Dipendenza dalla Cina, una minaccia per la Svizzera
Markus Seiler, capo del Servizio delle attività informative della Confederazione, presenta il rapporto sulla sicurezza 2016.
Keystone
Nel loro rapporto pubblicato il 2 maggio, i servizi segreti svizzeri non hanno solo messo in guardia sul pericolo jihadista, ma anche sulle potenziali minacce provenienti dall’Estremo Oriente. La Cina cerca infatti di accrescere il suo influsso in Svizzera.
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Potential jihadis monitored as fewer leave Switzerland
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Il rapportoCollegamento esterno del Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) è stato pubblicato appena un mese dopo l’offensiva di charme del presidente della Confederazione Johann Schneider-Ammann in Cina, il terzo partner commerciale della Svizzera, dopo Unione Europea e Stati Uniti, e con cui Berna ha sottoscritto un trattato di libero scambio.
Il documento pubblicato dal SIC sottolinea l’interesse crescente da parte di investitori e aziende cinesi per il settore industriale e finanziario elvetico, nonché per società particolarmente innovative. A inizio marzo, il colosso cinese ChemChina ha acquisito per 43,7 miliardi di franchi la multinazionale basilese Syngenta (la transazione deve ancora ottenere il nullaosta delle autorità). E in aprile il gruppo Gategroup – specializzato nel catering per l’aviazione – è stato rilevato da un’azienda cinese.
La situazione di sempre maggior dipendenza dalla crescita cinese potrebbe però avere conseguenze negative in caso di crisi monetaria ed economica della Cina, mette in guardia il SIC. Pressioni economiche e politiche sull’Unione Europea potrebbero inoltre avere ripercussioni negative anche per la Svizzera.
Secondo il SIC, oltre all’influsso economico la Cina cerca anche di esercitare una crescente attrattiva ideologica attraverso gli istituti confuciani, due dei quali sono già attivi in Svizzera, a Ginevra e Basilea. Queste scuole fanno parte di “una strategia globale per accrescere la propria influenza”, ha dichiarato all’Aargauer Zeitung Markus Seiler, responsabile del SIC, che ha definito la Cina un “attore poco trasparente”.
“Dipendenza economica”
Per la Svizzera, “il pericolo è di diventare economicamente sempre più dipendente dalla Cina”, si legge nel commento dello stesso giornale. “Acquisendo aziende svizzere, la Cina cerca di appropriarsi di conoscenze. Se la vendita della multinazionale dell’agrochimica Syngenta andrà in porto, il destino di migliaia di posti di lavoro sarà in mani cinesi. Inversamente, gli investitori svizzeri difficilmente possono fare shopping in Cina. La politica svizzera deve essere più vigile sulla protezione della piazza produttiva e non tanto sull’apertura di strutture come gli istituti Confucio”.
Nella Svizzera francese, il giornale Le Matin titola dal canto suo: “La Svizzera teme il pericolo giallo”. “La Cina fa sempre più parte della realtà svizzera”, si legge nell’editoriale. “Ciò non deve però impedire di mantenere una distanza critica nei confronti di un paese la cui cultura è agli antipodi della nostra per quanto riguarda diritti umani, libertà individuale o Stato di diritto”.
Censura
L’anno scorso, rileva il SIC, la Cina ha inasprito la repressione nei confronti della dissidenza. “Oltre a procedere con metodi draconiani contro la corruzione e le divergenze in seno al partito, l’attuale dirigenza cinese si oppone al sorgere di una società civile critica nei confronti del partito”, scrive il SIC. E le autorità perseguono “una forte politica di indottrinamento ideologico e di isolamento della popolazione da influssi stranieri”.
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I benefici dell’accordo con la Cina si fanno attendere
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Un anno dopo la sua entrata in vigore, l’accordo di libero scambio tra Svizzera e Cina sembra poter mantenere le sue promesse. Ma di fronte a un’economia cinese in rallentamento e in mutazione, gli esportatori elvetici faticano a prevedere i benefici supplementari che potranno trarre dall’enorme mercato.
Tra il primo luglio 2014 e l’aprile di quest’anno, le esportazioni svizzere verso la Cina sono aumentate del 3,5%. Le merci cinesi importate in Svizzera hanno dal canto loro segnato un incremento del 5,7%. Questa crescita è superiore a quella delle esportazioni (+1,7%) e delle importazioni svizzere (+2,6%) a livello globale, indica la Segreteria di Stato dell’economia (SECO).
In che misura questo incremento è da imputare all’accordo di libero scambio (ALS) tra Berna e Pechino, che necessiterà ancora di diversi anni prima di diventare pienamente operativo?
«Per ora, l’impatto principale è psicologico», risponde a swissinfo.ch Nicolas Musy, cofondatore di China Integrated, un’agenzia di consulenza con sede a Shanghai. «I dazi delle merci che più contano per la Svizzera diminuiranno lentamente. Ci potrebbero volere dieci anni», prevede.
«L’ALS ha però avuto un impatto immediato per ciò che concerne le dinamiche nelle relazioni commerciali tra i due paesi. Le aziende svizzere e cinesi hanno un incentivo ad accrescere ulteriormente la loro attività», puntualizza Nicolas Musy.
In Svizzera, a beneficiare maggiormente delle riduzioni dei dazi doganali dovrebbero essere i settori delle macchine, degli strumenti di precisione, dell’orologeria, della farmaceutica e della chimica.
Ci sono tuttavia diversi aspetti da risolvere prima che le esportazioni di beni e servizi verso la Cina aumentino del 63% rispetto al 2010, per un risparmio annuo di 290 milioni di franchi, come pronosticava uno studio svizzero di fattibilità realizzato cinque anni fa.
A questo si aggiunge l’incertezza sul futuro andamento dell’economia cinese, che in seguito al rallentamento della crescita del Pil si trova in una fase di profonda trasformazione. L’intenzione del governo di Pechino è di passare da una crescita guidata dagli investimenti statali a un’economia basata sul settore privato e sui consumi.
L’anno scorso, la seconda economia del mondo è cresciuta del 7,4%, il tasso più basso dal 1990. L’espansione dovrebbe ulteriormente ridursi quest’anno e attestarsi al 7%.
Vincent Affolter, responsabile del mercato Asia-Pacifico del fabbricante svizzero di ingranaggi Affolter Group, rileva che le ordinazioni dalla Cina sono in calo rispetto all’anno scorso. Le aziende, spiega, preferiscono attendere gli effetti delle riforme.
«Le carte sono state ridistribuite e nessuno sa se il vincitore sarà il settore privato o quello pubblico», afferma Affolter. «Ho la sensazione che le imprese statali credano che le cose non cambieranno. La Cina sembra però seria nella sua intenzione di portare la sua economia su un nuovo livello. Potrebbero emergere opportunità per il settore privato, ma c’è un certo sentimento di insicurezza».
«La strada per riequilibrare l’economia cinese sarà probabilmente lunga e difficile», ha pronosticato a inizio giugno Kamel Mellahi, professore di strategia d’impresa alla Warwick Business School.
La ristrutturazione dell’economia cinese potrebbe però portare molti benefici alle aziende svizzere. «Nel 2008, le aziende che ho visitato disponevano per lo più di vecchi macchinari. Questo sta ora cambiando», indica Vincent Affolter. «È l’unico grande mercato nel mondo che sta passando dai macchinari superati a processi manifatturieri automatizzati».
Lotta alla corruzione
Una seconda ondata di riforme in Cina - la lotta alla corruzione e ai regali ai funzionari - sta gravando sul settore dei beni di lusso e dell’orologeria. Un quarto di tutte le esportazioni orologiere svizzere sono dirette in Cina o a Hong Kong, dove le minori tasse sui prodotti di lusso attirano consumatori dal continente.
L’anno scorso, le esportazioni orologiere svizzere verso la Cina sono scese del 3,6% (-27% negli ultimi due mesi del 2014) e sono rimaste stabili in direzione di Hong Kong. I primi cinque mesi di quest’anno si sono dimostrati volatili, con una riduzione del 19,2% a Hong Kong e un incremento dell’8,4% in Cina.
Secondo Nicolas Musy, l’ALS non avrà molte ripercussioni sull’esportazione di orologi svizzeri verso la Cina continentale. L’accordo prevede la riduzione di alcuni dazi, ma non dice nulla sulla tassa locale applicata sui beni di lusso. Per la Federazione orologiera svizzera, la Cina rimarrà comunque un mercato prioritario a lungo termine. Il suo auspicio è che in futuro si possa negoziare un abbassamento della tassa sul lusso.
Se l’ALS non ha ancora mostrato i suoi effetti positivi è anche perché l’adozione di nuove procedure burocratiche necessita di tempo. L’accordo è complesso e verrà attuato in modo graduale nel corso del prossimo decennio.
A creare problemi, ad esempio, sono state le imbarcazioni partite dai porti europei e che trasportavano merci svizzeri e dell’Unione europea. I responsabili svizzeri e cinesi hanno dovuto ridurre i ritardi causati da ispettori doganali che tentavano di stabilire l’origine dei prodotti elvetici.
Simon Evenett, esperto di commercio internazionale all’Università di San Gallo, ritiene che i vantaggi non tariffali, come appunto delle procedure doganali più rapide, siano stati «lodati eccessivamente» dai sostenitori dell’ALS. «La Cina ha predisposto delle procedure per permettere agli esportatori svizzeri di esporre le proprie lamentele. Ma è ancora da vedere se questo sistema si rivelerà davvero efficace», dice a swissinfo.ch.
Ciononostante, l’accordo di libero scambio tra Svizzera e Cina porterà alcuni benefici per gli esportatori svizzeri, riconosce Simon Evenett. «Si sta andando nella giusta direzione, ma non tutti sono contenti della velocità con cui si avanza», dice.
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