al dettaglio. E poi c'è la Banca Raiffeisen, con i suoi 1,7 milioni di soci, l'assicurazione Mobiliare, il gruppo agricolo Fenaco e così via.
Un 2012 all'insegna delle cooperative
Un fenomeno imponente, dunque, quello delle cooperative. Ma di cosa si tratta esattamente? Ce lo spiega Emmanuel Kamdem, esperto di cooperative presso l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIT). «Quando delle persone si uniscono per creare ricchezza su una base democratica e questa ricchezza viene ridistribuita in modo equo, allora siamo in presenza di una cooperativa».
Le cooperative non sono un semplice fenomeno economico, dunque, ma una scelta di campo, un modello imprenditoriale specifico fondato su valori come la democrazia, l'uguaglianza, la solidarietà e la mutualità. «È un modello che riunisce logica di mercato e inclusione sociale, mettendo la solidarietà al centro dell'interesse. Certo, la generazione di un utile economico resta una condizione operativa da rispettare per garantire la crescita sociale ed economica dei soci, ma lo scopo non è la massimizzazione del profitto».
Se l'assenza di capitali di base e la suddivisione del potere restano i principali freni allo sviluppo di queste imprese sostenibili, il loro potenziale è lungi dall'essere pienamente sfruttato, commenta Emmanuel Kamdem. «L'obiettivo dell'ONU per il 2012 è quello di promuovere la creazione e lo sviluppo di questo modello, che negli ultimi anni sta attirando sempre più interesse da parte di economisti e imprenditori».
Ma la campagna mette l'accento anche sugli stessi membri delle cooperative, rei di aver scordato i principi fondatori di queste comunità. «Le cooperative troppo grandi tendono a dimenticare il ruolo di formazione ed educazione che spetta loro, e i soci non sono sempre consapevoli dei loro diritti e doveri. È una lacuna che dovrà essere colmata».
Piccoli produttori crescono
Se le cooperative economicamente più redditizie sono concentrate nei paesi industrializzati come Francia, Stati Uniti, Germania, Paesi Bassi e Italia, negli ultimi cinquant'anni questo modello si è sviluppato soprattutto nei paesi del Sud del mondo.
«L'associazione di piccoli produttori è uno strumento fondamentale di democratizzazione e permette alle popolazioni più povere di partecipare alla creazione del loro futuro», spiega Hans-Peter Egler, della divisione Cooperazione e sviluppo economico della SECO (Segreteria di Stato dell'economia). «Spesso, prosegue il responsabile della promozione commerciale, un singolo individuo non ha i mezzi per farsi ascoltare. Per questo le cooperative svolgono un ruolo importante nel dar voce ai piccoli produttori, permettendo loro di proteggersi contro la concorrenza delle multinazionali».
Per Hans-Peter Egler, l'esempio più emblematico è forse quello del commercio equo, la cui produzione viene garantita per il 75% proprio da cooperative e il cui fatturato in Svizzera ha raggiunto i 316 milioni di franchi nel 2010. «Prodotti come caffè, cacao o cotone vengono coltivati esclusivamente in piccole cooperative agricole, dove i contadini hanno la possibilità di seguire formazioni a lungo termine, di imparare a tutelare i propri interessi e a trasmettere poi queste conoscenze agli altri membri della comunità. E, ironia della sorte, questi prodotti vengono poi rivenduti in Svizzera proprio dalle più grandi cooperative, Coop e Migros. È un cerchio che si chiude».
Un capitalismo sociale
Secondo l'OIT, a livello mondiale le cooperative garantiscono il 20% di impieghi in più rispetto alle multinazionali e in paesi come la Svizzera rappresentano il principale datore di lavoro nel settore privato.
«Le cooperative hanno inoltre superato meglio la crisi finanziaria del 2008-2009 rispetto agli altri istituti bancari» sottolinea ancora l'esperto dell'OIT Emmanuel Kamdem. «E questo perché i membri sono allo stesso tempo clienti e proprietari, ed esercitano così un controllo maggiore. Senza contare che hanno uguale diritto di voto, indipendentemente dalla quota di capitale detenuta, e il loro margine di manovra è quindi diverso».
Sullo sfondo di questa nuova crisi, che sta mettendo a dura prova i paesi della zona euro, Emmanuel Kamdem ritiene «inevitabile» un ritorno a un modello cooperativista, più democratico, centrato sull'economia reale e soprattutto in grado di adattarsi ai bisogni dei paesi industrializzati come di quelli in via di sviluppo.
L'anno delle cooperative
Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2012 anno internazionale delle cooperative come «un riconoscimento del ruolo fondamentale che queste realtà giocano nella promozione dello sviluppo socio-economico di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto in periodi di crisi economica».
La cooperativa è un'associazione di persone che si riuniscono per raggiungere uno scopo economico, sociale e culturale comune, e soddisfare le proprie aspirazioni attraverso la creazione di un'impresa a proprietà collettiva e controllata in modo democratico.
Tutti i membri di una cooperativa hanno uguale diritto di voto (un socio = un voto).
Le cooperative si fondano sui valori dell'autosufficienza, dell'auto-responsabilità, della democrazia, dell'uguaglianza, dell'equità e della solidarietà.
Nel mondo si contano oltre un miliardo di soci di cooperative, le quali danno lavoro a circa 100 milioni di persone.
Negli ultimi anni, la loro cifra d'affari ha sfiorato i 1'000 miliardi di euro, garantendo la sopravvivenza di tre miliardi di persone.
In Svizzera vi sono oltre 9'600 cooperative, di cui quasi 500 hanno una cifra d'affari maggiore al miliardo.
Tra quelle più note vi sono i giganti del commercio al dettaglio Coop e Migros, la banca Raiffeisen, la cassa svizzera di viaggio Reka, Swisslos, l'assicurazione Mobiliare e la cooperativa per il car-sharing Mobility.
Lo sapevate che....
Lo champagne è prodotto quasi esclusivamente da cooperative;
L'80% dell'olio di oliva spagnolo viene realizzato da cooperative;
75% dei prodotti del commercio equo sono fatti da piccoli produttori di cooperative;
Circa il 90% del parmigiano in Italia è prodotto ogni giorno da persone che fanno parte di una cooperativa.
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