Il prezzo del petrolio crolla ma la benzina rimane cara
Nel giro di poche settimane, il valore del greggio è crollato a livelli storici, finendo addirittura sottozero negli Stati uniti. Quale impatto avrà la discesa vertiginosa del petrolio sui mercati internazionali e porterà anche a un calo del prezzo della benzina per i consumatori?
Il prezzo del petrolio ha sempre conosciuto enormi alti e bassi negli ultimi decenni, ma il cedimento registrato in aprile resterà sicuramente negli annali della storia. Negli Stati uniti, alcuni giorni fa, i contratti con consegna a maggio del West Texas Intermediate (WTI) – il greggio che viene utilizzato come valore di riferimento per il mercato americano – sono scesi addirittura in territorio negativo. I venditori erano quindi disposti a pagare gli acquirenti per togliersi il petrolio dalle mani.
Un tonfo di alcune ore, limitato al complesso mercato a termine americano, che simboleggia però la crisi senza precedenti in cui è piombato l’oro nero. Se finora, come negli anni ’70, le crisi del petrolio erano generalmente legate a tagli della produzione e a impennate dei prezzi, questa volta i mercati sono saturi e produttori e commercianti non sanno più come stoccare il greggio in eccesso.
Le quotazioni del WTI e del Brent – che serve da riferimento per l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente – si situano in questi giorni tra i 15 e i 25 dollari al barile. Siamo quindi ben lontani dai prezzi registrati dal petrolio in questi ultimi anni.
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Il fabbisogno di greggio continua a crescere sul piano globale, ma i prezzi si sono già fissati a livelli piuttosto medi negli ultimi cinque anni, in seguito tra l’altro al forte aumento della produzione di petrolio di scisto negli Stati uniti – diventati dal 2017 il primo produttore mondiale di oro nero. La pandemia di coronavirus ha congelato la domanda in tempi estremamente rapidi da metà marzo, portando i mercati a saturazione.
Le misure introdotte in molti paesi per contenere la diffusione del virus hanno paralizzato nelle ultime settimane il traffico aereo, frenato i trasporti stradali e rallentato la produzione industriale. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, il consumo di petrolio è così sceso di quasi un terzo in aprile rispetto ai livelli dell’inizio dell’anno. Le cisterne per lo stoccaggio del greggio sono ormai al limite, ciò che ha costretto produttori e commercianti ad immagazzinare il greggio anche in petroliere, pipeline e container di ogni tipo.
A peggiorare la situazione è stata la guerra dei prezzi scoppiata tra Russia e Arabia saudita nella prima metà di marzo. La vertenza tra questi due grandi produttori sui volumi di estrazione ha innescato violente reazioni a catena sui mercati, trascinando i prezzi verso il basso. L’intesa trovata a inizio aprile, in seguito alle pressioni americane, è giunta quando fiumi di greggio si stavano ormai riversando su mercati non più in grado di assorbirlo. Per far risalire i prezzi, i principali paesi produttori hanno concordato tagli della produzione per quasi 10 milioni di barili al giorno a partire da maggio, ma continuano a strapparsi quote di mercato a colpi di sconti.
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Il calo del corso del greggio si ripercuoterà nelle prossime settimane anche sui prezzi di benzina, diesel, cherosene e altri derivati. Un effetto quindi positivo per i paesi importatori, soprattutto nell’ottica di alleviare l’impatto della crisi economica e rilanciare la crescita. Il prezzo di carburanti e combustibili influisce sul bilancio di molte economie domestiche e sulla redditività di numerosi settori industriali, come pure dei trasporti stradali, navali e aerei.
Vi sono però anche diverse ragioni per preoccuparsi. Il valore del petrolio rispecchia quasi sempre lo stato dell’economia, ma anche il grado di fiducia nell’evoluzione congiunturale. I prezzi attuali rafforzano in tal senso i timori di una profonda recessione di non breve durata. Il crollo del greggio avrà inoltre pesanti ripercussioni per diversi paesi produttori – come Venezuela, Messico o Algeria – che navigano già in una situazione economica alquanto precaria. E sta mettendo in ginocchio anche i produttori statunitensi di petrolio di scisto, che stentano già a sopravvivere con prezzi inferiori a 50 dollari il barile.
Un petrolio a prezzi stracciati rischia pure di rallentare la svolta verso le energie pulite. Negli ultimi anni, in diversi paesi europei le fonti rinnovabili erano diventate concorrenziali rispetto al petrolio, con un corso di 50 a 60 dollari al barile. I prezzi attuali del greggio e le ingenti spese pubbliche per il rilancio economico potrebbero indurre Stati e imprese a congelare, almeno a breve termine, gli investimenti nelle energie rinnovabili. D’altro canto, questo nuovo shock sui mercati petroliferi mostra ancora una volta la volatilità e la vulnerabilità delle energie fossili, ciò che potrebbe rafforzare la consapevolezza dell’importanza di una trasformazione energetica nei paesi che dispongono di sufficienti risorse finanziarie.
Il prezzo della benzina e del diesel è in calo già dall’inizio dell’anno, anticipando un po’ la crisi, ma non ha subito tagli drastici neppure negli ultimi due mesi. Le flessioni del corso del petrolio non si traducono rapidamente in prezzi più bassi, dato che i distributori rivendono carburanti acquistati settimane o mesi prima a valori più alti.
Ma anche per i prossimi tempi non vi sono da attendere grandi ribassi in Svizzera. Attualmente il prezzo della benzina è in media di 1,42 franchi al litro. Questo importo è determinato per oltre la metà da varie tasse – la maggior parte fisse – che fruttano introiti annuali di 5-6 miliardi di franchi all’anno allo Stato. Oltre un terzo del costo è legato alle spese di raffinazione, trasporto e distribuzione. La materia prima incide invece appena per il 15-20% sul prezzo finale.
Tenendo conto di queste componenti, non vi è quindi un grande margine di manovra per ritocchi verso il basso, mentre il prezzo della benzina può dilatarsi soprattutto verso l’alto – frenato tutt’al più da un calo della domanda. Negli ultimi 10 anni il litro di benzina è oscillato tra 1,40 e 1,80 franchi alle stazioni di rifornimento. Tasse piuttosto alte e la mancanza di un accesso al mare fanno della Svizzera uno dei paesi europei in cui il pieno è più caro: attualmente solo in Italia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Norvegia e Grecia i prezzi sono più alti.
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