Svizzera e Stati Uniti firmano un accordo fiscale
Berna e Washington hanno firmato un accordo per porre fine al contenzioso fiscale tra le banche elvetiche e gli Stati Uniti. Gli istituti che hanno gestito averi americani non dichiarati al fisco potranno evitare azioni penali. Ma dovranno pagare multe salate. Alla Svizzera non rimane che ingoiare il rospo e voltare pagina.
«È un risultato con il quale si può convivere», ha affermato venerdì la ministra delle finanze svizzera Eveline Widmer-Schlumpf. L’accordo permette di «dare una sicurezza giuridica» alle banche, ha detto la consigliera federale in una conferenza stampa a Berna.
In assenza di questo programma, ha spiegato, la Svizzera avrebbe continuato ancora per anni a correre il rischio di incappare in procedimenti penali, con una conseguente instabilità della piazza finanziaria elvetica.
Inoltre, senza queste chiare regolamentazioni i casi sarebbero finiti davanti ai più disparati tribunali americani: non è sicuro che una corte di Washington arrivi alle stesse conclusioni di una di New York, ha detto la ministra.
Eveline Widmer-Schlumpf ha però sottolineato che «le banche dovranno pagare. Toccherà a loro decidere se detrarre il montante dai loro benefici o altrove».
La dichiarazione comune è stata firmata il 29 agosto 2013 dall’ambasciatore svizzero a Washington Manuel Sager e dal viceprocuratore generale del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti (DoJ) James Cole.
Per Washington, l’accordo costituisce un passo importante nella lotta all’evasione fiscale. Consentirà alle autorità di «rafforzare considerevolmente gli sforzi per perseguire con veemenza» coloro che tentano di eludere la legge nascondendo i loro averi fuori dagli Stati Uniti, ha detto il ministro di giustizia americano Eric Holder.
Il Partito socialista si compiace per l’accordo fiscale con gli USA, raggiunto «nell’ambito del diritto in vigore», anche se non tutti i dettagli risultano soddisfacenti. È il prezzo che le banche devono pagare «per essersi prese gioco a lungo dei legittimi interessi degli Stati Uniti».
Per la piazza finanziaria elvetica e la sicurezza giuridica è un bene che sia stata raggiunta l’intesa dopo anni di contenzioso, afferma il parlamentare Pirmin Bischof, reagendo a nome del Partito popolare democratico. Ma la soluzione, sottolinea, «è chiaramente meno buona rispetto alla Lex USA, soprattutto per le banche piccole e medie».
Di avviso opposto il Partito liberale radicale, per il quale la soluzione «non è ideale e molto costosa, ma non è peggio della Lex USA». Il quadro definito garantisce che la trasmissione di dati avverrà in conformità con le leggi elvetiche, scrive in un comunicato.
Secondo l’Unione democratica di centro, il Consiglio federale si è piegato agli americani. Spetta ora alle banche chiarire la loro situazione con le autorità statunitensi. Il partito si attende che «esse difendano gli interessi dei loro collaboratori».
Multe miliardarie
Il programma statunitense – che ricorda quello previsto dalla Lex USA, bocciata dal parlamento svizzero – è aperto alle banche che non sono oggetto di un’inchiesta penale del DoJ. Esclude quindi il Credit Suisse, la banca Julius Bär, le banche cantonali di Zurigo e Basilea, che stanno già negoziando multe e confessioni con la giustizia americana per evitare una denuncia.
Gli istituti che hanno motivi fondati di credere di aver violato il diritto fiscale statunitense possono richiedere alle autorità americane un non perseguimento penale (“Non-Prosecution Agreement”) al più tardi entro il 31 dicembre 2013.
Dovranno in seguito fornire informazioni sulle loro operazioni transfrontaliere (organizzazione e controllo delle loro filiali negli Stati Uniti), ma non i nominativi dei clienti. Queste banche dovranno inoltre pagare una multa, commisurata al volume del patrimonio amministrato (dal 20% al 50% del capitale evaso, a dipendenza della data di apertura dei conti). La somma complessiva delle multe potrebbe ammontare a diversi miliardi di franchi.
A pagare la fattura più salata saranno gli istituti che hanno accettato averi non dichiarati dopo il 28 febbraio 2009, ovvero a partire dal momento in cui era chiaro che l’evasione fiscale negli Stati Uniti non sarebbe più stata tollerata.
Le banche che hanno sistematicamente ripreso i clienti americani avranno un costo molto alto da pagare, osserva Fulvio Pelli, presidente della Banca cantonale ticinese. «Da un certo punto di vista è giusto: hanno preso dei rischi e hanno fatto scelte strategiche sbagliate. E ora ne pagano il prezzo», afferma alla Radio svizzera di lingua francese.
Fulvio Pelli si dice però infastidito dal fatto che a pagare dovranno essere «anche le banche che non hanno fatto queste speculazioni».
Le banche che ritengono di non aver violato le leggi statunitensi, così come quelle che svolgono solo un’attività locale, potranno dal canto loro annunciarsi tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2014. Riceveranno allora una sorta di carta bianca (“Non-Target Letter”).
Nel 2011, la giustizia americana annuncia di aver posto sotto inchiesta una decina di banche svizzere: sono sospettate di aver aiutato migliaia di clienti ad evadere le imposte degli Stati uniti, violando le leggi americane.
Il Dipartimento americano di giustizia esige tutte le informazioni sulle transazioni delle banche, compresi nomi e dati degli impiegati coinvolti nelle attività USA.
Nel 2012, il governo svizzero autorizza le banche a collaborare con la giustizia americana e a fornire nomi e dati degli impiegati. Le banche forniscono migliaia di dati richiesti a Washington, in molti casi senza informare anticipatamente i collaboratori.
Nel 2013 il dipartimento americano di giustizia esige ulteriori dati. Il governo svizzero propone al parlamento di regolare la trasmissione delle informazioni attraverso un’apposita legge (Lex USA).
Nel giugno scorso, il parlamento boccia la Lex USA, ritenendola non necessaria e contraria ai principi di sovranità della Svizzera.
Il 3 luglio, la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf propone un “piano B”: le banche potranno trasmettere i dati richiesti su autorizzazione del governo, senza violare l’articolo 271 del Codice penale, che vieta la collaborazione con autorità straniere.
Il 29 agosto i due paesi firmano un accordo per porre fine al contenzioso fiscale.
Autorizzazione dal governo
In base all’accordo, le banche che decidono di partecipare al programma statunitense devono richiedere al governo svizzero un’autorizzazione individuale. Questa non è tuttavia applicabile ai dati relativi ai clienti, la cui trasmissione è possibile soltanto nel quadro di una domanda di assistenza amministrativa.
La soluzione rispetta l’ordinamento giuridico svizzero, non introduce norme con effetto retroattivo e non implica il ricorso al diritto d’urgenza, sottolinea il Dipartimento federale delle finanze (DFF) in un comunicato. Le banche dovranno rispettare le disposizioni sulla protezione dei dati e sul diritto del lavoro.
La Svizzera si impegna a incoraggiare le banche coinvolte a partecipare al programma. Inoltre promette di assicurare un’assistenza giudiziaria sulla base della convenzione di doppia imposizione con gli Stati Uniti e di trattare le domande rapidamente, puntualizza il DFF.
Da parte loro, gli Stati Uniti riconoscono che la menzione di nomi di collaboratori o di terze persone nei documenti trasmessi dalle banche non implica automaticamente che queste abbiano commesso un reato.
Gravi conseguenze per le banche svizzere
Secondo l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), il programma «comporta gravi conseguenze per le banche in Svizzera». Le sanzioni, indica un suo comunicato, «sfiorano il limite accettabile sul piano giuridico e sostenibile sotto il profilo economico».
L’ASB riconosce comunque che l’accordo rappresenta «l’unica soluzione» rimasta alle banche per regolare definitivamente le vertenze giuridiche con gli Stati Uniti.
«Gli standard evolvono e accettarli, quando questi sono fondati, non significa cedere», commenta il Segretario di Stato per le questioni finanziarie internazionali Michael Ambühl. «Rifiutare il cambiamento delle regole, quando sono giustificate, rappresenterebbe una lotta del passato», ha detto al quotidiano Le Temps.
La raccolta, il trattamento e la trasmissione non autorizzate di documenti al Dipartimento di giustizia americano costituiscono di norma una violazione del diritto elvetico e sono puniti con una pena detentiva o pecuniaria in base all’articolo 271 del Codice penale. Le banche devono quindi richiedere al governo una specifica autorizzazione.
Il 3 luglio 2013, il Consiglio federale ha deciso di fornire queste concessioni in maniera individuale, a precise condizioni, sia alle banche già finite nel mirino della giustizia statunitense sia a quelle intenzionate a partecipare al programma americano per regolarizzare la loro situazione.
L’autorizzazione è limitata a un anno ma può essere prolungata o revocata. Si applica a informazioni e a documentazioni di ordine generale che concernono le pratiche commerciali della banca e a informazioni su affari che coinvolgono un cittadino americano.
Il via libera del Consiglio federale non è invece applicabile ai dati relativi a clienti delle banche. Questi elementi possono essere forniti alle autorità USA solo sulla base di una richiesta amministrativa ordinaria.
Le banche possono trasmettere agli Stati Uniti liste dei cosiddetti clienti “Leaver”, ossia quelli che hanno lasciato una banca per rivolgersi a un altro istituto. Queste liste potranno includere i dati anonimi relativi alla chiusura dei conti e al successivo trasferimento dei fondi verso un altro istituto in Svizzera o all’estero. Gli elenchi consegnati alle autorità USA non possono però contenere indicazioni relative all’identità dei clienti.
I dati personali di dipendenti, attuali o vecchi, o di terzi possono essere comunicati solo dopo che le persone in questione sono state informate. Se un istituto intende fornire dati contro la volontà della persona interessata, è obbligato a informare quest’ultima del suo diritto di opporsi ricorrendo alla giustizia elvetica. Quest’ultima ha il potere di bloccare la fornitura dei dati.
Le banche sono tenute a raggiungere un accordo con le associazioni del personale per garantire la miglior protezione possibile dei dipendenti. Quest’intesa – già raggiunta – concretizza i doveri di assistenza e prevede in particolare la presa a carico delle spese per l’assunzione di un avvocato e la protezione in caso di licenziamento.
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