Mark Pieth: Regolamentazione del traffico marittimo, “la Svizzera si finge morta”
La Svizzera, che non ha sbocchi sul mare, è un importante centro per la navigazione e, di conseguenza, una potenza marittima. L'esperto di diritto e di lotta alla corruzione Mark Pieth e l'avvocata e docente Kathrin Betz spiegano come ciò sia possibile e perché il Paese dovrebbe regolamentare meglio questo settore.
Più del 90% di tutte le merci è trasportato via mare e più di 1,6 milioni di persone nel mondo lavorano su circa 90’000 navi. La Svizzera svolge un ruolo importante in questo settore come centro per i flussi globali di merci e come sede per le compagnie di navigazione attive a livello internazionale.
L’esperto di diritto e di lotta alla corruzione Mark Pieth e l’avvocata e docente Kathrin Betz spiegano in un nuovo libro, “Seefahrtsnation SchweizCollegamento esterno” (“Svizzera, Paese di navigazione”), come un Paese senza sbocchi sul mare né tradizione marittima sia diventato una potenza marittima. Una posizione che comporta anche dei rischi per la Confederazione.
SWI swissinfo.ch: Nel vostro libro scrivete che la Svizzera è un gigante della navigazione. Com’è possibile per un Paese senza sbocchi sul mare?
Mark Pieth: Solo poche navi battono bandiera elvetica. Si tratta di un retaggio della Seconda guerra mondiale, quando la Svizzera consegnava rifornimenti d’emergenza. In generale, comunque, il Paese svolge un ruolo più importante di quanto si pensi nei trasporti marittimi. Quando parliamo di gigante della navigazione, ci riferiamo in primo luogo alle aziende domiciliate in Svizzera, soprattutto a Ginevra e Zugo, ma anche nel Canton Ticino.
Queste compagnie agiscono principalmente come operatori: spesso noleggiano navi e le gestiscono dalla Svizzera. A seconda del metodo di calcolo, si arriva a contare rapidamente centinaia, se non migliaia di navi operate dalla Confederazione. Secondo il Consiglio federale, la Svizzera è al quarto posto in Europa – davanti a Paesi Bassi e Norvegia e alla pari con l’Inghilterra, la nazione della navigazione per eccellenza. Ufficialmente, siamo al nono posto a livello mondiale.
Ma c’è chi la vede diversamente, perché se includiamo anche i commercianti di materie prime che hanno le proprie società di navigazione, come Gunvor, raggiungiamo le 2’000-2’600 navi, il che farebbe della Svizzera il Paese numero due al mondo.
Di per sé, questo non è né un bene né un male, ma una tale esposizione comporta anche dei rischi. Riteniamo che le autorità svizzere siano piuttosto cieche su questo aspetto.
Quali sono gli aspetti più problematici dei trasporti marittimi internazionali?
Mark Pieth: Il diritto del lavoro presenta notevoli lacune che vengono affrontate molto lentamente a livello internazionale. È il caso, ad esempio, della pesca di altura, in cui si constatano le peggiori condizioni di lavoro. Anche il problema ambientale è d’attualità, compresa la rottamazione inadeguata delle navi in disuso.
Non bisogna inoltre dimenticare che i trasporti marittimi sono ancora rischiosi, con incidenti che si verificano di continuo. È questo il motivo che ci ha spinto a scrivere il libro. Non siamo marinai, ma specialisti della regolamentazione. Secondo noi, le regole sono insufficienti in molte aree e, quando esistono, spesso non sono applicate correttamente. Quando una nave supera la “Zona delle 12 miglia”, cioè oltre il territorio marittimo di uno Stato costiero, tutto diventa lecito.
Nel libro, descrivete la teoria dei “cluster” (aggregati) che ha permesso alla Svizzera di occupare questa particolare posizione. Ce la può riassumere?
Mark Pieth: Con il termine “cluster” intendiamo la presenza di ambiti industriali affini, necessari per diventare una potenza nell’ambito dei trasporti marittimi. Per esempio, il settore del commercio di materie prime, in cui la Svizzera è l’indiscusso numero uno. Ma anche il settore finanziario, tradizionalmente forte, e in particolare il finanziamento specializzato nel campo delle materie prime, in cui la Svizzera ha un ruolo importante.
A ciò si aggiungono aspetti meno noti. Per esempio, le società di certificazione come la Société Générale de Surveillance. Ma anche le assicurazioni e le riassicurazioni rappresentano degli attori di rilievo. Inoltre, la Svizzera è da tempo un importante centro logistico, pensiamo a Kühne + Nagel, Danzas, etc. Infine, nella Confederazione troviamo studi legali, fiduciarie, società di revisione, di consulenza fiscale e broker di ogni tipo con esperienza a livello internazionale.
Si ha l’impressione che il settore sia poco trasparente, quasi misterioso. Quest’impressione è ingannevole?
Kathrin Betz: Nell’ambito della proprietà il settore è sicuramente poco trasparente. I titolari o le titolari delle navi sono iscritti in un registro pubblico. Ma spesso si tratta di società off-shore a “nave singola”, che possiedono cioè solo una nave. Non si sa chi le possegga effettivamente.
Esiste un database in cui la vera proprietà dovrebbe essere visibile. L’abbiamo utilizzato una volta, ma i dettagli indicavano: “unknown” (“sconosciuto”). Per inciso, si trattava della nave che nel 2020 ha trasportato a Beirut il nitrato di ammonio all’origine dell’esplosione che ha distrutto l’area portuale e ucciso oltre 200 persone.
Perché una tale mancanza di trasparenza?
Mark Pieth: Le ipotesi sono molte. La più banale è che qualcuno investa nelle navi per evadere il fisco o per riciclare del denaro. O, ancora, per sfuggire alle responsabilità nel caso di incidenti. Alcuni catastrofici avvenuti in passato hanno provocato gravi danni ambientali, ma la proprietà è rimasta sconosciuta. Le ragioni sono perciò diverse e la maggior parte di esse non è molto etica. A proposito, è sorprendente constatare quante piste portino in Svizzera.
Kathrin Betz: Un aspetto meno problematico potrebbe essere riscontrato nell’ambito dei finanziamenti. Quando una di queste società a nave singola è proprietaria di un’imbarcazione, l’operatore può affittarla. In questo modo, attraverso il leasing, i costi per l’acquisto di una nuova nave possono essere distribuiti nel tempo. In ogni caso, ciò non cambia il fatto che non si sappia chi ci sia dietro la compagnia e a chi appartenga effettivamente la nave.
Cosa dovrebbe fare la Svizzera in termini di regolamentazione?
Mark Pieth: La Svizzera si finge morta quando si tratta di regolamentazione, a meno che non siano in gioco navi che battono bandiera elvetica. Anche in questo caso, però, le cose spesso non quadrano. Nel libro si cita l’esempio della Thorko Basilisk che ha trasportato armi serbe in Arabia Saudita, acquistate per la guerra in Yemen. Il Consiglio federale ha affermato che la Svizzera non c’entra. Tuttavia, la consegna di armi in zone di guerra da territorio svizzero, quindi da navi battenti bandiera elvetica, di principio sarebbe vietata.
Riteniamo che l’atteggiamento del Governo svizzero sia estremamente cinico. Dice semplicemente: anche se gli armatori sono in Svizzera, non ci interessa. E se gli armatori registrano le loro navi in Svizzera, ciò che trasportano è solo affare loro.
Kathrin Betz: Nel settore delle crociere fluviali – in cui la Svizzera ha un ruolo di peso – la situazione giuridica è ancora più complicata, poiché non si applica il solito principio della bandiera. Specialmente in termini di diritto del lavoro, il groviglio di regole applicabili è tale che è facile aggirare le norme.
La pratica delle bandiere di comodo è controversa. Chi ne trae beneficio?
Mark Pieth: Sicuramente non gli Stati di bandiera. La maggior parte di loro si limita a fornire la bandiera e a riscuotere le royalty dagli operatori. Prendiamo l’esempio della Liberia: l’intera attività è gestita dalla Virginia, negli Stati Uniti. Lì si pagano delle royalty per utilizzare la bandiera liberiana, mentre il Paese stesso non ha un’autorità marittima credibile. Questo complica le cose perché, di conseguenza, le cosiddette società di classificazione ricoprono funzioni di sovranità che sarebbero appannaggio esclusivo degli Stati.
La Confederazione intende formulare una nuova strategia marittima nazionale che dovrebbe fornire “una visione d’insieme degli interessi della Svizzera nel settore marittimo”. Cosa ne pensate?
Mark Pieth: Da un lato, questa proposta è legata al fiasco delle garanzie statali per le navi svizzere. Gli armatori svizzeri avevano ricevuto garanzie finanziarie, a volte su basi pretestuose. Quando l’industria internazionale dei trasporti marittimi è sprofondata dopo la crisi finanziaria del 2008, anche loro sono andati a picco – e i contribuenti svizzeri hanno dovuto pagare una fattura di diverse centinaia di milioni di franchi.
Dall’altro lato, la nuova strategia ha a che fare con la cosiddetta tassa sul tonnellaggio che si vuole introdurre in molti Stati. Si tratta in pratica di un massiccio sgravio fiscale. Bisogna chiedersi: perché per questa industria in particolare? In fin dei conti, tutto si riduce al sapere se abbiamo davvero bisogno della bandiera svizzera.
Kathrin Betz: Dietro la tassa sul tonnellaggio in molti Paesi, specialmente in Europa, c’è l’auspicio di riportare le flotte sotto la propria bandiera. Questo, perlomeno, le assoggetterebbe alla regolamentazione europea. Ma il problema in Svizzera è che la comprensione del trasporto marittimo, nella politica e nell’amministrazione è scarsa. L’industria può approfittarne. Se non altro, la proposta ha il merito di far discutere pubblicamente della questione.
Ciò è vero per molti settori industriali con un orientamento internazionale. La ragione è forse il modello di economia liberale che, combinato con le strutture federaliste, produce una mancanza di trasparenza in interi settori economici?
Mark Pieth: La gente non ha idea di come sia utilizzato il territorio svizzero e lo vediamo chiaramente ora con la guerra in Ucraina: improvvisamente le persone capiscono che dietro le belle aiuole fiorite di Zugo, l’oligarchia russa gestisce le proprie compagnie in modo discutibile. Ci si sta svegliando solo ora. Altre aree problematiche, come il settore delle materie prime e il mercato finanziario, sono invece riconosciute come tali da tempo.
Penso inoltre che le autorità di controllo siano oberate lavoro. E quando viene formulata la necessità di una regolamentazione, questa viene respinta in Parlamento. Il miglior esempio è lo sport, dove non è successo nulla dopo lo scandalo Fifa. L’ingenuità del pubblico e il massiccio lobbismo di varie industrie sono un mix preoccupante.
Tuttavia, qualche segnale di cambiamento c’è. L’iniziativa sulla responsabilità delle imprese, che è stata quasi approvata dal popolo svizzero, e il successo dell’iniziativa sull’estensione del divieto della pubblicità sul tabacco mostrano che il pubblico è sempre più critico.
Che influenza avrà la guerra in Ucraina sul settore della navigazione svizzero?
Mark Pieth: Il punto è sapere fino a che punto le sanzioni contro la Russia saranno intensificate, perché siamo ancora lontani dal capolinea. Lo si raggiungerebbe se non fosse solo l’oligarchia a essere sanzionata, ma anche le aziende russe. La Svizzera, che ne ospita molte, non potrebbe tirarsi indietro.
Le conseguenze per il settore stanno già venendo a galla, ragion per cui le sanzioni vanno tenute in considerazione. Vedremo probabilmente una transizione verso l’Asia. La concorrenza diventerà più intensa.
Kathrin Betz: Anche in questo caso l’opacità nell’ambito della proprietà potrebbe rivelarsi un problema e creare delle difficoltà alle autorità.
Mark Pieth: Va comunque detta una cosa: gli Stati potrebbero scoprire molto di più – se lo volessero. Esiste la possibilità di rintracciare la proprietà sulla base delle transazioni finanziarie. Ma ci sono grandi interessi in gioco per mantenere l’anonimato.
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