Banche svizzere a processo in Svizzera
Quest’anno, per la prima volta nella storia, un istituto bancario – la Falcon – comparirà davanti al Tribunale penale federale. Oltre a questo primo caso, prossimamente potrebbero esserci altri processi contro delle banche elvetiche. A cominciare da Credit Suisse.
Il 17 dicembre, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha comunicatoCollegamento esterno di aver promosso l’accusa nei confronti di Credit Suisse. La seconda più importante banca svizzera è accusata di non aver impedito il riciclaggio di valori patrimoniali appartenenti ad una potente organizzazione criminale bulgara. L’istituto avrebbe violato l’articolo 102 del codice penale che permette di condannare un’impresa che non abbia saputo impedire reati quali appunto il riciclaggio o la corruzione.
Da quando è stata introdotta, nel 2003, questa norma che prevede una pena massima di cinque milioni di franchi è stata applicata una decina di volte. Alstom, Stanford Group, Odebrecht, KBA NotaSys, Dredging International, Nitrochem, Andrade Gutierrez e Gunvor: ad essere sanzionate sono state delle aziende multinazionali ma mai, finora, una banca. Inoltre, tutte queste condanne sono state pronunciate tramite un decreto d’accusa, una sorta di accordo tra la Procura federale e l’impresa, con quest’ultima che ammette i fatti e accetta l’eventuale multa, confisca o richiesta di risarcimento, evitando, al contempo, i rischi di un processo e un’eccessiva esposizione mediatica.
Nel caso di Credit Suisse, la banca non c’è stata a fare questo accordo. In un comunicatoCollegamento esterno, l’istituto ha respinto le accuse affermando che “difenderà con determinazione la propria posizione”. Se i giudici dovessero quindi accettare l’atto d’accusa, Credit Suisse finirà a processo. La grande banca non sarebbe però la prima a finire sul banco degli accusati del Tribunale penale federale (TPF).
La seconda banca svizzera è accusata nell’ambito di un’inchiesta che riguarda l’organizzazione criminale guidata dal bulgaro Evelin Banev. Negli anni duemila, il gruppo criminale ha importato dal Sudamerica un quantitativo considerevole di cocaina i cui ricavati sono stati riciclati in Svizzera. Il denaro era stato depositato su relazioni bancarie controllate dall’organizzazione allo scopo di immetterlo in seguito nel circuito legale, soprattutto attraverso acquisti immobiliari in riva al Mar Nero e al lago Lemano (a Montreux e a Colonge-Bellerive).
Decine di milioni di euro sono stati depositati in contanti in Svizzera, buona parte dei quali presso il Credit Suisse di Zurigo. Nel 2013, la procedura penale è stata estesa alla banca e a due suoi ex collaboratori. L’inchiesta contro uno di questi ex dipendenti è stata abbandonata a fine 2020, nello stesso momento in cui l’MPC ha promosso l’accusa contro l’altro ex dipendente (ex responsabile della clientela bulgara), contro Credit Suisse stessa e contro due presunti membri dell’organizzazione criminale.
La banca è accusata di non aver sufficientemente verificato le operazioni a rischio e di aver avuto un sistema di controllo lacunoso: il processo di analisi, di coordinamento e di comunicazione e il blocco dei conti bancari avrebbe funzionato male al punto che non si è riusciti ad impedire la fuga di circa 35 milioni di franchi dopo un decreto di sequestro.
A marzo per un processo storico
L’appuntamento è per il prossimo 24 di marzo. A Bellinzona sono attesi in qualità di imputati la Falcon Bank e il suo CEO dal 1997 al 2017, Eduardo Leeman. L’ex dirigente è accusato di aver riciclato decine di milioni di euro in favore di Khadem al-Qubaisi. Quest’ultimo, ex amministratore delegato del fondo sovrano di Abu Dhabi, è indagato in una procedura separata in merito alle indagini sul fondo malese 1Malaysia Development Berhad (1MBD). Per l’MPC, il denaro che sarebbe stato riciclato da Edoardo Leeman è stato ottenuto da Khadem al-Qubaisi tramite una gestione infedele che avrebbe causato un danno di quasi 150 milioni di franchi ad una filiale del fondo dhabense.
Come detto, assieme all’ex CEO – che respinge le accuse – è accusata anche la stessa banca il cui azionista principale è proprio il fondo arabo. Falcon non avrebbe monitorato efficacemente delle relazioni commerciali a rischio. L’istituto basato a Zurigo non avrebbe inoltre evitato conflitti di interessi: Khadem al-Qubaisi, infatti, non solo era un importante cliente della banca, ma era anche il presidente del suo consiglio d’amministrazione. Contattato da Swissinfo, un responsabile comunicazione afferma che “Falcon nega le accuse formulate nell’atto d’accusa e difenderà i suoi interessi in tribunale”.
L’appuntamento è storico: per la prima volta, in Svizzera, la responsabilità penale di un’impresa sarà valutata dai giudici di un tribunale federale. Già nel 2018, l’MPC aveva inviato al TPF un atto d’accusa riguardante una banca, ma i giudici l’avevano rinviato al mittente. Il caso riguardava la Banca Höttinger (oggi in liquidazione) e la sua filiale ticinese implicate in una vicenda di malversazioni milionarie sui conti del Ministero degli interni italiano. Le accuse contro le due società sono poi state abbandonate nel 2019.
Un bene per la trasparenza della giustizia
“Il fatto che, per la prima volta, un caso di questa importanza che concerne un’impresa sia oggetto di un processo pubblico e non si regoli tramite un decreto d’accusa è un elemento positivo per la trasparenza della giustizia” afferma Katia Villard, ricercatrice al Centro di diritto bancario e finanziario di Ginevra et insegnante all’Università della città in riva al Lemano. Titolare di una tesi di dottorato proprio sulla responsabilità penale dell’impresa, l’esperta ricorda che la mancata pubblicità data da un decreto d’accusa è stato uno dei punti criticati anche dagli esperti dell’OCSE nel loro ultimo rapporto sulla Svizzera e la lotta alla corruzione: “Anche se efficace, il decreto d’accusa è stato pensato soprattutto per risolvere casi minori e non garantisce la necessaria trasparenza che solo un processo pubblico può assicurare, soprattutto per casi importanti come di norma sono quelli che concernono le imprese multinazionali o le banche”.
Katia Villard osserverà con attenzione quanto succederà a Bellinzona il prossimo mese di marzo: “Sarà molto interessante vedere come l’articolo 102 del codice penale, che è la norma per l’attribuzione ad una società dei reati commessi dai suoi dipendenti, sarà interpretato dall’accusa, dalla difesa e, infine, dal Tribunale, in un contesto in cui i fatti sono contestati”.
Per l’esperta, il punto centrale di questo processo – e degli altri che seguiranno – sarà la maniera con la quale sarà valutata la correlazione tra la persona fisica accusata di riciclaggio e la banca: “Mentre, in teoria, la condanna dell’ex dipendente non è una condizione per la responsabilità penale dell’azienda, la società può essere condannata per non aver impedito atti di riciclaggio all’interno dell’azienda solo se si può provare che un dipendente ha commesso intenzionalmente tali atti, il riciclaggio di denaro per negligenza non esiste infatti nel diritto penale svizzero”. Ecco quindi che è la condanna della persona fisica, nel caso di Falcon l’ex CEO, è un passo necessario per stabilire la responsabilità penale della banca. Ma ciò non basta: occorre poi provare la mancata organizzazione interna al momento dei fatti.
Anche nel caso che riguarda Credit Suisse vi è una duplice accusa: contro la banca e contro una sua ex dipendente. Non è un caso se l’istituto, oltre a respingere formalmente le accuse nei suoi confronti, si dice “convinta dell’innocenza della sua ex collaboratrice”. Da parte sua, Grégoire Mangeat, avvocato dell’ex dipendente, sottolinea la “totale innocenza” della sua cliente, considerata una sorta di capro espiatorio: “Il fatto che l’MPC tenti di far condannare un’impiegata senza formazione bancaria o universitaria per dei fatti approvati, praticati e incoraggiati da un insieme di superiori gerarchici, uomini ben formati e con, spesso, più di vent’anni di esperienza nel mondo bancario non solo è contrario al diritto, ma è anche abbastanza disgustoso”.
Oltre alle banche, il 2021 vedrà a processo anche l’ex finanziere tedesco Florian Homm. Quest’ultimo è stato protagonista di quella che, se provata, sarebbe una delle frodi più colossali della storia. Alla testa della società Absolute Capital Management Holding Limited (Hcmh), gestore di otto hedge fund basati alle Cayman, avrebbe creato un sofisticato sistema per frodare gli investitori. L’MPC stima che Homm si sia arricchito illecitamente per circa 170 milioni di franchi. Denaro transitato dalla Svizzera, grazie all’aiuto di un fiduciario e di due ex banchieri elvetici, anch’essi accusati di riciclaggio.
Dopo una lunga inchiesta, iniziata nel 2008, e uno scontro tra Procura federale e giudici nel 2019 (l’atto d’accusa era stato respinto, ma un ricorso dell’MPC era poi stato accolto) il 26 gennaio comincia quello che, sicuramente, sarà un processo molto difficile.
Infine, va segnalato che i giudici di Bellinzona devono valutare se accettare, dopo un primo respingimento nel 2018, un nuovo atto d’accusa inviato nell’autunno 2020 e che riguarda un altro caso di criminalità economica: il fallimento delle società lucernesi Fera e Blue Steel Holding, uno dei casi di presunta frode più grandi della Svizzera.
Numerose inchieste in corso
Nel novembre 2016, l’allora Procuratore generale Michael Lauberha affermato in un’intervistaCollegamento esterno al quotidiano le Temps la sua volontà di perseguire in modo più efficiente ed efficace le banche e le imprese coinvolte in casi di corruzione e riciclaggio. Un cambio di passo destinato “a proteggere la piazza finanziaria svizzera” in un momento in cui continuavano ad emergere scandali internazionali che coinvolgevano le banche elvetiche (1MBD, Petrobras, FIFA, eccetera). Questa strategia si basa su una maggiore applicazione dell’articolo 102 del codice penale.
Da allora, effettivamente, le inchieste di questo tipo, così come le condanne, sono aumentate. Oltre ai casi già passati in giudicato, l’MPC fa sapere a Swissinfo che le inchieste attualmente in corso nei confronti di imprese “sono una ventina”. Tra i casi più significativi troviamo le inchieste che riguardano il gigante delle materie prime Glencore, la multinazionale vodese SICPA o le tre filiali friburghesi del colosso olandese SBM Offshore.
Altre inchieste sono in corso anche contro delle banche: PKB, J. Safra Sarasin e Banque Cramer sospettate di non aver impedito il riciclaggio nel contesto dello scandalo brasiliano Petrobras; Lombard Odier per la sua presunta implicazione nella vicenda dei fondi della figlia del defunto dittatore uzbeko Islom Karimov; l’ormai fallita BSI per i fatti legati al fondo malese 1MBD. Il prossimo futuro ci dirà se questa strategia voluta dall’ex Procuratore generale sarà stata una scelta azzeccata.
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