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Quando le renne responsabilizzano un’azienda

Sami
Il territorio natio del popolo Sami si estende tra Norvegia, Finlandia, Svezia e Russia. Credit: Hemis / Alamy Stock Photo

Includere una clausola rescissoria nei contratti se i diritti umani sono violati da una società partner: è il principio adottato dall'azienda svizzera BKW, in seguito a un controverso progetto di parco eolico in Norvegia, sul territorio della popolazione Sami. Ciò potrebbe mettere più pressione sulle società elvetiche affinché agiscano in modo più responsabile quando investono all'estero.

L’impresa ha accettato di rivedere il suo codice di condotta e di rafforzare la diligenza dovuta nei progetti di terzi. In particolare, BKW ha accettato di introdurre nei contratti una clausola di rescissione, che permette all’azienda di annullarli in qualsiasi momento qualora emergano violazioni dei diritti umani o nel caso in cui l’associata non affronti il caso in modo soddisfacente.

“BKW garantirà che i partner contrattuali si concentrino sul rispetto dei diritti umani nei progetti di impianti energetici e introdurrà come ultima ratio l’opzione di uscire dal progetto”, ha scritto l’azienda il 26 agosto.

La decisione di introdurre la clausola potrebbe rappresentare un precedente importante nel settore. Benché l’impegno di BKW arrivi troppo tardi per aiutare allevatori e allevatrici di renne, potrebbe servire come modello per le aziende elvetiche che intendono investire o associarsi in progetti infrastrutturali ed energetici all’estero.

“L’APM si felicita di questi primi passi verso una maggiore responsabilità delle imprese, un segnale chiaro per l’intero settore energetico, e si aspetta che BKW utilizzi coerentemente questi nuovi strumenti”, ha commentato la ong.

Sami e renna davanti a edificio con logo BKW
Attiviste e attivisti sottolineano il loro punto di vista con una renna presso la sede di BKW a Berna nel 2018. © Keystone / Anthony Anex

Energia verde contro metodi di sussistenza tradizionali

Il popolo Sami in Norvegia ha combattuto per anni contro il progetto eolico in cui ha investito BKW che distruggerebbe a suo dire uno stile di vita. Storheia, sito del più grande tra i sei parchi eolici, è un importante pascolo invernale per le mandrie di renne della comunità Sami. BKW ha una partecipazione nella Nordic Wind Power DA – un consorzio di investitori fondato da Credit Suisse Energy Infrastructures Partners – che a sua volta possiede una quota del 40% nella joint venture Fosen Wind DA, la quale sta attuando il progetto nella penisola di Fosen, nella Norvegia occidentale.

Nel gennaio 2020, APM ha presentato le sue rimostranze contro BKW tramite il Punto di contatto nazionale elvetico presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), incaricato di promuovere le linee guida dell’OCSE in materia di business responsabile. APM ritiene che la perdita di questo territorio potrebbe obbligare gli ultimi allevatori e allevatrici Sami a rinunciare al loro tradizionale metodo di sussistenza, dando così un colpo mortale alla loro cultura.

Nonostante una procedura legale ancora pendente portata avanti da una parte della comunità Sami, il progetto è stato approvato e il parco eolico di Storheia è completamente operativo dallo scorso febbraio. La cerimonia di inaugurazione per l’ultimo dei sei parchi eolici si è tenuta il 12 agosto, anche se la procedura è attualmente al vaglio della corte suprema norvegese.

Problema di responsabilità

Il caso mette di nuovo in luce le ripetute critiche alle imprese e alle banche svizzere che offrono i loro servizi ad aziende accusate di violazioni dei diritti umani o di danni ambientali. Si parla ad esempio di legami con progetti controversi che hanno un impatto sui popoli autoctoni e su ecosistemi naturali come l’oleodotto Dakota Access Pipeline, negli Stati Uniti, o le esplorazioni petrolifere nell’Amazzonia peruviana ed ecuadoriana.   

Nella maggior parte dei casi, le aziende svizzere non investono direttamente nei progetti, ma in imprese terze, come è stato il caso per BKW nella penisola di Fosen. Questo sistema lascia ampiamente aperta la questione del comportamento corretto o meno dei terzi.

In una situazione ideale, le banche e le aziende dovrebbero innanzitutto dare prova di diligenza dovuta prima di stipulare simili partenariati. Tuttavia, gli sviluppi dannosi di un progetto potrebbero non essere evidenti fin dall’inizio.

Un’altra opzione è di richiedere agli associati di attenersi alle linee guida nazionali o internazionali nell’ambito dei diritti umani e dell’ambiente. Anche in questo modo, le imprese possono fare poco per rescindere gli accordi qualora emergano violazioni.

Per la società civile e le comunità colpite è difficile fare in modo che le aziende svizzere rendano conto del proprio operato all’estero. Ancora di più quando terze parti, come i fornitori, sono coinvolte. Un tentativo di introdurre una responsabilità giuridica – l’iniziativa “Per imprese responsabili” – è stata respinta di misura alle urne dal popolo elvetico lo scorso anno. Il governo sta lavorando a un’alternativa, ma è probabile che si dimostri più accomodante con le aziende.

A causa delle possibilità limitate di ricorrere alle vie legali, le persone colpite e le ong fanno capo spesso al Punto di contatto nazionale svizzero presso l’OCSE che offre un servizio di mediazione per discutere tra le due parti. Tuttavia, non può prescrivere soluzioni o imporre di agire in un determinato modo.

Resta dunque da vedere se BKW manterrà le promesse. In ogni caso, l’accordo è un grande passo verso il riconoscimento delle responsabilità legate agli investimenti e alle collaborazioni all’estero.   

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