Un oro completamente tracciabile è possibile?
Tracciare il prezioso metallo, dalla sua fonte nelle profondità della foresta amazzonica o dalle vette più alte delle Ande fino alle raffinerie svizzere, dove viene trasformato in gioielli, orologi e lingotti, è un obiettivo nobile, ma che finora si è rivelato elusivo.
Ricercatori, ricercatrici e aziende sono alla febbrile ricerca di tecnologie in grado di tracciare il percorso dell’oro fino a pochi metri dal luogo di estrazione, per assicurarvi che gli anelli e le collane che indossate provengano da una miniera africana che non sfrutta il lavoro minorile o da un giacimento autorizzato in Brasile, anziché da una cava che sprigiona mercurio tossico o arricchisce le bande criminali in Amazzonia.
“La Svizzera ha una responsabilità molto specifica nell’istituzione di una catena di approvvigionamento dell’oro equa, solidale e affidabile”, ha dichiarato il professore di geofisica ambientale Niklas Linde durante una conferenza sulla tracciabilità dell’oro tenutasi all’Università di Losanna lo scorso maggio.
L’oro si differenzia dalla maggior parte delle materie prime commerciate al di fuori dei confini elvetici perché entra fisicamente nel Paese. Circa un terzo dell’oro estratto e metà di quello riciclato nel mondo vengono lavorati o raffinati all’interno della nazione alpina, ha aggiunto Linde.
Considerata la sua posizione di centro internazionale per la raffinazione dell’oro e il commercio di materie prime, la Svizzera è un terreno fertile per le aziende che vendono tecnologie di tracciabilità.
+ La ricerca dell’oro etico: il punto di vista di un raffinatore svizzero
Soluzioni molteplici
Oggi esistono diversi operatori che offrono tecnologie di tracciabilità digitale e fisica specifiche per i metalli preziosi. I loro metodi sono compatibili, perciò, anche se le aziende tecnologiche spesso tendono a pubblicizzare un unico approccio, le raffinerie possono utilizzarli tutti.
L’obiettivo ultimo, nel caso dell’oro, è ottenere la tracciabilità completa, dal giacimento al lingotto raffinato, indipendentemente dal fatto che la catena di approvvigionamento parta da una rudimentale operazione artigianale o da una grande miniera industriale. Le soluzioni di blockchain sono molto diffuse, ma non coprono la totalità della filiera. Quest’anno Sicpa, un’azienda con sede a Losanna che ormai da anni opera nel settore della tracciabilità, ha lanciato Bullion Protect, un sigillo di sicurezza applicato ai lingotti d’oro dopo la raffinazione.
L’anno scorso, la London Bullion Market Association (LBMA) e il World Gold Council hanno avviato un progetto pilota congiunto – il programma Gold Bar Integrity (GBI) – per monitorare digitalmente il percorso dell’oro dalle miniere alle camere blindate. Il programma ha coinvolto due aziende, tra cui aXedras, una società di contabilità distribuita con sede a Zugo, centro di negoziazione delle materie prime, per sviluppare una soluzione di tracciabilità digitale che utilizzi un ledger basato sulla blockchain. Anche AlpVision, fornitore di tecnologia digitale anticontraffazione con sede in Svizzera, ha ottenuto la certificazione del GBI per la sua soluzione Fingerprint, che consente agli e alle utenti di scansionare la superficie di un prodotto con un’applicazione per smartphone al fine di verificarne l’autenticità.
Nel frattempo, le raffinerie si stanno dando da fare per testare e sviluppare tecnologie interne. La raffineria svizzera MKS Pamp ha sviluppato una propria soluzione di tracciabilità basata sulla blockchain, Provenance, e la utilizza già dal 2022 per tracciare i metalli preziosi e supportare le proprie dichiarazioni di approvvigionamento dell’oro responsabile.
La società di raffinazione svizzera Argor-Heraeus utilizza un marcatore spray di Haelixa, sviluppatore di soluzioni di tracciabilità, per rintracciare l’oro proveniente da miniere industriali in Sud America. Ovviamente, la soluzione funziona in una catena di approvvigionamento ben controllata, ma chi la critica sottolinea che il marcatore scompare se l’oro viene rifuso.
Ormai tutti vogliono diventare il gold standard per la tracciabilità, e la tematica genera sempre accesi dibattiti.
Barbara Beck, la guru della tracciabilità
La geoscienziata Barbara Beck è colei che ha organizzato la conferenza tenutasi all’Università di Losanna, in cui si è discusso dell’argomento per due giorni interi, coinvolgendo tutte le aziende svizzere che si occupano di tracciabilità e di raffinazione dell’oro, nonché vari rappresentanti delle forze dell’ordine svizzere e brasiliane. All’evento hanno partecipato anche commercianti d’oro, autorità normative, accademici, accademiche e ONG che si occupano dell’impatto ambientale e dei diritti umani nell’estrazione e lavorazione del prezioso metallo.
Una vera forza della natura quando si tratta di fare rete, Barbara Beck ha una forte passione per lo spostamento dei metalli nel tempo e nello spazio. Il suo percorso è iniziato con un dottorato in archeometria (disciplina che si avvale di metodi scientifici per risolvere misteri archeologici) e con profonde immersioni in argomenti come la produzione di argento nella regione svizzera del Wallis nell’antichità.
All’Università di Losanna, in collaborazione con la raffineria svizzera Metalor, Barbara Beck ha sviluppato un approccio scientifico per verificare l’origine del doré, un lingotto di metalli preziosi tra cui argento e oro, che viene inviato alle raffinerie per un’ulteriore purificazione. Il cosiddetto passaporto geoforense, presentato nel maggio 2022, viene ora utilizzato quotidianamente per testare i lingotti doré che arrivano alla raffineria Metalor di Marin-Epagnier, nel cantone di Neuchâtel, nella Svizzera occidentale. Il test rileva la composizione chimica dell’oro per confermarne la provenienza.
Anche altri raffinatori svizzeri si sono interessati al suo metodo, che si basa sulle procedure di analisi dei metalli preziosi già utilizzate dalle raffinerie quando eseguono i test chimici di routine sul doré per valutarne la percentuale d’oro.
I raffinatori “devono pagare l’oro e pagare le aziende fornitrici, per cui per loro è importante conoscere quella percentuale”, spiega Barbara Beck. “Sapere se un lingotto contiene il 50% o il 90% di oro è fondamentale”.
Le raffinerie analizzano il doré anche per verificare la presenza di altri elementi che le interessano, come l’argento e il rame, o che non le interessano ma possono essere deleteri, come il selenio o l’arsenico, spesso sgraditi perché tossici o più complicati da separare durante la raffinazione.
Dato che sfrutta le analisi a cui le barre di doré vengono già sottoposte sistematicamente quando arrivano in raffineria, il metodo di Barbara Beck non prevede costi aggiuntivi. “Con il mio software posso stabilire subito se un doré è coerente con altri doré dello stesso fornitore o meno. In caso negativo, scattano i controlli”, spiega.
Le barre di doré rispecchiano la composizione chimica di una miniera [da cui la nozione di passaporto geoforense]. Questo permette a Barbara Beck di distinguere un doré da un altro tramite analisi chimica. In più, il suo metodo consente di analizzare i cambiamenti nel tempo. “Un doré proveniente da una miniera di due anni fa non è uguale a un doré oggi”, osserva. “La composizione chimica cambia nel tempo”.
Partire dalle miniere
Un’altra soluzione, che si concentra sul tratto più complesso della catena di approvvigionamento, è quella sviluppata da GeoBlock, società di gestione dati con sede a Zurigo, specializzata nell’analisi della produzione a monte dell’oro. Il suo cofondatore, l’imprenditore Bruno Regli, lavora nel settore aurifero dal 2009 e in principio si è concentrato sullo studio delle operazioni minerarie in Colombia. Nel 2019 ha iniziato a cercare una soluzione per offrire una tracciabilità che partisse dalla fonte, basandosi sui test condotti nei giacimenti d’oro in Colombia e in altre miniere della sua rete.
“Abbiamo iniziato con l’oro perché pensiamo che banche e raffinerie siano davvero interessate a conoscerne l’origine”, dice Bruno Regli.
Un tempo, spiega, chi cercava metalli preziosi usava degli spettrometri per individuare rame, argento e oro. Oggi esistono spettrometri di nuova generazione che, al costo di 50’000 franchi svizzeri, consentono analisi più approfondite. La soluzione di tracciabilità di GeoBlock combina l’analisi degli elementi metallici con calcoli statistici per verificare che l’oro provenga da una specifica area geografica.
“La geologia cambia da una parte del mondo all’altra”, afferma Bruno Regli. “Il nostro metodo analizza tutti i possibili elementi, che spesso sono una quarantina. L’algoritmo di apprendimento automatico mi dice quali sono i più significativi ai fini del test e quali ricorrono in tutta la filiera: dall’estrazione fino al doré o alla raffineria”.
L’analisi consente di verificare che un metallo provenga da una determinata area. Ma quanto è precisa? “Nei test che abbiamo effettuato in Colombia, abbiamo rilevato differenze già tra filoni [auriferi] distanti 500-800 metri l’uno dall’altro, in termini di posizione”, afferma Regli.
In definitiva, però, è tutta questione di probabilità. “Possiamo dire a una raffineria che un materiale viene da una determinata area”, spiega, “ma non se proviene dal lato destro o sinistro del fiume. Se la geologia è completamente diversa, lo si può vedere anche con i propri occhi. Di solito, infatti, a fronte di un’adeguata visualizzazione non serve un test statistico per determinare se il materiale è falso oppure no”.
Pochi chilometri – o poche centinaia di metri – possono fare la differenza tra una miniera legale e una illegale, distinzione che rappresenta uno dei maggiori problemi della filiera dell’oro in Brasile, uno dei principali Paesi produttori del Sud America.
Un problema grande quanto l’Amazzonia
Secondo l’Osservatorio della complessità economica, nel 2021 la Svizzera è stata il secondo maggior acquirente di oro brasiliano (1,26 miliardi di dollari), subito dopo il Canada.
L’attività mineraria nella regione amazzonica, tuttavia, sta avendo un impatto deleterio sul territorio e sulle popolazioni indigene locali. Il mercurio usato per estrarre il prezioso metallo tramite amalgama è altamente inquinante, la deforestazione distrugge gli habitat naturali e la criminalità organizzata si è ormai infiltrata in tutti i livelli della catena del valore.
Estesa su ben nove Paesi, la foresta amazzonica rappresenta un terzo delle foreste tropicali del mondo, fondamentali per la salute del pianeta. “L’estrazione illegale d’oro minaccia e massacra le popolazioni indigene, oltre a mettere in pericolo le foreste e quindi il nostro futuro”, ha dichiarato alla conferenza di Losanna Raul Jungmann, ex ministro e presidente dell’Istituto brasiliano delle miniere (IBRAM).
Nel 2022, le raffinerie svizzere si sono impegnate a non acquistare oro proveniente dall’Amazzonia, ma è una promessa tutt’altro che facile da mantenere. I tentativi di due diligence sono stati complicati dalla vastità della foresta pluviale e dall’approccio “in buona fede” all’approvvigionamento, per cui basta la parola dei venditori e delle venditrici a determinare l’origine dell’oro.
Secondo uno studio dell’organizzazione per la sostenibilità Instituto Escolhas, con sede a San Paolo, tra il 2015 e il 2020 il Brasile ha commercializzato 229 tonnellate di oro che presentava segni di illegalità. Secondo la stessa fonte, la maggior parte dell’oro venduto dal Brasile nel 2021 (52,8 tonnellate o il 54% della produzione nazionale) potrebbe essere stato illegale. Sotto l’ex presidente Jair Bolsonaro, la deforestazione era diventata un fenomeno dilagante.
Il cambio di Governo avvenuto quest’anno ha introdotto controlli più severi sul commercio aurifero e ha portato le preoccupazioni per l’ambiente e le popolazioni indigene in cima all’agenda nazionale. La misura provvisoria sull’oro, adottata ad aprile, ha posto fine alle vendite in buona fede e ha imposto l’obbligo di fatture elettroniche per l’acquisto, la vendita e il trasporto di oro all’interno del Paese.
Il commerciante brasiliano Andrei Santos, che vende alla Svizzera 250-300 chili d’oro al mese, dubita dell’efficacia delle soluzioni di tracciabilità fisica, sulla base della propria esperienza personale. “A livello regionale, penso che l’idea [di un DNA dell’oro] sia un’ottima cosa”, dice. “L’oro di Cuiabá non ha le stesse caratteristiche dell’oro venezuelano. Tuttavia, per me questo non garantisce l’effettiva provenienza del metallo”.
Cuiabá è la capitale dello stato brasiliano del Mato Grosso, che fa parte della regione amazzonica, ed è la sede dell’ufficio di Santos. In un’occasione, l’analisi del DNA dell’oro lo ha portato a concludere erroneamente che uno dei suoi fornitori stesse contrabbandando il prezioso metallo da un’altra regione. In genere, infatti, quel produttore forniva minerali con il 92-97% di oro e pochi contaminanti. Un giorno, però, l’oro prodotto aveva proprietà diverse: 85% oro, 5% piombo, 3% ferro e un po’ di argento.
Così Santos si è recato sul posto con una squadra. “Sono rimasto lì tutto il giorno e ho analizzato l’oro prodotto sotto i miei occhi”, racconta Santos, uno dei fornitori di MKS Pamp. “Per farla breve, mi ero sbagliato. Perché? Perché è la natura. Non si può pretendere sempre la massima precisione… L’oro non è un’equazione matematica”.
Raggiungere la conformità e il giusto livello di tranquillità richiede molte risorse e parecchi passaggi. Quaranta delle 85 persone che lavorano per Santos si occupano di conformità, servendosi di un software per segnalare eventuali irregolarità. Per fare un esempio, possono richiedere una verifica se una miniera che di solito produce cinque chili d’oro al mese improvvisamente ne vende all’azienda 15 nello stesso lasso di tempo. In quel caso, una società indipendente invia in loco geologi e geologhe dotati di telecamere GoPro, come gli agenti di polizia, per effettuare i controlli del caso.
“Tutte le nostre miniere sono sottoposte a monitoraggio costante”, spiega Santos. “Quello che voglio nella mia azienda è una tracciabilità al 100%… Quale DNA, quale soluzione può garantirmi [che l’oro] non provenga da un’area [illegale]? Niente è così preciso. Non abbastanza”.
Tracciabilità o trasparenza?
In Svizzera, le raffinerie enfatizzano la distinzione tra trasparenza e tracciabilità. Secondo loro, è possibile avere una catena di approvvigionamento tracciabile senza necessariamente essere trasparenti su tutto, dato che rivelare le loro fonti potrebbe comprometterne la competitività.
Alla conferenza di Losanna, l’amministratore delegato di una raffineria svizzera ha suggerito che le raffinerie potrebbero comunicare al pubblico i sistemi e le tecnologie di cui si servono, ma non i dati reali. “Non dovremmo essere costretti a rivelare le nostre fonti, ma potremmo illustrare i sistemi adottati per garantire che le nostre fonti siano pulite”, ha detto in un gruppo di discussione.
Le forze dell’ordine vedono le cose da un altro punto di vista e considerano le soluzioni di tracciabilità un supporto fondamentale al loro lavoro. “Per noi è importante avere la certezza che i dati siano confermati e rispecchino la realtà”, ha dichiarato Sylvie Bertrand, pubblico ministero di Ginevra, uno dei principali centri di smistamento del commercio d’oro svizzero, durante un’altra tavola rotonda.
Inoltre, “è importante che le autorità dispongano di strumenti in grado di consentire loro di leggere ed elaborare i dati e di utilizzarli per discutere con i propri partner e affrontare le persone sospettate di attività illegali”, ha aggiunto. In sostanza, un tribunale deve poter comprendere i dati che ha davanti quando gli viene presentato un caso.
Per le autorità di regolamentazione la tracciabilità è fondamentale, in quanto consente di collegare tra loro tutti i dettagli necessari, ha dichiarato Thomas Brodmann, responsabile dell’ufficio centrale per il controllo dei metalli preziosi, che applica le normative svizzere sull’oro.
“Bisogna poter collegare l’oro di una data regione amazzonica a una certa raffineria”, ha detto alla tavola rotonda sull’istituzionalizzazione della tracciabilità, a Losanna. “Se non va direttamente dal Brasile alla Svizzera, ma passa per diversi Paesi e viene fuso e rifuso, diventa molto difficile, se non impossibile [fare questi collegamenti]. La situazione, oggi, è questa”.
Traduzione di Camilla Pieretti
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