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Per un lavoro dignitoso anche in Svizzera

I parlamentari socialisti Géraldine Savary e Christian Levrat si cimentano in una dimostrazione di scalpellini Keystone

I soldi pubblici non devono servire ad acquistare prodotti di qualsiasi forma moderna di schiavitù: con questo motto, è stata celebrata la Giornata mondiale per un lavoro dignitoso 2008. I sindacati svizzeri sottolineano che anche nel paese della "pace del lavoro" si devono rimboccare le maniche.

Mancava solo il calore. Il Soccorso operaio svizzero (SOS) martedì ha simbolicamente trasformato la Piazza federale di Berna in inferno dei lavori forzati, faticosi, pericolosi per la salute e pagati una miseria. La manifestazione era sostenuta dai sindacati e dalla sinistra.

Lo scopo era di attirare l’attenzione sulle condizioni di lavoro disumane in cui sono prodotti i blocchi di pietra provenienti dall’India utilizzati per i nostri marciapiedi, i palloni importati dal Pakistan con cui giocano i nostri figli, i tessuti acquistati in Cina usati per l’abbigliamento del personale dei nostri ospedali. La maggioranza delle vittime di questa situazione sono donne e bambini.

Le forniture acquistate dagli enti pubblici in Svizzera ammontano in media a 36 miliardi di franchi all’anno. Le istituzioni elvetiche sono dunque in posizione di forza per dettare una svolta.

“Non ci avevamo pensato”

Sul sito internet della campagna “NO allo sfruttamento grazie alle nostre tasse”, in corso da aprile, è disegnata una carta della Svizzera in cui sono segnalati i cantoni e i comuni dove la problematica degli acquisti pubblici equi è all’ordine del giorno.

Al momento ci sono una trentina di adesioni. In certi casi si è già deciso di non più comperare prodotti “dubbi”. In altri si è ancora allo stadio della petizione, della mozione o del progetto di regolamento.

“La maggior parte dei responsabili ai quali ci rivolgiamo rispondono che non ci avevano mai pensato”, osserva Christian Engeli, capo della comunicazione dell’SOS. In Svizzera “si è nettamente più progrediti nella presa di coscienza ecologica che in quella sociale”, aggiunge.

Ciò nonostante, i primi risultati sono giudicati incoraggianti. “A questo ritmo si può sperare in un cambiamento nel giro di qualche anno. Un tempo piuttosto rapido, considerato che si tratta di scelte politiche”.

Un processo di mutamento che potrebbe essere avviato dalla Confederazione. Il disegno di nuova legge federale sui mercati pubblici prevede infatti che i fornitori debbano rispettare almeno le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). Queste vietano il lavoro forzato, il lavoro minorile e ogni sorta di discriminazione.

Secondo Engeli, si tratta già di un bel progresso, anche se l’SOS avrebbe preferito un testo più esplicito. L’organizzazione spera ancora che il parlamento lo modifichi in questo senso.

Precariato anche in Svizzera

La Giornata internazionale per un lavoro dignitoso quest’anno si è svolta due giorni prima dell’inizio del congresso di Unia, che con i suoi circa 200mila soci è il più grande sindacato della Svizzera. L’organizzazione dei salariati interprofessionale ha colto l’occasione per inserire il tema all’ordine del giorno del congresso, mettendo però l’accento sulle condizioni di lavoro precarie in Svizzera.

In particolare Unia denuncia i metodi della catena di distribuzione tedesca Aldi. Stando al sindacato, giornate lavorative di 14 ore e lavoro su chiamata sono pratiche correnti presso il discounter, che in Svizzera ha aperto una cinquantina di filiali. Unia afferma pure che i dipendenti, in maggioranza donne, sono assunti al 50% ma devono essere disposti a lavorare a tempo pieno in qualsiasi momento.

“Lottiamo in diversi settori in cui il precariato è molto diffuso. Abbiamo appena firmato un contratto collettivo di lavoro (CCL) che dovrebbe proteggere il personale temporaneo e abbiamo formulato rivendicazioni per il personale domestico e per quello della vendita”, spiega la portavoce di Unia Anne Rubin.

In Svizzera quello della vendita è un ramo tradizionalmente poco sindacalizzato. D’altronde l’intero settore terziario è considerato un deserto sindacale per eccellenza. Gli sforzi profusi negli ultimi anni per cercare di organizzare i salariati di questo settore hanno finora dato scarsi frutti.

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Contratto collettivo di lavoro

Questo contenuto è stato pubblicato al Il contratto collettivo di lavoro (CCL) è un accordo tra datori di lavoro o associazioni di datori di lavoro di un determinato settore e associazioni di lavoratori. Queste convenzioni contengono disposizioni sulla stipulazione, il contenuto e la fine del contratto di lavoro individuale, nonché prescrizioni sui diritti e gli obblighi delle parti contraenti e sull’applicazione…

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Lottare per salvaguardare le conquiste

Ma l’estensione della protezione dei salariati a nuovi comparti professionali non è l’unica preoccupazione dei sindacati. Questi devono anche lottare per mantenere i diritti acquisiti, contro quella che Anne Rubin chiama “l’UDCizzazione” di parte del padronato (in riferimento all’Unione democratica di centro, il partito di destra nazional-conservatrice).

“Si assiste a un chiaro inasprimento della situazione, soprattutto nella Svizzera tedesca, dove certi imprenditori cominciano a rifiutare il partenariato sociale”, afferma la portavoce di Unia. L’esempio più eclatante è la disdetta unilaterale del contratto nazionale dell’edilizia da parte della Società svizzera degli impresari costruttori. Un atto che ha provocato un conflitto di diversi mesi nella costruzione, prima che le parti raggiungessero un’intesa di compromesso.

Questo braccio di ferro ha rappresentato un test per i sindacati. Infatti in media i dipendenti in Svizzera sono meno protetti dalla legge rispetto ai colleghi dei paesi europei. “Il diritto del lavoro è più normativo, più protettivo in Europa, mentre in Svizzera contempla solo disposizioni minime”, rammenta Anne Rubin. Perciò è importante disporre di buoni CCL.

swissinfo, Marc-André Miserez
(Traduzione dal francese di Sonia Fenazzi)

Unia ritiene sbagliato “spendere i miliardi dei contribuenti per rilevare i crediti scoperti delle banche”. Questo denaro deve invece essere iniettato nell’economia reale, ossia investito nelle infrastrutture pubbliche, nelle energie rinnovabili, nelle opere sociali. La Svizzera deve assolutamente attuare “una riconversione ecologica e socialmente sostenibile della propria economia”.

Il programma di politica economica di Unia prevede anche un taglio dei tassi direttori delle banche, investimenti pubblici che stimolino la congiuntura e un blocco degli “aumenti abusivi dei prezzi della corrente da parte dei baroni dell’elettricità”.

Il sindacato raccomanda pure di rivedere l’imposizione dei redditi dei top manager e degli utili aziendali. Sollecita inoltre aumenti consistenti delle buste paga dei lavoratori, per rafforzare il potere d’acquisto e quindi incentivare i consumi.

Il 19 luglio 1937, dopo uno sciopero di due mesi, i sindacati e il padronato del settore orologero firmano un contratto collettivo di lavoro (CCL), tramite il quale i primi si impegnano a non più indire uno sciopero e i secondi a non più ricorrere al “lock-out” (chiusura temporanea di un’azienda allo scopo di stroncare uno sciopero).

Questo CCL passerà alla storia come quello della “pace del lavoro”. Oggi se ne contano oltre 600 che regolano i rapporti di lavoro in diversi settori dell’economia svizzera.

Essi riguardano però solo poco più di un terzo di tutti i salariati. I rapporti di lavoro di quasi i due terzi sono regolati soltanto dalla legge, che i sindacati giudicano insufficiente.

Benché in Svizzera si tenda ancora a preferire il negoziato al confronto, le agitazioni non sono più molto rare nei casi di conflitti collettivi di lavoro. Dal 1999, il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione federale.

Unia è nata quattro anni fa dalla fusione dei Sindacati edilizia e industria (SEI), dell’industria, della costruzione e dei servizi (FLMO) e della Federazione svizzera dei lavoratori del commercio, dei trasporti e dell’alimentazione (FCTA).

Il sindacato tiene, dal 9 all’11 ottobre a Lugano, il suo primo congresso ordinario dopo quello di fondazione a Basilea nell’ottobre 2004.

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