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Salvare solo banche e creditori non è sostenibile

Il livello di disoccupazione giovanile in diversi paesi è diventato drammatico e crea una generazione senza prospettive Ex-press

L'alto tasso di disoccupazione giovanile in alcuni paesi d'Europa comporta il rischio che un'intera generazione rimanga senza lavoro, è stato sottolineato all'Open Forum a Davos. Il professore di etica economica Peter Ulrich vede nella politica neoliberista della Germania una delle cause.

“C’è una discrepanza tra le competenze prodotte dai sistemi di formazione e le esigenze dell’economia”, ha dichiarato a una tavola rotonda all’Open Forum di Davos Guy Ryder, direttore dell’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite. “L’industria ha bisogno di persone formate completamente. La domanda è se non avrebbe anche il compito di formarle”.

La formazione costa. Nell’ambito dei piani di austerità per cercare di evitare il collasso, Spagna e Grecia hanno effettuato ampi tagli anche nel campo dell’istruzione. L’economia punta il dito sulla concorrenza internazionale e la relativa pressione sui costi. Aziende in crisi non formano personale, ottimizzano i costi e riducono gli effettivi. “Nulla è più costoso, di una generazione di giovani disoccupati di lunga durata”, avverte Ryder.

La Svezia non è esemplare

Oltre il 50% di disoccupati tra i 15 e 24 anni in Spagna e in Grecia, il 22% in media europea, è una grande sfida per la politica e l’economia, aggiunge Ryder: “Se la gente non ha la formazione e le competenze necessarie, si deve investire. Ciò vale per le imprese, ma anche per i governi”.

La Svezia è “un paese ricco, ma anche fortemente indebitato”, afferma il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt: “Vogliamo migliorare le opportunità educative, ma non funziona semplicemente premendo un pulsante”. Occorre anche molto lavoro di convincimento.

Oggi, la gente in Svezia è istruita come mai prima d’ora, “ma la situazione è ancora peggio di prima”, sottolinea Reinfeldt, alludendo alla disoccupazione giovanile di oltre il 22% nel suo paese. “Strutturalmente, è accaduto qualcosa che prima non c’era”.

Secondo le previsioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che ha sede a Ginevra, la disoccupazione nel mondo continuerà a salire in modo significativo, nonostante un lieve miglioramento dell’economia globale.

Nel 2013 potrebbero esserci 5,1 milioni di senza lavoro in più rispetto al 2012 e il totale supererebbe i 202 milioni di disoccupati, scrive l’ILO in un rapporto.

Nei prossimi cinque anni, si prevede che si supererà la soglia dei 210 milioni di senza lavoro. Anche una lieve crescita economica non basterà a migliorare la situazione.

Secondo il rapporto, in seguito alla crisi finanziaria del 2007, più di 28 milioni di persone hanno perso il lavoro nel mondo. Circa 39 milioni hanno rinunciato alla ricerca di un posto di lavoro a causa della mancanza di prospettive di successo.

La crisi economica colpisce particolarmente i giovani. In tutto il mondo, secondo l’ILO, quasi 74 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni non stanno seguendo una formazione né hanno un posto di lavoro.

In alcuni paesi dell’Unione europea la recessione ha portato la disoccupazione giovanile a livelli drammatici: in Grecia e in Spagna supera il 50%. La media dei paesi dell’Eurozona è del 22%.

“Arrivano gli spagnoli e i greci”

Reinfeldt si riferisce al cambiamento tecnologico e alle mutate esigenze di grado e di tipo di formazione. Le grandi aziende svedesi sono crollate e nuovi posti di lavoro sono stati creati da giovani imprese piccole. “Esse hanno meno opportunità di formare personale”.

“Arrivano gli spagnoli e i greci”, è il titolo di un giornale che il primo ministro racconta di aver letto il mattino all’aeroporto di Stoccolma. Effettivamente molti spagnoli e greci hanno trovato lavoro in Svezia, riconosce. “Siamo aperti a questo. Dobbiamo aiutare, dal momento che la mobilità è cresciuta molto”.

Il problema della distribuzione

All’auditorium della Scuola media alpina a Davos, dove si è svolta la tavola rotonda, non sono però state portate risposte alla domanda su come Spagna e Grecia possano giostrarsi tra le esigenze contrapposte di sanare i debiti da una parte e investire nella crescita economica e nella formazione. Una domanda che non è nemmeno stata formulata.

“Abbiamo bisogno di riforme socio-politiche”, risponde a swissinfo.ch Peter Ulrich. “I problemi di politica economica possono essere risolti con ricette di politica economica. Invece combattiamo i problemi al posto di riconoscere le cause”.

Non è che “in Europa ci sia troppo poco denaro disponibile”, ma i redditi, sono ancora distribuiti troppo a favore di certi posti di lavoro, peraltro sempre più scarsi. 

Bassi salari, forti esportazioni

Una delle “cause fondamentali” della crisi in Europa meridionale è inoltre “la politica economica unilaterale, che si potrebbe anche dire neoliberale”, condotta da anni in Germania. “Rispetto al rendimento economico, i salari in Germania sono incredibilmente bassi”. Il paese ha inoltre beneficiato dell’euro basso, aggiunge lo specialista di etica economica.

Il fatto che la Germania, con il suo surplus del commercio estero abbia infranto le regole dell’OCSE, è “un fattore che non viene preso sufficientemente in considerazione. L’OCSE ha delle norme non solo in termini di debito. Anche l’eccedenza commerciale non può superare un certo livello. La Germania lo supera”.

Pertanto, il paese dovrebbe “alzare il livello dei salari a breve termine, promuovere maggiormente l’economia nazionale e, lentamente e gradualmente, tendere a uno spostamento dalle esportazioni ai consumi interni”.

Denaro a buon mercato per banche e creditori

Ad approfittare dei flussi di denaro a buon mercato da parte della Banca centrale europea nei mercati finanziari “beneficiano soprattutto le banche. I prestiti per la Grecia vanno direttamente su conti bloccati. Così servono solo come garanzia per i creditori. L’effetto sull’economia reale è pari a zero. Tuttavia, si dovrebbe investire nell’economia reale”.

Con più risorse e grazie ad una politica tedesca di esportazione meno offensiva, “i paesi dell’Europa meridionale avrebbero almeno una possibilità di offrire nuovamente più prodotti sui mercati europei”, rileva Peter Ulrich.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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