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“Contadini sovrani – cittadini sotto tutela”

Redazione Swissinfo

“L’articolo costituzionale proposto cementifica l’attuale politica agricola, che è focalizzata sui produttori”, afferma il senatore zurighese Ruedi Noser. Secondo il rappresentante del Partito liberale radicale, in questo modo si permetterà inoltre ai contadini di chiedere ancora più soldi allo Stato.

Provi a calarsi nei panni di un rappresentante che difende gli interessi di un settore economico a Berna. Da oltre vent’anni tale settore è riuscito a far approvare quasi tutte le sue richieste, garantendo così a ogni azienda un sostegno finanziario diretto e indiretto superiore a 100 000 franchi. Ora provi a immaginarsi che questo settore inoltri un’iniziativa popolare. Un’iniziativa – stando ai rappresentanti del settore – che non comporterà alcuna conseguenza di tipo giuridico se verrà approvata dagli aventi diritto di voto. Tuttavia questa iniziativa presenta alcuni grossolani errori. Visto che l’associazione che Lei rappresenta gode di una solida maggioranza in parlamento, questi grossolani errori vengono corretti di proposito e l’oggetto viene riproposto sotto forma di controprogetto. 

Il controprogetto – come lo è l’iniziativa – sono semplicemente una ripetizione di ciò che già c’è scritto nella Costituzione federale. E così il controprogetto si sconfessa da sé. Si tratta di una farsa con l’unico obiettivo di permettere all’Unione dei contadini di salvare la faccia e di ritirare la sua iniziativa. Se è davvero così, allora ogni cittadino ragionevole dovrebbe chiedere a lei quale rappresentante di un settore: quale fine sta perseguendo? Per inoltrare un’iniziativa e condurre una campagna in vista di una votazione popolare si devono spendere un sacco di soldi; all’incirca 10 milioni di franchi. E tutto ciò senza che il suo settore ne possa trarre profitto?

Ruedi Noser
Il rappresentante del Partito liberale radicale Ruedi Noser è stato eletto nella Camera dei Cantoni nel 2015. Dal 2003 fino al 2015 ha fatto parte della Camera del popolo. L’ingegnere elettrico dirige assieme al fratello una ditta di informatica. Il gruppo Noser impiega 450 collaboratori in Svizzera e in altri paesi. Keystone

Ci sono tre chiari motivi: prima di tutto il settore, ossia l’Unione dei contadini, ha evidentemente troppi soldi, altrimenti non si potrebbe certo permettere una corsa inutile e tanto cara. In secondo luogo, l’associazione vuole presentarsi unita anche se al suo interno è divisa. Infatti, alcune associazioni cantonali non erano per nulla contente della politica agricola 2014-2017 e volevano lanciare un referendum. Per tenerle tranquille i vertici dell’associazione hanno loro promesso questa iniziativa priva di contenuti. Alcune sezioni hanno però intuito quali erano le intenzioni del presidente dell’Unione dei contadini. E così sotto la superficie c’è un gran fermento. 

Queste due spiegazioni non devono preoccupare ulteriormente gli aventi diritto di voto. È il terzo motivo, celato dietro al testo dell’iniziativa, che li deve invece mettere in allarme. Con questa votazione, l’Unione dei contadini vuole addirittura assumere da sola il comando della politica agricola della Svizzera. In sostanza approvando questo oggetto diamo carta bianca all’Unione dei contadini che si rifarà al voto e alla volontà popolare e che pretenderà da parte del parlamento l’approvazione di tutte le sue richieste e dei rispettivi contributi finanziari. 

La politica agricola si trasformerà quindi in una dimostrazione di forza dell’Unione dei contadini. Diventerà perciò impossibile distribuire i soldi della Confederazione in maniera equilibrata e orientata alle necessità, una situazione che impedirà di attenuare il cambiamento strutturale. Invece si continuerà a distribuire denaro statale, affinché tutto rimanga come prima. 

È uno stato di cose che produce elevati costi per i contribuenti, prezzi maggiorati per i consumatori e più immissioni causate dall’agricoltura per la popolazione. Un’iniziativa simile, che non è nient’altro che una dimostrazione di forza dei contadini, va respinta in modo netto.

Tanto più che la politica agricola voluta dall’Unione dei contadini è fallimentare. Due cifre lo dimostrano. Nonostante la politica agricola costi ai cittadini oltre 100 000 franchi per azienda, l’entrata media annuale di un contadino è di soli circa 44 000 franchi. Paradossalmente, l’Unione dei contadini si impegna quindi solo di facciata unicamente per le contadine e i contadini, mentre invece difende in ugual misura gli interessi dell’industria alimentare o di vari settori che operano all’inizio e alla fine della filiera di produzione. Ed è proprio lì che vanno a finire buona parte dei soldi dei contribuenti. 

Nel corso degli anni ciò ha prodotto un sistema assurdo che impedisce ai contadini di rispondere in maniera rapida e adeguata alle richieste dei consumatori. Spesso gli agricoltori sono legati alle catene di produzione, catene che limitano il loro spazio di manovra e che precludono loro la possibilità di offrire in maniera indipendente nuovi prodotti ai consumatori, vietando loro di realizzare dei buoni profitti. 

Altri sviluppi

Ecco due esempi concreti per illustrare questa situazione: un giovane contadino segue una nuova tendenza alimentare e semina patate dolci. Visto il successo del suo prodotto vuole aumentare la superficie coltivata. Nessun contadino vuole però affidargli del terreno anche se con la produzione di patate dolci genererebbe un fatturato migliore. Da una parte, i suoi colleghi non gli cedono la terra poiché i pagamenti diretti sono alti a sufficienza da permettere loro di coltivare gli appezzamenti in maniera estensiva e di svolgere nel contempo un’attività professionale accessoria. 

D’altra parte, stando alla legge sull’agricoltura vale il principio secondo cui, in determinate circostanze, un’azienda agricola deve continuare la sua attività anche se scrive cifre rosse. Così, per esempio, in alcuni cantoni le piccole fattorie di circa 15 ettari di superficie nonostante non siano redditizie devono continuare la loro attività poiché vengono considerate aziende agricole a conduzione familiare. In questo modo si impedisce di proposito il cambiamento strutturale che sarebbe invece necessario da un punto di vista economico. Queste due situazioni non permettono al giovane agricoltore di coltivare ulteriori terreni e di proporre sul mercato prodotti nuovi, innovativi e richiesti. 

Un secondo esempio ci arriva dal mercato del formaggio. È completamente liberalizzato ed è in fondo un modello di successo. La Svizzera produce circa 180 000 tonnellate di formaggio all’anno, di cui un terzo viene esportato e genera entrate pari a quasi 600 milioni di franchi. La Svizzera riesce quindi a essere concorrenziale in un mercato liberalizzato, nonostante la forza del franco, i costi delle materie prime e i salari elevati. 

È un’evoluzione che tuttavia non piace all’Unione dei contadini. Stando a quest’ultima, a causa della liberalizzazione del mercato le importazioni hanno raggiunto circa 350 milioni di franchi. È un argomento però poco convincente. Infatti importiamo più formaggio solo perché la produzione interna non risponde adeguatamente alle richieste dei consumatori. Negli scaffali mancano infatti i formaggi a pasta molle elvetici. In Svizzera produciamo soprattutto formaggi a pasta dura o semi dura, mentre quelli a pasta molle sono solo il 3 per cento della produzione totale. Perché non produciamo più formaggi a pasta molle? Semplicemente perché i produttori di formaggio possono contare su misure di sostegno del mercato – vedi sovvenzioni – che hanno loro permesso di trascurare per decenni i desideri e le tendenze dei consumatori sul mercato interno. Invece di reagire alle crescenti richieste di formaggio a pasta molle dei consumatori, i produttori hanno continuato a puntare sul formaggio a pasta dura. 

Non sorprende quindi che le importazioni di formaggio a pasta molle siano aumentate. Il sistema agricolo elvetico gode di un grande sostegno economico e per questo motivo è diventato molto pigro e lento. Di rado vengono quindi proposti prodotti nuovi sul mercato o solo con ampio ritardo. Ora si vuole consolidare questo sistema con un articolo costituzionale. Per l’Unione dei contadini, la sovranità alimentare significa che il consumatore deve mangiare ciò che i contadini svizzeri producono – ad essere sovrani sono tutt’al più gli agricoltori, certo non i consumatori. 

L’articolo costituzionale proposto cementifica l’attuale politica agricola, che è focalizzata sui produttori. Inoltre dà ai contadini uno strumento affinché possano chiedere ancora più soldi allo Stato. Per i consumatori ciò comporterà un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Già oggi, in Svizzera gli alimenti costano oltre il 70 per cento in più rispetto ai Paesi europei. La Svizzera è più cara della Norvegia o dell’Islanda, Stato insulare. Indipendentemente dall’esito del voto, la situazione dei contadini cambierà drasticamente; è uno stato di cose che il settore non può ignorare. Naturalmente ci sono consumatori disposti a pagare di più, molto di più, per un prodotto regionale. Ma tantissima gente si reca all’estero a fare la spesa. Già oggi gli svizzeri acquistano prodotti nei Paesi confinanti per una cifra pari al fatturato di un grande distributore al dettaglio. In questo modo l’agricoltura causa la perdita di 20 000 posti di lavoro in Svizzera, che vengono invece creati all’estero. Una situazione destinata a peggiorare. 

Sarebbe da ingenui credere che l’economia elvetica – che dipende dall’apertura dei mercati e che deve essere concorrenziale con l’estero – possa proteggere completamente la sua agricoltura senza subire dei danni. Ma è proprio ciò che, con la sua iniziativa, l’Unione dei contadini vuole far credere agli agricoltori. Stando a quest’ultima, il cambiamento strutturale sarebbe il peggiore nemico dei contadini e da cui solo approvando l’iniziativa è possibile difendersi. Un’associazione lungimirante sosterrebbe invece le contadine e i contadini affinché siano in grado di affrontare in modo efficace questo cambiamento.

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