La ricerca in Svizzera vacilla, tra divario di genere e contesa con l’UE
C’era una volta la Svizzera, terra di innovazione, ricchezza e paesaggi mozzafiato… è questa l’immagine stereotipata che chi vive all’estero ha solitamente del Paese alpino. Ma nella ricerca scientifica, il Paese ha più di una sfida da affrontare.
In parte, gli stereotipi sulla Svizzera sono confermati dai dati. La Svizzera domina la classifica dei Paesi più innovativi del mondo, seguita da Svezia, Stati Uniti e Regno Unito. La presenza elvetica, inoltre, rimane fissa nelle tre posizioni più alte da più di un decennio, secondo l’Indice di innovazione globale 2021Collegamento esterno stilato dall’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI).
Non c’è dubbio che la Svizzera si distingua in termini di risorse e capacità innovativa, ma questo non significa che non debba affrontare alcuna sfida importante. Una riguarda la partecipazione femminile alla ricerca.
Le ultime statisticheCollegamento esterno mostrano che solo il 24% dei docenti universitari in Svizzera sono donne, nonostante costituiscano il 44,8% delle laureate con dottorato. Entrambe le percentuali si piazzano sotto la media europea (rispettivamente 26% e 48,1%).
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Anche la percentuale delle ricercatrici con condizioni di lavoro precarie è molto alta in Svizzera. Qui il divario con i 27 Paesi europei è davvero vistoso: il 15,3% delle ricercatrici è impiegata con contratti precari contro il 9% dell’UE. Si tratta del terzo tasso più alto in Europa dopo l’Ungheria e la Spagna.
In generale, il divario aumenta se si considerano solo le discipline scientifiche – come l’informatica e l’ingegneria. Il giornalista scientifico Emiliano Feresin ha di recente affrontato questa questione in un articolo, analizzando anche le iniziative lanciate in Svizzera per colmare il divario di genere nelle posizioni accademiche di rilievo.
Un progetto svizzero presentato all’Expo 2020 mira a introdurre le ragazze alla scienza e alle discipline tecniche utilizzando robot interattivi:
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Come colmare il divario di genere nell’educazione scientifica attraverso il design interattivo
Le donne, infatti, abbandonano con più probabilità la carriera accademica rispetto agli uomini. Il fenomeno è conosciuto come “leaky pipeline” (tubo che perde) ed è riconducibile a diverse cause: difficoltà a conciliare vita accademica e familiare, pregiudizi di genere, assenza di modelli femminili, precarietà. In Svizzera, in particolare, i servizi per l’infanzia sono scarsi e molto costosi e il lavoro nel settore privato può essere finanziariamente molto più gratificante, scrive Emiliano, che aggiunge:
Il divario di genere nella scienza è un problema complesso che ci coinvolge tutti. Come può infatti progredire la nostra società se si priva di metà delle sue capacità intellettuali senza alcuna ragione? Questa storia di diseguaglianza va raccontata ed io ho voluto dar voce alle sue protagoniste.
Vi invito a leggere l’articolo di Emiliano:
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Colmare il divario di genere nella scienza: le iniziative della Svizzera
La Svizzera avanza (lentamente) verso l’uguaglianza di genere
Il politecnico federale di Zurigo (ETHZ) è stato fondato nel 1855 ed è stata la seconda università europea ad ammettere le donneCollegamento esterno nei suoi corsi di studi. La prima studentessa all’ETH di Zurigo è stata la russa Nadezda Smeckaja, che si iscrisse al corso di Ingegneria meccanica nel 1871. Si dovette attendere oltre 25 anni per arrivare alla prima donna assistente di ricerca nel 1897 e addirittura il 1909 per la prima donna con diploma di dottorato.
Ancora oggi, le donne che decidono di perseguire la carriera accademica in Svizzera devono affrontare degli ostacoli. Sonia Seneviratne, una delle scienziate del clima più influenti al mondo, ha detto a SWI swissinfo.ch: “La più grande difficoltà in Svizzera è stata la mancanza di modelli femminili, che ho invece conosciuto negli Stati Uniti. Mi hanno aperto nuove prospettive”. Seneviratne ce l’ha fatta e ora è professoressa presso l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima dell’ETH di Zurigo.
Anche Margarita Chli, che guida il laboratorio di visione robotica presso l’ETH di Zurigo, ha condiviso con noi la sua esperienza tra Cipro, la sua isola natale, il Regno Unito (dove Chli si è laureata) e la Svizzera:
Quando sono arrivata in Svizzera, eravamo forse due ragazze su un totale di cinquanta studenti. Sono passati dieci anni dal mio dottorato e non posso dire di aver visto un grande cambiamento sul fronte della presenza femminile nelle aule. Forse questo ha a che fare con il mio percorso e il trasferimento dal Regno Unito alla Svizzera. Se devo essere sincera, la situazione in Svizzera è peggiore da questo punto di vista.
La Svizzera, dunque, non è sempre la prima della classe. L’aspetto positivo, però, è che sta cercando di migliorare e infatti è tra i Paesi che presentano una percentuale maggiore di organizzazioni impegnate per l’uguaglianza di genere, attraverso misure e azioni come la promozione di condizioni di lavoro eque.
Se volete saperne di più sulle storie di alcune delle menti più brillanti del mondo accademico svizzero, non perdete i nostri ritratti di quattro scienziate, pubblicati in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza (11 febbraio):
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Le donne che stanno cambiando la scienza in Svizzera
Come influisce sulla società il divario di genere esistente nella scienza secondo voi? Cosa si potrebbe o si dovrebbe fare per incentivare la presenza femminile nella ricerca? Scrivetemi le vostre opinioni o esperienze!
La ricerca svizzera fuori dall’Europa
Un’altra grande sfida attanaglia attualmente la comunità scientifica: l’incognita sulla partecipazione elvetica al programma di ricerca europeo da 95,5 miliardi di euro Horizon EuropeCollegamento esterno. Proprio come il Regno Unito dopo la Brexit, la Svizzera è stata esclusa dal programma europeo, e ciò impedisce ai suoi ricercatori e alle sue ricercatrici di accedere a importanti sussidi e progetti scientifici.
L’esclusione è una decisione politica dell’Unione europea, presa dopo che la Svizzera ha interrotto i negoziati per un accordo quadro (l’obiettivo era quello di regolare e aggiornare le loro relazioni bilaterali, dato che la Svizzera non è uno stato membro dell’UE).
Ecco perché la comunità scientifica ha lanciato la campagna Stick to Science (Attenersi alla scienza). L’iniziativa chiede che la Svizzera e il Regno Unito vengano riammessi al programma Horizon Europe in qualità di Paesi associati e che la politica rimanga fuori dalla ricerca per non intaccare la collaborazione scientifica. “Non è mai stato così importante come adesso, dato che il mondo affronta serie sfide globali (…). Permettere alle differenze politiche di impedire la collaborazione scientifica è contrario agli interessi della società in generale”, si legge sul sitoCollegamento esterno dell’iniziativa.
Più di 3’000 ricercatrici e ricercatori, tra cui si annoverano molte personalità di alto calibro, hanno già firmato l’appello. Il premio Nobel svizzero Didier Queloz ha scritto in un articolo di opinione per il Financial Times che se la politica continua a sfruttare la partecipazione a Horizon Europe a proprio vantaggio, tutti ci perdono.
“I progressi nel mio stesso campo sono impossibili senza uno sforzo collettivo, che riunisce grandi gruppi di ricerca con competenze complementari”, scrive Queloz. Speriamo che la politica non faccia orecchie da mercante.
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