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Il futuro incerto dei negozi di orologi in Svizzera

La Schwanenplatz di Lucerna prima della crisi del coronavirus. Oggi i turisti cinesi disertano la Svizzera e i suoi negozi di orologi. Keystone

In Svizzera la vendita di orologi sta subendo il contraccolpo del crollo del turismo a livello mondiale. Il gruppo Bucherer ha recentemente annunciato il taglio di centinaia di posti di lavoro, ma è tutto il settore della distribuzione di orologi che agonizza a causa del coronavirus.

In questa splendida mattinata di luglio il trenino arancione a cremagliera che si inerpica da Zermatt verso il Gornergrat è pieno zeppo, come d’altronde succede spesso durante la stagione estiva. Eppure, la boutique di orologi che accoglie i passanti sulla cima, a 3100 metri di altitudine, ha chiuso i battenti.

I numerosi turisti svizzeri accorsi in vetta, che per la gran parte scoprono per la prima volta le bellezze generalmente frequentate da una clientela internazionale, non hanno infatti previsto di fare acquisti «Swiss made» dopo aver ammirato il Cervino e le altre maestose montagne della catena alpina.

Vendite in caduta libera

A Zermatt, Interlaken, Ginevra o Lucerna in questi ultimi mesi l’assenza dei turisti internazionali ha pesato come un macigno sulla contabilità dei titolari di negozi di orologi. Dopo aver costatato «un crollo massiccio e costante delle vendite» Bucherer, il principale gruppo di negozi al dettaglio nel campo dell’orologeria a livello mondiale, a metà agosto ha comunicato la soppressione di 370 impieghi, 220 dei quali in Svizzera.

“Da inizio anno abbiamo perso l’85 per cento della nostra clientela.”

Alain Guttly, Casa dell’orologio

«A Lucerna, per fare un esempio, dall’inizio della crisi del coronavirus in febbraio gli introiti sono calati di oltre il 90 per cento, e dopo la riapertura di maggio si stanno lentamente risollevando solo adesso» sottolinea il dettagliante in un comunicato.

La situazione dei negozianti indipendenti non è certo più rosea. «Da inizio anno abbiamo perso l’85 per cento della nostra clientela. Finché la gente non tornerà ad occupare gli alberghi nessuno verrà a fare shopping da noi», così ha commentato Alain Guttly, responsabile della Casa dell’orologio a Ginevra, interpellato da RTS.

Un mercato opaco

Secondo una stima della banca Vontobel, sul mercato svizzero il turismo, e in particolare quello asiatico, contribuisce per circa la metà al fatturato dei dettaglianti e delle grandi case. «I cinesi vengono in Svizzera per la qualità dell’aria, il paesaggio e gli orologi», riassume Serge Maillard, giornalista e condirettore della rivista specializzata Europa Star HBM.

Pertanto è difficile sapere quanto spendono esattamente per riportarsi a casa un accessorio di lusso. «Paradossalmente, la Svizzera è uno dei mercati di orologi meno conosciuti e più opachi visto che non rientra nelle statistiche d’esportazione della Federazione dell’industria orologiera», sottolinea Serge Maillard.

“Nei prossimi anni assisteremo senza dubbio al fallimento di diversi negozi di orologi.”

François Courvoisier, professore HE-ARC

In un rapporto pubblicato nel 2017 il consulente indipendente Thierry Huron ipotizzava il peso del mercato elvetico a oltre un miliardo di franchi, il che lo collocherebbe a fianco dei grandi Paesi europei come il Regno Unito, l’Italia, la Francia o la Germania. Se ne può dunque dedurre che prima della crisi da coronavirus i turisti stranieri spendevano qualcosa come 500 milioni di franchi in orologi «Swiss Made».

Incentivare gli acquisti in Cina

Finora le grandi case del settore realizzavano tra il 5 e il 10 per cento della loro cifra d’affari entro i confini nazionali. Cifre che a medio termine sono destinate a diminuire drasticamente. Nel settore economico e del turismo per i prossimi anni gli addetti ai lavori non prevedono infatti un ritorno della clientela cinese in Svizzera.

In compenso si sta assistendo ad un rimpatrio in Cina degli acquisti prima effettuati all’estero. Ormai primo mercato di sbocco davanti a Hong Kong, in luglio la Cina ha registrato un aumento di quasi il 60 per cento delle importazioni di orologi svizzeri.

Un fenomeno che d’altronde è stato incoraggiato dal governo cinese già prima della crisi da coronavirus. Sono infatti state varate diverse misure – riduzione dei dazi doganali, divieto di importare più di un orologio a testa, ecc. – volte a incentivare la spesa indigena e bloccare la fuoriuscita di capitali durante i brevi soggiorni all’estero.

La forza delle vendite online

Per i 978 punti vendita di orologi censiti in Svizzera da Thierry Huron, e in particolare per quelli delle principali stazioni turistiche, il futuro si preannuncia incerto. «Nei prossimi anni assisteremo senza dubbio al fallimento di diversi negozi di orologi», afferma François Courvoisier, professore onorario di marketing nel settore orologiero alla Haute école spécialisée de l’Arc jurassien (HE-ARC).

La situazione potrebbe degenerare anche per i dettaglianti indipendenti. Oltre alla crisi da coronavirus, da anni sono infatti alle prese con sfide strutturali che minano il loro modello d’affari, ossia la concorrenza dei punti vendita dei singoli marchi e la prepotente ascesa del mercato online.

«Questa crisi segnerà la fine del modello di business dei negozi di orologi, che puntava quasi esclusivamente al turismo di massa asiatico, e accelererà ulteriormente il passaggio alle vendite online», prevede Vanessa Chicha, direttrice d’Iconeek, un indirizzo specializzato nel commercio di orologi d’occasione a Ginevra.

Ondata di chiusure in vista

In poche settimane i grandi gruppi e i dettaglianti del commercio di orologi hanno così finalizzato le strategie di commercio online la cui implementazione era inizialmente stata prevista per un futuro meno imminente. «Stiamo assistendo a un completo rimescolamento delle carte nella strategia di distribuzione degli orologi di tutte le marche, comprese quelle del comparto di lusso accessibile (da 5000 a 10 000 franchi). La vendita online diventa la vera e propria colonna portante del sistema», costata François Courvoisier.

Per i dettaglianti indipendenti si tratta quindi di passare volenti o nolenti al digitale, ma anche di riposizionarsi verso una clientela più locale e più giovane. Un passo che tuttavia non basterà a garantire la sopravvivenza di tutti gli attori del mercato. «L’ondata di chiusure non si abbatterà soltanto sulla Svizzera, ma anche su Hong Kong o su altre piazze finora meta dei turisti cinesi», conclude Serge Maillard.

Traduzione dal francese di Lorena Mombelli

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